LA VITA DI FRANCESCO PETRARCA

LA VITA DI FRANCESCO PETRARCA


Francesco Petrarca nasce ad Arezzo nel 1304, il padre Petracco di Barenzo aveva subito l’esilio da Firenze nello stesso periodo di Dante; dice Petrarca in una lettera delle Familiares che furono esiliati nello stesso giorno, edificando per dare un’identità alta di sé, modificando così i dati storici. Entrambi sono esiliati perché guelfi bianchi. Petracco gravita intorno ad Arrigo VII e poi si trasferisce ad Avignone, Dante viaggia nel frattempo nei potentati dell’Italia settentrionale, dalla Liguria verso Est; Petracco dalla Toscana passa ad Avignone perché era sede della curia pontificia con Clemente V papa francese e la sede era stata trasferita in territorio angioino. Petracco era notaio come Brunetto Latini (ser Petracco, ser Brunetto), professione lucrosa e molto richiesta; la corte di Avignone, pur intorno al potere spirituale del Papa, era un centro di potere temporale e molti vivevano di benefici ecclesiastici. Petrarca distingue nelle Familiares i due atteggiamenti di Dante e del padre: Dante accettò la vita di esule in nome della poesia, Petracco decise di trovare una professione vera per soccorrere la famiglia. Petrarca fu allievo di Convenevole da Prato maestro di Niccolò da Prato, cardinale che aveva cercato di mettere pace tra guelfi bianchi e neri a Firenze; studia latino con Convenevole da Prato, e in seguito compì gli studi universitari a Monpellier in Provenza, frequentando la facoltà delle arti che era un inizio di formazione per gli studenti di qualunque ambito. In seguito viene inviato dal padre prima a Carpentras poi a Bologna a studiare legge; durante gli anni precedenti stringe amicizia con Guido Sette dopo arcivescovo di Genova, a legge conosce Giacomo Colonna fratello del cardinale Giovanni; la famiglia Colonna era una delle due famiglie cardine a Roma e rappresenta il partito italiano nella curia avignonese. Queste amicizie saranno importanti per la vita di Petrarca perché alcune scelte culturali che condurrà sarebbero dovute a questa presenza di Roma nella curia avignonese. Dopo aver seguito con profitto il corso completo di diritto Petrarca poteva diventare funzionario di curia, un mediatore politico-amministrativo nella curia romana; nel contempo il padre era morto lasciando un’eredità piuttosto cospicua, e quando torna ad Avignone non inizia il mestiere per cui aveva studiato. Nel 1327 Petrarca nella chiesa di Santa Chiara ha l’incontro con Laura, nome parlante che condensa alcuni grandi miti che accompagneranno la vita di Petrarca: Laura era l’albero di Apollo, l’incoronazione poetica, il vento, l’oro. Come Beatrice Laura era donna sposata, topos tipico anche della letteratura occitanica. Petrarca scrive che Laura muore il 6 aprile del 1348, il 6 aprile stesso giorno dell’incontro (48 era l’anno della peste nera); c’è fin dall’inizio una costruzione letteraria dell’amore con Laura, non necessariamente entità fisica. Dopo anni di vita dispendiosa Petrarca prende gli ordini minori indispensabili per lavorare in curia, e allo stesso modo li prende il fratello Gherardo; Giacomo Colonna era diventato vescovo di Lombez sui Pirenei e probabilmente ebbe un ruolo in questa scelta dei due fratelli. Comincia da un viaggio a Lombez la lunga serie di viaggi che caratterizza la sua vita in quegli anni, e conosce i più stretti collaboratori di Giacomo Colonna quali il musico Ludovico di Beringen che chiama Socrate e Lello Tosetti che chiama Lelio; a Ludovico detto Socrate è dedicata la raccolta delle familiares. In curia Petrarca tratta i negozi diplomatici più importanti. Ad Avignone Petrarca conosce il pittore senese Simone Martini, che si trova lì per affrescare il palazzo pontificio; quest’incontro sarà all’origine di alcuni componimenti del Canzoniere. Petrarca scrive forse spinto dai Colonna due epistulae metricae sul ritorno del Papa a Roma; la sua azione coniuga l’esaltazione di Roma dal punto di vista politico e il desiderio del ritorno a Roma del Papa poiché essa soltanto per lui doveva essere la sede del potere spirituale e temporale. Ciò per un problema di storia, a Roma ci sono le ossa di pietro e il potere spirituale era un fatto aggregante nell’Italia divisa, di cui a quel tempo l’Italia era priva. Roma diventava anche l’idealizzazione dell’unione del mondo romano e cristiano (Enea e Paolo in Dante). Gli italiani si sono riconosciuti come tali per lingua, letteratura, arte e più tardi la musica, è entità fondata su elementi culturali. In una delle lettere Petrarca parla della sua salita al monte ventoso, su cui sale con il fratello e incappa nella frase delle Confessioni di s. Agostino sul fatto che gli uomini guardano fuori di sé e salgono sui monti senza scendere dentro di sé (forse finzione letteraria). Petrarca scopre che l’opera di Livio era unitaria, scoperta della filologia testuale. A Roma egli vede i resti della civiltà antica, e nasce con l’interesse per i dati oggettivi l’archeologia. Il poeta Petrarca va poi a vivere a Valchiusa in un posto isolato per costruirsi una nuova immagine di sé; la letteratura entra nella sua vita, dice del figlio le stesse cose che dice Cicerone del proprio, dà di sé l’immagine che vuole ci arrivi. A Valchiusa conosce il vescovo della regione. Comincia a scrivere abbastanza tardi in latino, l’Africa, poema epico dedicato a Scipione tenendo come modello Virgilio, impresa che lo accompagnerà per tutta la vita e non arriverà mai a concludere; le parti migliori sono di tipo lirico, l’epica non è nelle sue corde. Scrive poi il De viris illustribus, raccolta di biografie di eroi antichi soprattutto romani. In volgare scrive i triunphi, poema in terzine con chiara derivazione dantesca, dove si racconta lo sviluppo dal trionfo dell’amore al trionfo dell’eternità, ma rimane incompiuto. Per i trionfi ebbe l’offerta della laurea poetica da Roma e Parigi, dice nello stesso giorno, probabilmente i legami che aveva stretto gli avevano conferito la fama che aveva. La doppia richiesta della laurea poetica gli venne dai due poli, l’uno rappresentante dell’età gotica, l’altro dell’umanesimo; Petrarca sceglie Roma e questa cerimonia è organizzata e gestita dalla famiglia Colonna.


La cerimonia rispecchiava l’antica abitudine di tenere ogni cinque anni un concorso aperto agli esponenti di varie arti, e lui pensa di coniugarlo con l’università, che non era a Roma ma a Napoli, dove regnava Roberto d’Angiò. Si apre la strada per il trionfo della retorica “fate re uno che è da sermone”; Roberto d’Angiò era il cancelliere dell’università, l’autorità massima, ed egli si fa esaminare da questo personaggio per essere considerato degno della laurea. Lo accompagna a Napoli Azzo da Correggio per cercare di stringere alleanza con Roberto d’Angiò contro Mastino della Scala, che lui stesso aveva prima favorito tramite intervento di Petrarca ad Avignone. L’esame di Petrarca dura tre giorni, legge passi dell’Africa e disserta sui significati della poesia e dell’alloro; conosce altri personaggi della cancelleria napoletana, molti dei suoi amici sono cancellieri e maestri di scuola, elementi fondamentali per la diffusione dell’umanesimo e che esporteranno la cultura petrarchesca fuori dall’Italia. Dopo l’esame parte per Roma dove arriva il dì sesto d’Aprile, e l’ottavo è incoronato magnus poeta (Africa) et historicus (de viris illustribus); fu percepito come uno stacco culturale, percepivano la diversità della scrittura delle nuove opere rispetto alle precedenti cronache medievali e alle poesie rimate. Riceveva il privilegium laureae, con il quale diventava magister e civis Romanus, e la cerimonia si conclude con l’elogio del laureato letto da Stefano Colonna. La sua permanenza a Roma resta uno studio sul luogo principe dell’antichità. Lasciata Roma rimane vicino a Parma, e nel periodo invernale si trasferisce in città, e durante questa tranquillità pone ancora mano all’Africa. Nel frattempo viene chiesto al Papa di rendere il 1350 anno del giubileo e lo ottengono, il Papa viene nominato senatore a vita ma non ritorna a Roma. Cola di Rienzo propone l’idea di tornare alla repubblica, è il capo del governo popolare; i magnati invece desideravano il ritorno del Papa. Petrarca è entusiasmato da Cola di Rienzo e gli scrive lettere di partecipazione alla sua esperienza.

Tra il 1342-43 muoiono Roberto d’Angiò e il monaco agostiniano Dionigi di Borgo San Sepolcro, e il fratello Gherardo diventa monaco; forse in questo periodo mise mano al secretum, ma probabilmente fu iniziato più tardi, dal 1347 in poi. Nel 1343 torna a Napoli per una missione diplomatica, i Colonna desiderano che i napoletani liberino tre nobili della campagna romana che si erano rivoltati anni prima contro il re di Napoli; i Colonna si servono così dei buoni rapporti di Petrarca con l’ambiente napoletano. Durante questa missione si reca a Cuma, Pozzuoli e alla tomba di Virgilio, e scrive al cardinale Giovanni Colonna per raccontare queste visite; la sua missione non ha esito e ritorna a Parma, nella propria casa vicino al duomo in cui fece anche lavori di restauro, forse con il compenso per la missione e per i benefici ecclesiastici; qui mette mano ancora all’Africa e ai rerum memorandarum libri, opera che ricorda fatti e detti memorabili di personaggi dell’antichità fino alla quasi contemporaneità (anche Dante è compreso), sulla scia dell’opera di Valerio Massimo. Qui stringe amicizia con il maestro dei figli di Azzo da Correggio, Moggio Moggi a cui sono indirizzate lettere conservate in un manoscritto laurenziano che furono realmente spedite, ed il contenuto è totalmente diverso da quello delle altre epistulae. Durante una sortita nell’ambito della guerra tra Este e Gonzaga scappa a Verona, dove conosce Pietro Alighieri che commenta la Commedia in latino ed ha uno scambio epistolare con Petrarca. Sempre a Verona visita la biblioteca capitolare, e qui scopre le epistole di Cicerone ad Attico, Quinto e Bruto; da qui nasce l’idea di raccogliere in un’opera letteraria le proprie epistole, riscritte e ripensate, trasformate in un vero genere letterario, le ad familiares. L’editore Vittorio Rossi ha aggiunto in fondo ad ogni libro alcune di quelle realmente spedite, profondamente diverse. Il genere qui fondato da Petrarca sul modello ciceroniano avrà lunga storia e arriverà alle ultime lettere di Jacopo Ortis. Scrive a Valchiusa il de vita solitaria, de otio religioso, lavora alla stesura di eclogae latine sul modello virgiliano raccolte nel bucolicum carmen in esametri. Viene poi inviato dal Papa a Genova e riceve le notizie da Roma, il terrore che stava creando Cola di Rienzo; Petrarca gli scrive prendendo le distanze da ciò che egli sta facendo, assumendo quella consapevolezza che prima non aveva (siamo nel 1347). Da questo momento comincia il distacco dai Colonna che lo porterà nel 1353 ad allontanarsi dalla Provenza e trasferirsi a Milano.


Nel 1349 lascia Parma per contrasti con il vescovo della città (era arcidiacono della curia), e si trasferisce a Padova per la sua amicizia con il vescovo Aldebrandino Conti, di ascendenza romana; l’invito gli fu fatto da Iacopo da Carrara. In Padova diventa diacono del duomo ma poco dopo ritorna a Parma facendo un lungo giro per la valle Padana, acquista a Mantova la naturalis historia di Plinio, dove egli fa un disegno e scrive “transalpina solitudo mea iucundissima”, si discute se l’abbia fatto lui o Boccaccio. Dalla fine degli anni Quaranta mette mano alla raccolta delle epistulae ad familiares, la prima è la dedica a Socrate, il musico Lodovico di Beringen, e qui afferma che aveva organizzato le sue lettere e i suoi appunti per dar loro collocazione organica nella raccolta: spesso le lettere pur realmente spedite venivano riscritte, si attuano collegamenti verbali tra una lettera e l’altra, come si collegano le canzoni. Le familiari dunque non sono guidate da un criterio archivistico ma artistico. Nel 1350 c’era l’anno giubilare e Petrarca va in pellegrinaggio a Roma, e per le insistenze di un amico che gli aveva scritto, Giovanni Boccaccio, fa tappa a Firenze; Petrarca aveva raggiunto una notevole fama di intellettuale di conoscenze smisurate e il giovane Boccaccio ne è affascinato. Ritornando a Nord va a Padova dove Iacopo da Carrara era stato assassinato da un parente e la reggenza della città viene presa dal figlio Francesco che richiama Petrarca perché comprende lo spessore di un tale personaggio; Petrarca scrive l’epitafio di Iacopo da Carrara, lo detta in prima persona e fa parte dei numerosi epitafi da lui scritti. Nel contempo prendono corpo gli stati regionali, singole città ambiscono all’egemonia su un territorio sempre più vasto e gli scontri sono continui; Petrarca recuperando l’idea di Dante spera in una soluzione da parte dell’imperatore Carlo IV di Boemia e gli scrive; del resto non è cittadino di nessuna città, risulta legato alla curia avignonese e questo suo essere senza città, onnipresente, lo aiuta e gli fa coltivare il sogno imperiale. Non comprendeva che la tendenza era centrifuga e continuava già da Arrigo VII, singole realtà cittadine erano più potenti dell’imperatore, dunque la sua era una generosa utopia. Boccaccio va a Padova da Petrarca con una lettera da lui stesa da parte del Comune di Firenze: si annunciava che gli si restituivano i beni confiscati al padre, lo si invitava a tornare a Firenze e gli si chiedeva di partecipare alla vita della nuova università nata a Firenze nel 1349.


Petrarca era stato abilissimo a costruire sia una curia cardinalizia sia la propria immagine, e per la sua libertà da legami contingenti diventa una persona importante e richiesta in campo diplomatico; quella di essere liberi è una capacità in senso morale. Ancora Petrarca dice di trovarsi a un bivio, la scelta tra Firenze e Avignone dove nuovamente era stato richiesto, e alla fine opta per la Provenza e Firenze sarà il grande rifiuto di Petrarca. I fiorentini a quel tempo erano dediti ad attività più tecniche, mercatrix et lanifica, e la stessa università era più tecnico-professionale; era una città dedita ai commerci e ai traffici, e non è il suo ambiente, dunque torna ad Avignone. Nello stesso periodo riceve in dono da Boccaccio un esemplare della Divina Commedia; Petrarca conosceva di sicuro la Commedia, non sappiamo se non l’avesse perché abbiamo solo questo esemplare, nel libro ci sono solo poche note e segni che rimandano alle citazioni contenute nelle sue proprie opere. Il gesto di Boccaccio è di amicizia ma anche provocatorio, in seguito al rifiuto di tornare a Firenze.


Dal 1351 al 1353 resta a Valchiusa e lavora indefessamente, al de viris, invectiva contra medicum e epistulae sine nomine sulla curia avignonese; stanno ad indicare la vita che si conduceva allora, era un ambiente che non gli si confaceva più e decide di lasciare la Provenza e si trasferisce in Italia a Milano, presso i più accesi nemici dei fiorentini. Ciò provoca scontri violenti con alcuni amici come Boccaccio, che lui definiva come il vetro, duro e fragile; non risponde ai suoi attacchi ma manda lettere agli amici intorno perché facessero da filtro cosicché le sue reazioni arrivassero edulcorate, la loro amicizia rimane salda. Resta a Milano otto anni fino al 1361, il periodo più lungo in cui risiede in una città italiana; visse forse nel monastero di Santa Croce grazie a Giovanni Visconti. Qui studiò alcuni manoscritti della biblioteca del monastero e racconta di essere soddisfatto dell’ambiente. Giovanni Visconti lo impegna fino all’estremo in operazioni complicate e ad alto livello in campo politico e diplomatico, forse il trasferimento è dovuto proprio al desiderio di fare sosta in una città di alta politica, l’altro punto di simile portata era Venezia. Visconti lo coinvolge in una conferenza di pace: Genova era stata sconfitta da una flotta di catalani e veneti e si consegna a Milano, che così aveva uno sbocco al mare, ma entra in guerra aperta con Venezia; si attivano leghe antimilanesi compresa una che coinvolge Firenze, e Petrarca viene inviato come ambasciatore a Venezia, e diventa amico di Andrea Dandolo, il doge, e stringe amicizia con la schiera di cancellieri della città; in forza dell’autorità morale assunta e delle sue competenze tratta alla pari con potenti veri. Sembra stabilirsi una tregua ma presto cessa, nel 1354 muore l’arcivescovo Giovanni e il governo passa ai tre nipoti anch’essi legati a Petrarca; l’imperatore Carlo IV in quell’anno scende in Italia e Petrarca viene inviato ad incontrarlo a Mantova, e gli dona alcune monete romane con le effigi dei Cesari: gli ricorda le sue responsabilità di prosecutore dell’impero di Roma. A Mantova intesse rapporti con l’imperatore e la cancelleria e per Milano le trattative con essa diventano più facili; l’imperatore a Milano viene incoronato con la corona ferrea di re d’Italia. Tuttavia l’imperatore nel suo percorso verso Roma si accorge che gli italiani si fanno beffe di lui, non arriva al termine del percorso e scappa, altro sogno infranto per Petrarca; ma egli nel 1356 va personalmente in ambasceria a Basilea e a Praga, e questa visita all’imperatore gli vale il titolo di conte Palatino, carica che può nominare giudici e notai, è intermediario tra imperatore e giudici e notai di nomina imperiale; può legittimare figli illegittimi, ne abbiamo testimonianza, e nel frattempo tornato a Milano va alla certosa di Garegnano a ricercare la sua tranquillità, e scrive come un disperato, il monastero di s. Ambrogio doveva sembrargli troppo in centro, bada che allora era zona periferica. Scrive tra le altre un’opera geografica in cui disegna un percorso da Genova alla Terrasanta, che non ha fatto fisicamente ma sui libri; questo segna il declinarsi della geografia antica nella geografia moderna, egli possedeva e rimette in circolazione anche un’opera dei geografi latini minori, cambio di prospettiva rispetto a prima, l’antichità era vista come promozione, non aveva solo valore archeologico, era un recupero di perfezione che il mondo classico aveva raggiunto ma il medioevo aveva dimenticato.


Soggiorno milanese del 59 in cui discute con Boccaccio su Leonzio Pilato, un graeculo; volevano imparare il greco per accedere ad Omero. Boccaccio aveva iniziato gli studi di greco a Napoli città con sbocco sul mare a cui erano arrivati uomini di culture varie. Grazie a Leonzio Pilato questi intellettuali potevano conoscere la grecità senza il filtro della latinità. Ma Emanuele Grisolora era il più grande maestro di greco ed aveva fondato una scuola a Firenze. Dopo Petrarca e Boccaccio la figura cardine fu Poliziano conoscitore di tre lingue, grazie all’intervento di questo maestro. Scrive il de remediis utriusque fortune, opera con destinatari circoscritti ma grande fortuna. I Visconti mandano Petrarca a Parigi dove Petrarca è ambasciatore ed anche filologo, diplomatico: la diplomatica è l’analisi di documenti ufficiali di stato, Petrarca dimostra la sua conoscenza del latino. A Padova inizia a scrivere le epistulae seniles, lascia Milano per la diffusione della peste che però arriva a Padova, egli si trasferisce a Venezia. Diventa amico di Benintendi Ravagnani capo della cancelleria, che adotta il modello di usare il tu per le lettere di cancelleria su imitazione delle lettere petrarchesche, non solo a Venezia ma in tutte le cancellerie.


Il copista Giovanni Malpaghini trascrive parte dei rerum vulgarium fragmenta, la prima parte della prima sezione e la prima parte della seconda sezione (impropria la suddivisione in vita e in morte; vaticano latino 3195 è il codice che Petrarca ha controllato per intero, è un idiografo del Canzoniere, non autografo in tutto). Da Padova Petrarca si muove spesso verso Pavia, e nel 1367 Urbano V decide di trasferirsi da Avignone a Roma, è il Papa dell’Urbs; Petrarca scrive al Papa, c’è un problema di equilibri politici turbati perché le pressioni dei cardinali francesi erano forti. Durante il soggiorno padovano lavora alle sue opere, i signori di Padova lo inviano a Udine per una missione diplomatica con l’imperatore; riprende il de viris illustribus e Francesco da Carrara fa affrescare una sala della reggia con i ritratti degli antichi a partire dall’opera del Petrarca, le immagini degli antichi diventano exempla virtutis. Boccaccio ha contribuito alla diffusione delle opere di Petrarca nell’ambiente fiorentino, avrà enorme diffusione la lettura delle sue opere; Boccaccio gli invia il Decameròn ed è colpito dalla novella di Griselda, la novella conclusiva, e la traduce in latino e la mette in circolazione; diventa un best-seller del Quattrocento umanistico, il latino era lingua europea. Questa novella ha funzione di traino per l’opera di Petrarca e Boccaccio, quest’ultimo diventerà riferimento irrinunciabile per i suoi scritti latini; l’umanesimo opta per una lingua che non ha confini, e diventa traino per la letteratura in volgare di sì. Il signore di Padova gli regala un terreno sui colli Euganei, oggi Arquà di Petrarca sulla cui piazza c’è la tomba; si fa costruire una casa e viene visitato dagli amici e dai signori di Padova. Saputo del ritorno del Papa a Roma decide di andare di persona all’Urbe, ma viene colpito da una sincope a Ferrara e deve tornare; la reazione alla sua presunta morte è collettiva e indicativa della fama che aveva assunto. Il papa però ritorna dopo pochi anni ad Avignone, ci vorrà molto tempo perché il ritorno sia definitivo. Lavora ad epistulae seniles e al trionfo dell’eternità. Muore il 18 luglio del 1374, c’è coloritura mitica anche intorno alla morte del poeta che sarebbe spirato o leggendo Virgilio o scrivendo il trionfo dell’eternità; nel testamento Petrarca lascia a Boccaccio una pelliccia perché studiasse anche di notte. Aveva anche un liuto testimonianza che sapeva suonare, si parla spesso di testi di Petrarca musicati molto più numerosi che in Dante; viene sepolto ad Arquà ma Altichiero affresca la chiesa di S. Giorgio con Petrarca e una schiera di amici alla corte carrarese.


La vita del Petrarca è ricchissima di esperienze e gli scritti, quasi tutti latini, spaziano dalla storia alle opere morali alle invettive all’epica; fu anche diffusore e raccoglitore di scritti, si adoperò per far riemergere gli scritti antichi. La sua biblioteca viene lasciata ai carraresi salvo alcuni libri non ultimati e le opere proprie in volgare che vanno ai familiari. Quando Padova è conquistata da Gian Galeazzo Visconti la biblioteca è presa come preda di guerra, era bene oggettivo e di rappresentanza; questa è una grande fortuna perché è passata alla biblioteca viscontea di Pavia che resta per lungo tempo al castello di Pavia, ma poi passa a Parigi dove è tuttora conservata quasi interamente. L’umanesimo è stato bene di esportazione dell’Italia del tempo e passava attraverso le cancellerie e le università; Petrarca latino diventa autore canonico, trascritto dagli studenti transalpini. Anche il Canzoniere ha importanza europea perché è alla base della lirica di tutta Europa (Italia, Francia, Ungheria); dal Cinquecento la tradizione petrarchista passa dall’Italia all’Europa grazie alla figura di Pietro Bembo, che apprezza la regolarità di stile del Petrarca e lo pone come unico modello per chi voglia scrivere lirica. Il modo di scrivere di Petrarca è penetrato a fondo nella tradizione italiana ed è rimasto fino agli autori moderni compresi i meno petrarchisti, Montale e Leopardi.

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