LA VERGINE CUCCIA VV 517-556
“La vergine cuccia” (da “ Il giorno”) di Giuseppe Parini (vv. 517-556)
Ora [la donna] si ricorda del giorno, oh giorno crudele! in cui la sua bella cagnetta educata dalle Grazie,
giocando come un cucciolo, il piede del servo villano con il dente d’avorio
morse leggermente: e lui, sprezzante,
le diede un calcio con il piede sacrilego: e lei rotolò per tre volte; tre volte le si scompigliò il pelo, il naso umido e delicato respirò la polvere secca della terra.
Quindi mettendosi a guaire, sembrava dicesse ‘Aiuto’; e dai soffitti dorati
rispose a lei Eco impietosita:
e dalle stanze più basse i servi preoccupati salirono; e dalle stanze dei piani superiori le damigelle pallide e spaventate accorsero. Arrivarono tutti: il viso della tua dama
fu spruzzato con alcune essenze; e si riprese alla fine: era scossa da
ira e da dolore; gettò degli sguardi fulminei al servo; e con voce flebile
chiamò ben tre volte la cagnolina: questa
le corse incontro; a suo modo sembrò
che le chiedesse vendetta; e tu avesti la tua
vendetta, cagnetta alunna delle Grazie.
Il servo empio tremò; e con gli occhi rivolti a
terra ascoltò il suo licenziamento. Non gli valse aver lavorato vent’anni, non gli valse
lo zelo messo in incarichi delicati; invano lui pregò e chiese perdono; se ne andò nudo, spogliato dalla livrea che era un simbolo
di distinzione dal volgo. Invano cercò un altro
posto di lavoro; e le damigelle pietose inorridirono, ed odiarono l’autore dell’atroce
misfatto. Il misero si accasciò con i figli tristi, e con la moglie ormai vestita di stracci
al suo fianco, sulla via chiedendo inutilmente l’elemosina ai passanti:
e tu piccola cagnolina, divinità placata
da un sacrificio umano, camminasti superba.