LA TESSITRICE PASCOLI ANALISI

LA TESSITRICE PASCOLI ANALISI

di Giovanni Pascoli


Mi son seduto su la panchetta
come una volta … quanti anni fa?
Ella, come una volta, s’e’ stretta
su la panchetta.

E non il suono d’una parola;
solo un sorriso tutto pietà.
La bianca mano lascia la spola.

Piango, e le dico: Come ho potuto,
dolce mio bene, partir da te?
Piange, e mi dice d’un cenno muto:
Come hai potuto?

Con un sospiro quindi la cassa
tira del muto pettine a se’.
Muta la spola passa e ripassa.

Piango, e le chiedo: Perche’ non suona
dunque l’arguto pettine piu’?
Ella mi fissa timida e buona:
Perche’ non suona?

E piange, piange — Mio dolce amore,
non t’hanno detto? non lo sai tu?
Io non son viva che nel tuo cuore.

Morta! Si’, morta! Se tesso, tesso
per te soltanto; come, non so:
in questa tela, sotto il cipresso,
accanto alfine ti dormiro’.


Struttura metrica:

tre STROFE di sette versi e una di quattro. Le prime tre sono composte di tre quinari doppi ABAa, CBC (il 2° e il 4° tronchi). Ma le assonanze, le ripetizioni, le riprese aggiungono allo schema ritmico una nuova e suggestiva armonia.

Breve analisi del Testo

V1-2: non rievoca la casa testimone dell’amore antico, ma quella PANCHETTA soltanto, sulla quale sedette accanto alla fanciulla.
V3-4: riaffiora, dal fondo della memoria del poeta, il fantasma di Lei, non l’immagine però del suo viso, ma un gesto (s’è stretta) che denota la sua pudica femminilità. Il quarto verso determina come una sospensione ritmica, dopo la quale s’effondono con un canto, più abbandonato i due seguenti.
V5-6: tutta la lirica è immersa in questo silenzio, appena increspato da parole non pronunciate che riecheggiano nell’anima assorta. SOLO…PIETà: il sorriso suggerisce la memoria dell’amore lontano; ma è divenuto tutto pietà: per la vanità di quel sogno.

V7: LA BIANCA SPOLA: non “candida”, come poteva essere rievocata in una fantasia d’amore, ma “bianca” è la mano di una morta. Il gesto (lascia la spola) è la ripetizione di quel antico, quando ella interrompeva il lavoro per ascoltare le parole del poeta. Ma il verso, così isolato dagli altri, dà al gesto un aspetto irreale, fantomatico; è un ripetersi di quel gesto, ma meccanico e senza più vita.
V10-11: la fanciulla riecheggia le parole e il pianto del poeta.E’ un dialogo solo apparente. D’UN MUTO: non parole, ma un’inflessione appena percettibile del viso.
V12-14: E’ forse la terzina più suggestiva: il pettine muto, la spola muta, quel movimento senza rumore, danno veramente il senso della morte, d’un ricordo fatto di gesti uguali ma esangui, di una parvenza funerea di vita; LA CASSA: <<la parte mobile del telaio che contiene il pettine, per cui passano le fila dell’ordito, e con cui si percuotono e si serrano le fila della trama”.
V24-24: la tela tessuta un tempo dalla fanciulla per il lenzuolo nuziale, diviene il sudario dov’ella giacerà si accanto al poeta, ma nella morte, che è vista come un dormire nel sonno del nulla.


Breve commento al Testo

Il ritorno a S. Mauro assume, dunque, un carattere di conclusione, di ritorno alle origini: cioè alla fanciullezza e alla giovinezza infrante delle esperienza sconvolgente della morte. I suoi morti, il poeta che per tutta la vita ha portato in sé, riaffiorano dai gorghi della memoria; il padre, la madre, il suo io fanciullo e la tessitrice di questa poesia, che gli ispirò il primo desiderio d’amore. Ma questi morti non sono ricordo nostalgico e immagine inconsunta di giovinezza, com’è la Silvia leopardiana; sono ombre esili, dipinte d’un vago pallore di fantasmi, d’un colore evanescente eppur quasi fisico di morte: segno d’un angoscia ancora non consumata, d’uno sgomento rimasto vivo nel cuore e nei sensi dalla prima rivelazione del nulla in cui precipita la vita. Così qui il dialogo, ma in realtà monologo, del poeta con la tessitrice, si conclude con un immagine funerea. Ella tesse il funebre sudario, nel quale dormirà con lui un sonno eterno. La rimembranza d’amore culmina in una fantasia di morte: la vita appare un brillare fugace fra abissi d’ombra.

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