LA STORIOGRAFIA DEL SEICENTO

LA STORIOGRAFIA DEL SEICENTO


La storiografia del Seicento è dominata, come quella rinascimentale, dall’interesse della politica come scienza e come tecnica e pone in secondo piano la tendenza letteraria e umanistica, cioè il racconto dei fatti condotto in stile elevato, e lo scopo celebrativo di presentarsi come insegnamento storico.

La storiografia di questo periodo è volta allo studio della “ragione di stato”. Tra gli storiografi è importante la figura di Paolo Sarpi, che a Venezia, in qualità di teologo e di canonista della Repubblica, condusse la sua grande battaglia politica e religiosa contro le pretese di dominio temporale della Chiesa.

Avendo Venezia sottoposto a giudizio, rifiutandosi di consegnarli ad un tribunale ecclesiastico, due preti, colpevoli dei delitti comuni, il papa Paolo V lanciò l’interdetto contro la città, che il Sarpi difese con una serrata polemica giuridica e teologica, finché si giunse ad una pace di compromesso.

Le vicende connesse all’interdetto sono narrate nella “Istoria particolare delle cose passate tra il sommo pontefice Paolo V e la Serenissima Repubblica di Venezia” In quest’opera il Sarpi afferma come la lotta con il pontefice fu sentita come un’occasione provvidenziale per tentare la riforma della Chiesa.

C’era per lui un’antitesi netta tra la Chiesa primitiva, fedele allo spirito del Vangelo, organizzata democraticamente con un clero cioè eletto dai fedeli e quella attuale, temporalistica, teocratica e mondana, organizzata in forma assolutistica e totalitaria, soprattutto dopo il concilio tridentino che aveva affermato il predominio assoluto del papa.

Il Sarpi vagheggiava un distacco netto tra il potere temporale e quello spirituale, ambedue stabiliti, secondo lui da Dio. La Chiesa avrebbe dovuto occuparsi della missione spirituale; lo Stato doveva essere pienamente sovrano e indipendente da ogni autorità del clero, custode della libera vita religiosa.

A questi ideali si ispirò il Sarpi nella “Istoria del concilio Tridentino”. Essa racconta la storia del lungo concilio. Non è però come il Sarpi si riprometteva, opera oggettiva e imparziale, ma tutta pervasa, nonostante il rigore della documentazione, da un’interpretazione tendenziosa dei fatti. Il Sarpi intende mostrare come il concilio abbia fallito il suo scopo, che era quello di rinnovare attraverso un’autentica riforma spirituale, l’unità cristiana di cattolici e protestanti.

Secondo lui il concilio di Trento ha reso irreparabile la divisione della cristianità, consolidando l’assolutismo pontificio e la politicizzazione della Chiesa di Roma; il concilio secondo lui non è stato mosso da motivi religiosi ma politici.

Di segno opposto a quella del Sarpi è la “Istoria del concilio di Trento” del cardinale Pietro Sforza Pallavicino. Il lavoro scritto per incarico curiale è tutto teso a confutare la tesi dello storico veneziano con un’abbondanza di documentazione inedita tratta dagli archivi del Vaticano. Quest’opera esalta la funzione temporale della Chiesa e le scelte tridentine.