La seconda guerra d’indipendenza

La seconda guerra d’indipendenza


La seconda guerra d’indipendenza iniziò il 29 aprile del 1859 e costituì il primo momento principale del cammino verso l’unità d’Italia.

Dopo le vittorie di Palestro, Magenta, Solferino e San Martino, i Piemontesi e i Francesi avevano ricacciato gli austriaci nel Quadrilatero veneto. Secondo i Patti di Plombières l’attacco sarebbe dovuto continuare, cosicché il Regno di Sardegna si impadronisse anche del Veneto. Tuttavia Napoleone III firmò improvvisamente un armistizio con Francesco Giuseppe a Villafranca, stabilendo che il Regno di Sardegna avrebbe ottenuto la Lombardia, ma che il Veneto sarebbe rimasto all’Austria. Tanti motivi spinsero Napoleone a questa decisione: la minaccia della Prussia di entrare in guerra, l’opposizione dell’opinione pubblica francese e dei cattolici, ma soprattutto il timore di essere stato ingannato da Cavour, dal momento che in Italia centrale la Società Nazionale stava facendo sorgere diversi moti rivoluzionari, togliendo ai francesi le terre promesse a Plombières.1  

4. La spedizione dei Mille 

Il secondo momento fondamentale dell’unità d’Italia fu la spedizione dei Mille. Si trattò di un’invasione del Regno delle Due Sicilie, in particolare difficoltà dopo la salita al trono del giovane Francesco II. Il re Vittorio Emanuele II incoraggiò Giuseppe Garibaldi in questa missione. Garibaldi partì da Quarto, presso Genova, il 6 maggio 1860, e con lui partirono mille giovani volontari. Sbarcati a Marsala l’11 maggio, grazie all’aiuto di due navi inglesi, i Mille poterono conquistare l’isola in pochi giorni, con le vittorie a Calatafimi, Palermo e Messina; in seguito affrontarono le truppe borboniche nella battaglia di Volturno, presso Napoli, e conquistarono così la capitale del Regno delle Due Sicilie. Francesco II e gli ultimi reparti dell’esercito a lui fedeli si rifugiarono a Gaeta.

Dal Piemonte, intanto, Cavour seguiva con preoccupazione gli eventi, temendo che l’avanzata di Garibaldi potesse proseguire su Roma, comportando così l’intervento dei Francesi. Fece credere a Napoleone III di dover inviare l’esercito sabaudo per sedare i moti rivoluzionari. Vistosi negare dal Papa il permesso di attraversare i propri territori, affrontò l’esercito pontificio nella battaglia di Castelfidardo (presso Ancona) e lo vinse, conquistando così diverse terre e lasciando il solo Lazio allo Stato della Chiesa. Poi scese fino al Volturno, dove aiutò Garibaldi nella decisiva battaglia. Il re Vittorio Emanuele II scese nel Mezzogiorno e incontrò Garibaldi il 26 ottobre 1860 a Teano (vicino a Capua): fu salutato come “Re d’Italia” e gli venne consegnato il Regno delle Due Sicilie.  Restava da sconfiggere Francesco II, il quale si arrese a Gaeta il 15 febbraio del 1861, dopo un lungo e spietato assedio. 

5. L’unità d’Italia 

Già prima della definitiva sconfitta di Francesco II, tutti i territori conquistati erano stati annessi al Regno di Sardegna con dei plebisciti2 (21 ottobre 1860). Il 17 marzo 1861 si formò il primo Parlamento nazionale, che dichiarò Vittorio Emanuele II Re d’Italia. Le leggi piemontesi furono estese agli Stati annessi e tutte le popolazioni dovettero contribuire con le loro tasse a ripianare il deficit del Regno Sabaudo.

Tuttavia lo Stato nazionale nasceva con grossi problemi al suo interno. Anzitutto la partecipazione al Risorgimento aveva riguardato parte della borghesia e della nobiltà, non certo gli abitanti delle campagne, che allora costituivano la maggioranza della popolazione. Inoltre non vi era un diffuso sentimento nazionale, poiché ogni zona d’Italia aveva una propria tradizione e dei propri costumi, e neppure esisteva una lingua nazionale, ma una varietà di lingue dialettali. Infine un altro grosso problema era dato dalla Chiesa. Cavour, infatti, si era reso conto che l’unico elemento in comune a tutta la penisola era la religione cattolica, e pertanto cambiò politica nei riguardi della Chiesa e pose al centro della sua agenda di lavoro la cosiddetta “Questione Romana”: voleva infatti arrivare alla proclamazione di Roma capitale, affinché l’unità fosse ben vista dai cattolici, ma voleva ottenerlo con il consenso del Papa Pio IX3.


A quattro mesi dall’unità d’Italia, però, Cavour morì, il 6 giugno 1861. Nel momento più difficile, l’Italia perse il maggior artefice della propria unificazione, ancora da rendere effettiva e reale.

1 Un anno più tardi Cavour ottenne il riconoscimento delle terre strappate ai Francesi in Italia centrale e di tutte le possibili conquiste future, ma per farlo dovette cedere alla Francia le due regioni confinanti di Nizza e Savoia.

2 Questi plebisciti furono sono votazioni non particolarmente democratiche e dall’esito scontato, spesso ottenuto anche con brogli, ma utili a mostrare una decisione come condivisa dalla popolazione.

3 A questo proposito, Cavour lanciò uno slogan: “Libera Chiesa in libero Stato”. Con tale frase egli intendeva significare che Chiesa e Stato devono essere due realtà distinte, ma non in guerra tra loro, perché i campi d’azione sono differenti.