La scoperta del nucleo atomico di Rutherford

La scoperta del nucleo atomico di Rutherford

La scoperta del nucleo atomico di Rutherford


Nel primo decennio del XX secolo un ingegnoso esperimento permise al fisico britannico originario della Nuova Zelanda Ernest Rutherford (1871-1937) di scoprire la struttura interna dell’atomo. Con grande sorpresa degli scienziati, egli apprese che gii atomi sono costituiti da un « nucleo » centrale con carica positiva, contenente quasi l’intera massa dell’atomo, circondato da una nube di elettroni, di carica negativa. Fino a quel momento la struttura ultima della materia era stata uno di quei misteri – come l’inizio (e la fine) dell’universo, l’origine della vita, e l’esistenza della vita su altri pianeti – che erano oggetti interessanti su cui fare congetture, ma impossibili da investigare. Come si poteva studiare la struttura interna dell’atomo, si domandavano gli scienziati, se gli unici strumenti di cui si disponeva erano fatti essi stessi di atomi? Sarebbe stato come cercare di scoprire che cosa c’è dentro una palla di gomma usando un’altra palla di gomma. L’impresa di Rutherford segnò l’inizio della moderna fìsica delle particelle.

La via che condusse alla scoperta di Rutherford fu tutt’altro che semplice. Egli non si propose inizialmente di scoprire la struttura dell’atomo. Gli occorse anzi del tempo per rendersi conto di possedere uno strumento per compiere un tale esperimento, per determinare il modo giusto di usarlo e per capire che cosa l’esperimento gli stava dicendo. E gli altri ebbero bisogno di altro tempo per convincersi.

Rutherford era un uomo grande e grosso, ottimista, con una faccia rubizza, baffi da tricheco, una risata fragorosa e una voce tonante, che continuava a fare pressioni sui suoi assistenti e collaboratori perché mirassero sempre alla massima semplicità. Per spiegare i suoi successi, Rutherford amava dire: « Io credo sempre nella semplicità, essendo un uomo semplice io stesso ». Non erano parole di facciata. Egli comprendeva bene l’efficacia dì apparecchiature semplici per ingannare la natura e costringerla a rivelare i suoi segreti più profondi.

In effetti gli esperimenti di Rutherford, per la loro semplicità, profondità e definitività, sono alcuni fra gli esperimenti più belli nella scienza. Il suo collega e per un certo tempo competitore J.G. Crowther scrisse di essere rimasto stupito che le semplici idee poste da Rutherford alla base dei suoi esperimenti potessero ancora essere efficaci nel XX secolo: « Ci si sarebbe potuti attendere che, dopo tre secoli di intenso sviluppo della fìsica, le idee avessero sviluppato necessariamente una complicata sottigliezza e che tutte le idee semplici fossero ormai logorate ed esaurite ». E secondo un altro collega, A.S. Russell: « Solo a posteriori ci si rese conto della bellezza del metodo dì investigazione, oltre che della facilità con cui si arrivò alla verità. Il minimo di rumore si accompagnò alla probabilità minima di errore. Con un movimento compiuto da lontano, Rutherford, per così dire, infilò per la prima volta il filo nell’ago ».

Pare che Rutherford apprezzasse poco l’arte. Quanto ai suoi gusti musicali, quando cantava la sua scelta « era di solito una versione stonata di Onward Christian Soldiers, interpretata con grande entusiasmo ». Il suo approccio al compito dì portare in luce la struttura sottostante del mondo aveva però tutte le caratteristiche del buon artista: una grande energia, un profondo rispetto per ìl materiale, una forte immaginazione fìsica. In effetti, una volta Rutherford sostenne che « il processo di scoperta potrebbe essere considerato una forma d’arte ».

Ma, come nell’arte, anche nella scienza il processo creativo è spesso involuto, i passi indietro sono frequenti e spesso gli artisti scoprono solo alla fine quel che stavano cercando. Un esempio classico è proprio il capolavoro di Rutherford: la scoperta del nucleo atomico.

Rutherford era nato in Nuova Zelanda, e nell’adolescenza aveva armeggiato con macchine fotografìche, orologi e model- lini delle ruote idrauliche del mulino di famiglia. Nel 1895 ottenne una speciale borsa di studio che gli permise di recarsi in Inghilterra a studiare al Cavendish Laboratoiy di Cambridge, che lo storico della scienza J.L. Heilbron definì « la nursery della fìsica nucleare » Rutherford vi arrivò all’inizio di un’epoca entusiasmante e impegnativa in fìsica: nel 1895 il fisico tedesco Wilhelm Rontgen scoprì i raggi X, nel 1896 il fisico francese Henri Becquerel scoprì la radioattività nell’uranio, e nel 1897 il fisico britannico J.J. Thomson – il direttore del Cavendish Laboratory — scoprì l’elettrone.

In questa intensa atmosfera Rutherford si distinse facilmente, e nel 1898 abbandonò la «nursery» accettando l’offerta di una cattedra alla McGill University a Montreal, dove sarebbe rimasto fino al 1907. A Montreal, mentre stava studiando la radioattività, fece la scoperta inattesa e cruciale che l’uranio emetteva due tipi di radiazione diversi. Tipicamente, escogitò un esperimento semplice ed estremamente convincente per dimostrarlo: coprì l’uranio con fogli di alluminio e misurò la quantità di radiazione che riusciva ad attraversarli. Uno o due fogli riducevano la quantità di radiazione che passava, ma al terzo strato la quantità di radiazione calava considerevolmente. Stranamente, però, la radiazione restante non veniva bloccata significativamente nemmeno da un quarto e da un quinto strato. Essa continuò a passare fino a quando Rutherford non coprì l’uranio con molti strati di alluminio. Questo fatto indicava che l’uranio emetteva due tipi di radiazione, uno dei quali significativamente più potente dell’altro. Egli chiamò il tipo meno penetrante « raggi alfa » e quello più penetrante « raggi beta », dalle prime due lettere dell’alfabeto greco.

I raggi alfa — la loro natura, il loro comportamento e come potessero essere usati – sarebbero poi diventati il centro focale della carriera di Rutherford. I suoi studenti amavano dire che la particella alfa era una piccola creatura che il loro maestro aveva creato accidentalmente e poi se ne era impadronito. Insieme avrebbero fatto prodigi, Rutherford e la sua piccola creatura. Essa sarebbe diventata il suo strumento per svelare il mistero della parte interna dell’atomo, anche in questo caso con l’aiuto della buona sorte.

Rutherford apprese rapidamente che né i raggi alfa né i raggi beta erano effettivamente raggi, nel senso, diciamo, dei raggi X. Erano invece piccole particelle di materia elettricamente cariche che gli atomi di uranio emettevano per ragioni allora sconosciute. I raggi beta avevano carica negativa e ben presto sarebbe risultato che erano elettroni, mentre la natura dei raggi alfa, che avevano carica positiva, fu inizialmente un enigma. Rutherford lo risolse. Aveva notato che la loro massa era simile a quella degli atomi di elio: ma lo era davvero? Egli escogitò per provarlo un’altra dimostrazione ingegnosamente semplice. Fece preparare da un soffiatore un tubo di vetro dalla parete abbastanza sottile da permettere ai raggi alfa di attraversarla, ma abbastanza robusta da resistere senza rompersi alla pressione atmosferica. Riempì questo tubo con del rado, un elemento gassoso che si sapeva emettere raggi alfa, e lo circondò con un altro tubo di vetro a tenuta stagna che lasciava fra i due tubi un’intercapedine nella quale fu praticato il vuoto.

L’unica cosa che poteva entrare in questo spazio erano i raggi alfa che attraversavano la parete del tubo interno. Rutherford trovò che nell’intercapedine si raccoglieva lentamente un gas a una velocità proporzionale a quella con cui attraversavano la parete interna i raggi alfa. Sottopose poi a test il gas e mostrò che era elio. I raggi alfa — o particelle alfa come vennero sempre più chiamati ~ erano atomi di elio. « Questo esperimento », scrisse lo studioso di Rutherford Mark Oliphant, « suscitò un grande interesse per la sua grande semplicità e bellezza ».

Rimanevano dei misteri. Come facevano le particelle alfa, di carica positiva, a trasformarsi in elio, che di solito è elettricamente neutro? E che cosa facevano gli atomi di elio all’interno degli atomi di uranio? Erano pezzi staccatisi da un nucleo atomico più grande, o qualcos’altro? In quale rapporto stavano col resto del nucleo d’origine? Per trovare risposta a queste domande, Rutherford seguì una via indiretta. Cominciò con un’amichevole controversia con Becquerel, alcuni dei cui esperimenti con particelle alfa erano in disaccordo con i suoi. Dopo aver preso atto dei loro risultati contrastanti, i due esaminarono i risultati in modo più minuzioso, e risultò che aveva ragione Rutherford. Ma la disputa accese la sua curiosità: perché era così difficile misurare le proprietà delle particelle alfa? Come aveva potuto sbagliare Becquerel, di cui egli conosceva la scrupolosità? La ragione dell’errore del fisico francese consisteva nell’abitudine delle particelle alfa dì rimbalzare su molecole d’aria.

Rutherford aveva familiarità con questo comportamento, che dimostrò nel suo solito modo semplice e diretto: prima sparò un fascio di particelle alfa su una lastra fotografica nel vuoto, ottenendo una macchia chiara e netta nel punto dell’impatto. Poi sparò lo stesso fascio sulla stessa lastra, ma questa volta non nel vuoto bensì attraverso l’aria. La macchia risultò più diffusa e sfocata. Il maggiore spargimento della macchia, scrisse Rutherford nel 1906, fu dovuto alla «diffusione subita dai raggi » mentre rimbalzavano su molecole d’aria. Anche se Rutherford ancora non lo sapeva, la scoperta del ruolo dello scattering (diffusione) era un passo chiave nella via alla scoperta del nucleo.

Due anni dopo a Rutherford fu assegnato un premio Nobel, stranamente in chimica invece che in fìsica, per le sue « ricerche sulla disintegrazione degli elementi e sulla chimica delle sostanze radioattive». Durante la cerimonia disse scherzosamente di avere visto molte trasformazioni nel suo lavoro, ma che la più rapida era stata la sua trasformazione da fisico a chimico. Quando ritirò il premio era già tornato in Inghilterra, all’Università di Manchester. E quanto più cresceva il suo interesse per la precisa misurazione delie varie proprietà delle particelle alfa, tanto più era frustrato dallo scattering. Esso incideva fastidiosamente, per esempio, sui suoi continui tentativi di misurare la carica delle particelle alfa sparandole una a una in un rivelatore. Anche i suoi colleghi erano molto irritati dallo scattering nel loro lavoro, e William Henry Bragg gli mandò alcuni disegni di tracce « con deviazioni a gomito » che delle particelle alfa avevano lasciato in camere a nebbia. « Lo scattering è il diavolo », si dolse Rutherford in una lettera a un altro collega.

Esasperato, Rutherford chiese al suo nuovo assistente, Hans Geiger, di misurare lo scattering. (Geiger inventò in seguito il suo famoso contatore Geiger, che rivelava elettronicamente la radioattività in laboratorio e in innumerevoli thriller del dopoguerra.) Questo fu un altro esempio ancora della vigilanza dello sperimentatore: quello stesso istinto che aveva indotto Cavendish a misurare l’intensità del campo magnetico nella sua bilancia di torsione e Millikan a studiare l’evaporazione delle goccioline d’acqua. Se in un esperimento c’è una forza che lo disturba, la prima cosa da fare è misurarla direttamente e poi compensarla. La richiesta di Rutherford a Geiger si sarebbe rivelata un altro passo avanti sulla via della scoperta del nucleo atomico. Neppure di questo fatto Rutherford si rese conto dapprima. Gli sembrava semplicemente che si trattasse di capire e quantificare un disturbo che stava limitando la precisione delle sue misurazioni della carica e della massa delle particelle alfa.

La misurazione delle particelle alfa era un lavoro ingrato, Rutherford e Geiger avevano imparato che quando le particelle alfa colpiscono certi tipi di sostanze chimiche, come il solfuro di zinco, che è fosforescente, creano piccoli lampi momentanei, noti come « scintillazioni », che possono essere osservati al microscopio. Era la prima volta che venivano scoperti visivamente singoli atomi (le particelle alfa sono considerate atomi di elio). Osservando schermi verniciati con tali sostanze chimiche, gli scienziati potevano stabilire quando delle particelle alfa colpivano lo schermo, cosa che poteva fornire informazioni sulle loro traiettorie. Ma per osservare quelle deboli ed effimere scintillazioni, Geiger doveva rimanere seduto al buio per almeno quindici minuti, per adattare i propri occhi a vedere i lampi. Era un procedimento lungo e tedioso.

Il dispositivo usato da Geiger per misurare la diffusione era semplice rispetto ai livelli di oggi. In una scatoletta metallica si metteva un granellino di radio, un elemento fortemente radioattivo che emetteva particelle alfa in un flusso quasi continuo. La scatoletta era dotata di fenditure per convogliare una stretta linea di particelle alfa verso un tubo di vetro lungo circa 120 centimetri. In questo tubo era stato praticato il vuoto, così che le particelle alfa non fossero diffuse dalle molecole d’aria.

A questo tubo di alimentazione era collegato un tubo simile, dal quale era stata estratta similmente l’aria, nel quale passavano le particelle alfa prima di incontrare uno schermo di solfuro di zinco. Guardando con un microscopio appositamente costruito, Geiger potè osservare i lampi e misurarne le posizioni. Quasi invariabilmente, questi lampi si verifìcavano tutti nello stesso punto. Poi Geiger interpose sottili pezzi di foglio metallico fra il primo e il secondo tubo. Ora i lampi non erano più tutti nello stesso punto, e alcuni sembravano danzare sullo schermo.

Geiger spiegò quel che stava avvenendo in una presentazione alla Royal Society nel giugno 1908. La maggior parte delle particelle alfa passava attraverso i fogli metallici senza subire deviazioni, disse, ma di quando in quando una ne veniva diffusa. Come una palla battente che andava a colpire una palla ferma su un tavolo da biliardo, la particella alfa era stata deviata di lato. Inoltre, quanto più spesso era il foglio metallico, tanto maggiore era ìl numero delle particelle alfa diffuse e tanto maggiore l’angolo a cui erano deviate. Evidentemente queste particelle alfa, nell’attraversare gli spessi fogli metallici, erano entrate ìn collisione con vari atomi. Inoltre i fogli di elementi più pesanti, come l’oro, disperdevano le particelle alfa più dei fogli di elementi metallici più leggeri, come l’alluminio.

Era difficile per Rutherford e per i suoi collaboratori immaginare che cosa stesse accadendo nella diffusione. Sapevano che le particelle alfa erano sparate dal radio a una velocità tremenda, dell’ordine di sedicimila chilometri al secondo. Era difficile immaginare come gli atomi presenti nel sottile foglio metallico potessero deviare particelle così cariche di energìa. Rutherford e Ì suoi collaboratori non possedevano ancora, in effetti, la moderna immagine delle particelle alfa come palle da biliardo o come pallottole; tutto quel che sapevano era che le particelle alfa erano essenzialmente atomi — atomi di elio — ma non sapevano nulla della loro struttura^ La scoperta che almeno certi atomi emettevano particelle alfa, di carica positiva, e particelle beta, di carica negativa, aveva ispirato qualche scienziato a cominciare a riflettere sulla struttura interna degli atomi (comprese le particelle alfa/atomi di elio). Gli atomi contenevano sicuramente elettroni. E poiché gli atomi sono normalmente neutri, devono contenere anche una carica positiva. Ma come, e in che forma? Nel 1904 JJ. Thomson aveva suggerito che un atomo fosse composto da elettroni tenuti insieme da una gelatina elettricamente positiva, come uvette in un budino natalizio (plum-pudding)\questa nozione divenne nota perciò come il modello del plum-pudding. Lo stesso anno uno scienziato giapponese propose un modello planetario, secondo il quale l’atomo consisterebbe in un nucleo centrale circondato da satelliti. Poiché però queste restavano congetture, era diffìcile immaginare che cosa accadesse quando una particella alfa o atomo di elio veniva deviata da un altro tipo di atomo.

Sempre nel tentativo di capire la diffusione, Geiger continuò, lavorando ora insieme a un assistente non ancora laureato, un neozelandese di nome Ernest Marsden. Dall’autunno del 1908 alla primavera del 1909, Geiger e Marsden migliorarono l’apparecchiatura, tentando di ridurre il numero delle particelle diffuse dalle pareti del tubo, e usarono un fascio più intenso, ma non riuscirono ancora a ottenere misurazioni coerenti. La difficoltà sembrava consistere nel fatto che le particelle alfa venivano deviate non solo dal foglio metallico, ma anche dall’aria residua rimasta nei tubi, nonché da varie parti del tubo e dal resto dell’apparecchiatura sperimentale. Con tutti quei rimbalzi, era difficile dire che cosa venisse diffuso, e da che cosa.

Un giorno, all’inizio della primavera del 1909, Rutherford, che aveva seguito il lavoro di Geiger e di Marsden e le loro crescenti tribolazioni, entrò nel loro laboratorio e, a quanto riferì poi Marsden, disse: « Vediamo se riuscite a ottenere qualche effetto di particelle alfa riflesse direttamente da una superficie metallica». Rutherford voleva che riorganizzassero l’esperimento per vedere se le particelle alfa rimbalzassero direttamente sul foglio, come una palla da tennis fatta rimbalzare su un muro, invece di essere diffuse mentre passavano attraverso dì esso. Geiger e Marsden predisposero di nuovo una situazione sperimentale semplice. Essi spostarono lo schermo di lato e lo coprirono con una lastra di piombo per impedire a tutte le particelle alfa di raggiungerlo, eccezion fatta per quelle rimbalzate sul foglio metallico. Dovettero aumentare ancora di più l’intensità della loro sorgente per massimizzare il numero delle particelle che si propagavano a grandi angoli. Quasi immediatamente scoprirono che alcune particelle venivano in effetti deviate di lato. Dopo varie settimane di sperimentazione, usando tipi di fogli metallici diversi e di differente spessore, trovarono che una particella alfa ogni ottomila circa veniva riflessa di un angolo di oltre 90 gradi. «Dapprima», scrisse vari anni dopo Geiger, « non riuscimmo a capire questo [scattering a grande angolo] ».

A quest’epoca Rutherford si era reso conto, con sua irritazione, che se le particelle alfa venivano diffuse in conseguenza di uno o più incontri casuali con atomi, per capire questo processo avrebbe dovuto imparare molto dì più dì quanto non sapesse sulla matematica delle probabilità. Di conseguenza, nel 1909 Rutherford si iscrisse a un corso introduttivo alla teoria delle probabilità. Il premio Nobel prese diligentemente appunti e fece gli esercizi, e infine riuscì a sviluppare una teoria di quello che chiamò « scattering multiplo », che applicò a casi in cui le particelle erano diffuse a causa di incontri casuali con vari atomi, ognuno dei quali deviava la particella alfa di un piccolo angolo. Ma la teoria della diffusione multipla non sembrava adattarsi alla diffusione a grande angolo che stavano ora trovando Geiger e Marsden.

In una conferenza verso la fine della sua vita, Rutherford parlò del tempo in cui Geiger e Marsden allestirono per la prima volta il loro esperimento:

Ricordo che due o tre giorni dopo venne da me Geiger e mi disse con grande eccitazione: «Siamo riusciti a far tornare indietro alcune delle particelle alfa… ». Era l’evento più incredibile che mi fosse capitato in tutta la mia vita. Era quasi incredibile come sparare una granata da 380 millimetri contro un pezzo di carta velina e vedersela rimbalzare addosso.

L’incredulità di Rutherford è un caso di senno di poi dello sperimentatore. In termini fisici, era effettivamente una cosa incredibile: una pesante particella alfa, sparata alla velocità di circa sedicimila chilometri al secondo, che rimbalza su un foglio sottile! Ma nemmeno la prodigiosa immaginazione fisica di Rutherford riuscì a capire rapidamente quanto fosse incredibile.

All’inizio egli continuò a credere che le diffusioni a grande angolo potessero essere spiegate dallo scattering multiplo — ossia che le particelle alfa dovessero essere entrate in collisione con un numero estremamente grande di atomi – e che da ciò dipendesse in ultima analisi il loro rimbalzo ali’indietro. Nel corso dell’anno seguente, però, mentre lavorava sulla teoria delle probabilità e rifletteva sui risultati dell’esperimento, cominciò a vedere le cose in una luce diversa. Una delle idee nuove che concepì fu quella che una particella alfa non fosse un grumo di materia o un budino, ma che potesse essere trattata come un punto. Questo fu un grande passo avanti poiché, fra le altre cose, semplificava enormemente la matematica della teoria della diffusione.

Inoltre, quest’idea lo aiutò a capire quale strumento prezioso potesse essere la diffusione di una particella alfa. Avendo conoscenze sufficienti sullo scattering, e apprendendo in che modo esso venga influenzato da vari parametri, come la distribuzione della carica e della massa, Si potrebbe rovesciare il processo e trovare, attraverso il modo di diffusione delle particelle alfa, informazioni sul mezzo che le diffonde. Lo scattering non era quindi solo un effetto sgradevole con cui gli sperimentatori dovevano convivere, ma anche un fenomeno interessante che poteva rivelare qualcosa su altre cose.

In particolare, stava affacciandosi alla mente di Rutherford l’idea che lo scattering delle particelle alfa potesse dirgli qualcosa sulla struttura dell’atomo stesso. Secondo Geiger, Rutherford ebbe un’intuizione chiave poco prima del Natale 1910. Un giorno Rutherford, in una disposizione di spirito di grande entusiasmo, venne nella mia stanza e mi disse che ora sapeva com’era fatto l’atomo e come si potevano spiegare le grandi deviazioni delle particelle alfa. Quello stesso giorno cominciai un esperimento per verifìcare le relazioni che Rutherford sì attendeva di trovare confermate fra il numero delle particelle diffuse e l’angolo di diffusione.

E uno degli ospiti delle cene domenicali di Rutherford, Charles G. Darwin, ricordò che Rutherford disse in quell’occasione con grande esuberanza che « è davvero molto bello vedere visibilmente dimostrate delle cose che si sono viste nell’immaginazione».

Le semplificazioni della teoria dello scattering avevano aiutato Rutherford a capire che le deviazioni delle particelle alfa non potevano essere spiegate dallo scattering multiplo, che non erano prodotte da collisioni multiple, bensì solo da una singola collisione. Ciò poteva accadere a sua volta solo se quasi tutta la massa dell’atomo era concentrata in un singolo nucleo carico nel suo centro.

Quel che Rutherford evidentemente vide nella sua immaginazione fu che l’atomo era costituito da un nucleo elettricamente carico dotato di una massa relativamente grande, circondato da uno spazio per la maggior parte vuoto, ancora più vuoto del sistema solare. Se un atomo venisse ingrandito fino alla grandezza di uno stadio di football americano, il nucleo sarebbe grande come una mosca nel suo centro e gli elettroni sarebbero puntini molto più piccoli distribuiti in tutto il resto dello spazio dello stadio. Praticamente l’intera massa dello stadio è però contenuta nel minuscolo nucleo. Rutherford non aveva però ancora chiaro se il nucleo avesse carica positiva o negativa. Nel marzo 1911 scrisse a un collega: « Geiger sta lavorando sul problema del grande scattering e finora i risultati sembrano molto promettenti per la teoria. Le leggi del grande scattering sono completamente distinte da quelle del piccolo scattering […]. Sto cominciando a pensare che il nucleo centrale abbia carica negativa».13 Egli pensava evidentemente che le particelle alfa, di carica positiva, orbitassero intorno a questo nucleo di carica negativa nello stesso modo in cui una cometa orbita intorno al Sole.

Rutherford esitò però a pubblicare la sua conclusione. Una ragione era che questa era in contraddizione col modello del plum-pudding del suo maestro, JJ. Thomson, che era dopo tutto il massimo esperto mondiale in fìsica atomica. Rutherford ebbe allora un colpo di fortuna. Uno degli studenti di Thomson, J.G. Crowther, pubblicò un esperimento con particelle 0 da cui risultava secondo lui che « l’elettricità positiva all’interno dell’atomo […] è distribuita abbastanza uniformemente in tutto l’atomo». Quest’affermazione liberò Rutherford dalla situazione edipica di dover attaccare direttamente il suo maestro; egli potè entrare nella mischia prendendosela con Crowther e le sue conclusioni e mantenendo al tempo stesso buone relazioni con Thomson.

In un discorso informale tenuto a Manchester nel marzo 1911, Rutherford si riferì ai risultati e alle conclusioni di Crowther, sottolineando però poi che la scoperta dello scattering a grande angolo di Geiger e Marsden « non può essere spiegata » dalla teoria dello scattering multiplo. Invece, disse, «pare certo che queste grandi deviazioni delle particelle alfa siano prodotte da una singola collisione atomica ». Ciò implicava, a sua volta, un atomo « che abbia una carica elettrica centrale concentrata in un punto». Rutherford continuò affossando decisamente la conclusione di Crowther e notando che il proprio modello poteva spiegare anche la maggior parte dei risultati sperimentali di Crowther.

Nel maggio dello stesso anno, Rutherford presentò a una rivista scientifica un « articolo bello e famoso », come lo descrive Heilbron, sulla diffusione delle particelle a e (3 a opera della materia e sulla struttura dell’atomo.16 Dopo avere descritto il lavoro di Geiger e Marsden, la teoria dello scattering singolo e multiplo, e l’esperimento di Crowther, Rutherford dedicò una sezione a « Considerazioni generali ». In questa presentazione formale scrisse: « Considerando le prove nel loro insieme, pare che la cosa più semplice sia supporre che l’atomo contenga una carica centrale distribuita in un volume molto piccolo ». Secondo E.N. da Costa Andrade si deve a questo scritto, che fu fra gli articoli scientifici più fondamentali di tutti i tempi, « il massimo cambiamento nelle nostre idee della materia dal tempo di Democrito […] quattrocento anni prima di Cristo». Si supponeva che gli atomi fossero i mattoni elementari della materia — la parola « atomo » deriva dal grecò, nel senso di indivisibile, « che non si può tagliare » — mentre questo articolo presentava una descrizione delle sue parti interne e della sua struttura.

Fornendo un’immagine della struttura dell’atomo, il modello di Rutherford aprì la via alla soluzione di molti problemi della fisica atomica. Le particelle alfa, per esempio, erano pezzi del nucleo che in qualche modo erano stati espulsi o si erano staccati, e avevano carica positiva, come la parte restante del nucleo, fino a quando non rallentavano il loro moto abbastanza per poter attrarre elettroni, dopo di che diventavano elettricamente neutre come comuni atomi di elio. Tuttavia né Rutherford né chiunque altro a quest’epoca sembra avere considerato questa scoperta incredibile o fondamentale. Rutherford non si gloriò della scoperta nella sua corrispondenza, e fece solo due brevi accenni al suo articolo in un libro pubblicato quasi due anni dopo: Radioattive Substances and Their Radiations. II mondo scientifico nel suo insieme rimase ugualmente silenzioso. Non ci sono praticamente riferimenti all’articolo di Rutherford nelle principali riviste scientifiche del tempo, né nelle conferenze tenute da scienziati eminenti, compreso JJ. Thomson.

Noi, nel XXI secolo, anche troppo dolorosamente consapevoli della successiva e drammatica storia del nucleo, troviamo tutto ciò sorprendente. Il modello di Rutherford non era però ancora collegato con la grandissima quantità di informazioni di cui chimici e fisici già disponevano sull’atomo. In effetti, il suo modello non avrebbe potuto funzionare, dal momento che – a quanto si sapeva allora – doveva essere meccanicamente instabile. Il modello apparve infatti improvvisamente stabile solo quando arrivò nel 1912 a Manchester il fisico danese Niels Borir, e applicò al modello di Rutherford l’idea dei quanti, ossia la nozione che ai minimi livelli l’energìa non si presenta in alcuna delle vecchie quantità, ma solo in pacchetti di certe dimensioni specifiche. Non solo, ma Bohr mostrò come il modello, riveduto alla luce della teoria quantlstica, spiegasse una quantità di altre cose, come le frequenze alle quali l’idrogeno emette luce. Successivamente un altro allievo di Rutherford, Harry Moseley, dimostrò che l’atomo di Rutherford-Bohr spiegava le frequenze alle quali gli elettroni più interni degli elementi emettono raggi X.

Soltanto allora la nuova idea dell’atomo, con la massa concentrata nel nucleo e una nube di elettroni in orbita intorno a esso, si chiarì anche ad altri la cui intuizione fisica non era altrettanto forte di quella di Rutherford. Oggi è facile descrivere retrospettivamente l’esperimento di Rutherford, com’egli fece un tempo, come se la sua scoperta fosse un momento di eureka. I libri di testo di fìsica hanno paragonato resperimento al modo in cui gli ispettori doganali di un tempo cercavano merci di contrabbando in carichi di balle di fieno, sparando in esse dei colpi d’arma da fuoco; se le pallottole rimbalzavano, gli ispettori sapevano che all’interno delle balle di fieno era stato nascosto qualcosa di molto più denso. Quando però Rutherford e i suoi collaboratori si impegnarono in questo esperimento, non era chiaro che le particelle alfa potessero essere assimilate a pallottole, né era chiaro che cosa le facesse rimbalzare o come. Tutte queste cose emersero dopo il compimento dell’esperimento, non prima. E solo molto tempo dopo la sua conclusione risultò chiara l’importanza fondamentale della scoperta di Rutherford e del suo gruppo.

(Tratto da “Il prisma e il pendolo” – Robert P. Crease – 2007 Longanesi)