LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE QUESTIONE SOCIALE

LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE QUESTIONE SOCIALE

LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE QUESTIONE SOCIALE

FONTE:https://www.inftub.com/storia/Conseguenze-della-Prima-Rivolu52758.php

FONTE:https://it.wikipedia.org/wiki/Rivoluzione_industriale


Caratteri generali

La Rivoluzione Industriale indica un cambiamento radicale di tutta la società. Le cause sono molte e tutte concatenate tra loro, e variano secondo lo stato in cui avviene, ma confrontando il fenomeno nei vari stati, si possono ricondurre a:
• innovazione tecnica: cambiamento del modo di produrre (macchina a vapore)
• accumulazione di capitali e investimenti: sono stati necessari per acquistare i macchinari e gli edifici
• spirito imprenditoriale e trasformazione dello stato
• sviluppo delle città
• rivoluzione agricola: la Rivoluzione Industriale si è affermata quando l’agricoltura ha superato la fase di sussistenza

Conseguenze sociali

Le conseguenze sociali della Rivoluzione Industriale sono state inizialmente negative, infatti, le città si sono ingrandite enormemente senza tenere conto ai bisogni della popolazione, sono così sorti degli squallidi quartieri dormitorio, senza acqua corrente né fognatura, in cui le persone (bambini, donne e uomini) vi andavano solo la sera per dormire. Infatti, i turni in fabbrica erano uguali per tutti ed erano in media di quindici ore al giorno, l’operaio entrava in fabbrica la mattina e ne usciva distrutto la sera. molto spesso il pranzo e la cena avvenivano in fabbrica, mancando il tempo per tornare a casa. Le condizioni degli operai hanno cominciato a migliorare grazie all’intervento dei sindacati e alla politica dei lavoratori stessi. Tuttavia questo precorso non fu rapido né semplice e in alcuni casi la reazione alle novità assunse forme violente e vandaliche.

Il sistema capitalistico e il ruolo dello stato

Il capitalismo è un sistema economico sviluppatosi assieme alla Rivoluzione Industriale e che si basa su tre elementi:
• libertà di produzione e di scambio, che ha come scopo il profitto dell’imprenditore, per ottenere questa libertà deve intervenire lo stato per modificare le leggi precedenti riguardo al mercato, ai dazi e che limiti i diritti reclamati dagli operai, ma che non intervenga sui prezzi.
• proprietà privata dei mezzi di produzione
• divisione tra capitale e lavoro; il proprietario dei mezzi di produzione non partecipa direttamente alla produzione dei beni, che è affidata agli operai, ma è quello che se gli affari vanno bene ne trae maggiori profitti.
I grandi profitti del lavoro in fabbrica sono dovuti alla divisione del lavoro, che permette all’operaio di imparare rapidamente la propria parte di lavoro e di svolgerla rapidamente senza perdite di tempo.
Il termine capitalismo deriva dai capitali che sono investiti, però bisogna ricordare che inizialmente i capitali investiti non furono molti, perché le macchine e le fabbriche erano semplici, ma poi con il progresso sono stati sempre maggiori a causa dell’aumento di complessità dei macchinari e di tutto l’apparato necessario per mantenerli.

Le teorie economiche e sociali

Dalla Rivoluzione industriale sono derivate due teorie economiche: l’utilitarismo e il liberismo. L’utilitarismo sta alla base del nostro sistema economico, infatti il capitalista investe i suoi capitali e cerca di falli fruttare al massimo per il proprio interesse e questo porta anche un’utilità per lo stato. Secondo A. Smith (1723-1790), l’economia è il terreno adatto alla conciliazione tra egoismo individuale e pubblica utilità, in questo settore gli individui perseguendo al loro utile contribuiscono al vantaggio generale.
Il liberismo come dottrina economica è conseguenza diretta del capitalismo: perché se la ricchezza è data dal capitale, dal suo essere investito, dal suo prodursi, ne deriva che il presupposto al progressivo miglioramento economico è la libertà economica. Le caratteristiche del liberismo sono due:
• l’indipendenza dell’economia da privilegi ed interventi dello stato
• la relazione diretta tra l’interesse del singolo e quello dello stato.
Lo stato deve solo fare da garante, da giudice, il mercato si autoregola, il costo del salario e delle merci vengono stabiliti dalla libera contrattazione.
Partendo da queste due teorie D. Ricardo (1772-1823) un esperto in economia, e Th. Maltus (1776-1834) un pastore anglicano, ne hanno sviluppato una loro.
Con Ricardo l’ottimismo di Smith muta e vengono messi in luce i veri problemi dell’industrializzazione:
• il capitale è il lavoro accumulato
• il valore del lavoro è dato dal salario, i soldi indispensabili al mantenimento della famiglia del lavoratore, che tendono al ribasso fino a livelli minimi di sussistenza
• il profitto tende a diminuire con l’aumentare dei salari
• la disoccupazione tende ad aumentare con l’aumento del numero delle macchine
La teoria di Maltus è marcatamente negativa: la produzione agricola aumenta in progressione aritmetica (1,2,3,4…), mentre l’incremento demografico segue una proporzione geometrica (1,2,4,8…), quindi ne risulta che all’incremento della popolazione non corrisponde un incremento analogo della produzione agricola con il conseguente aumento delle persone sottoalimentate. Quindi bisogna regolare l’incremento demografico con l’andamento della produzione , evitando forme di carità intervenendo in modo selettivo sulla popolazione, permettendo la riproduzione solo a quegli individui che sono realmente in grado di mantenere i propri figli.

Conclusione

La Rivoluzione Industriale è stata un evento molto importante non solo per il XVIII secolo, ma anche per il nostro, perché da allora si sono formati gli equilibri che regolano il mondo moderno. Infatti i problemi che ci sono oggi riguardo alcune categorie di lavoratori sono sorte già da allora (cfr. teoria di Ricardo), e in duecento anni non si è arrivati ad una soluzione. La teoria di Maltus, che non c’è una produzione di cibo sufficiente per tutti, si è rivelata vera e poco o nulla è stato fatto per arginare questo problema. Nel frattempo il progresso è andato avanti senza aspettare nessuno, e quelli che allora erano in testa, lo sono anche oggi; mentre gli stati ultimi, oggi sono più ultimi, perché ormai il divario che si è creato tra le due società è troppo grande.