LA RIVOLUZIONE BOLSCEVICA E L’URSS

LA RIVOLUZIONE BOLSCEVICA E L’URSS

Cause del crollo militare russo

La partecipazione russa alla prima guerra mondiale, voluta dallo zar soprattutto per difendere le posizioni di potenza dell’impero e scongiurare il pericolo di una rivolta sociale, mise però a nudo le contraddizioni e le arretratezze della società e dello Stato zarista.

La guerra rese evidente l’impreparazione logistica dell’esercito russo, inoltre l’allontanamento dei contadini dalla produzione agricola generò penuria e carestia, mali aggravati dall’inefficienza e dalla corruzione della burocrazia, incapace di organizzare gli approvvigionamenti per le truppe e per la popolazione civile, e dall’isolamento della Russia dal mercato mondiale a causa della chiusura degli Stretti.

Furono questi i motivi che causarono la disfatta russa e accelerarono la rivoluzione.

La rivoluzione di febbraio e la fine dello zarismo

Il movimento a carattere spontaneo che prese il nome di rivoluzione di febbraio, secondo il vecchio calendario Giuliano che rimase in vigore fino al 1918, ebbe inizio il 7 marzo 1917 con lo sciopero degli operai delle officine Putilovd di Pietrogrado (la vecchia Pietroburgo), a cui si collegarono nei giorni successivi gli scioperi di altre fabbriche e manifestazioni di massa contro la guerra.

Il 12 marzo, con l’ammutinamento delle truppe poste a difesa della capitale russa, i manifestanti divennero padroni della città e si organizzarono in un soviet (consiglio) di operai.

Intanto la Duma, non obbedendo all’ordine di scioglimento impartito dallo zar, nominò un governo provvisorio, presieduto dal principe Gergij E. L’vov e composto prevalentemente da esponenti liberal-costituzionali.

Lo stesso giorno, con l’abdicazione di Nicola II, cessò di esistere il potere zarista e la famiglia imperiale venne tratta in arresto (sarebbe stata interamente giustiziata dai bolscevichi il 17 luglio del 1918).

Al governo provvisorio, la cui prima intenzione era quella di ristabilire l’ordine e proseguire la guerra, si contrappose però il soviet di Pietrogrado, costituito dai rappresentanti dei partiti della sinistra (in maggioranza i socialisti rivoluzionari e i menscevichi, ma forti erano anche le posizioni dei bolscevichi), eletto dagli operai e dai soldati della città che ottenne l’elezione di una Costituente, un’amnistia generale, la giornata lavorativa di 8 ore e la libertà di espressione e di organizzazione.

In virtù di tale compromesso il soviet rinunciò ad assumere il potere in maniera esclusiva e ad avviare ampie riforme sociali; lo sviluppo socialista della rivoluzione era infatti ritenuto prematuro da tutti i principali partiti della sinistra.

Ma il 16 aprile rientrò dalla Svizzera il capo dei bolscevichi Lenin (nel 1895 viene arrestato per la sua attività rivoluzionaria e viene messo in carcere e condannato a tre anni di lavori forzati in Siberia; scontata la pena, per evitare di essere perseguitato dalla polizia, preferisce lasciare la Russia, prima

va a Monaco, poi a Londra e infine a Zurigo), il quale con le Tesi di aprile propose una forzatura degli eventi e della stessa ortodossia marxista a cui si richiamava, indicando la necessità di passare subito a una fase più avanzata della rivoluzione, sostituendo il governo provvisorio con un governo dei soviet, espressione diretta della volontà delle masse e in grado di portare il paese verso il socialismo (nazionalizzazione di banche e industrie e distribuzione dei prodotti controllata dai soviet, nazionalizzazione della terra e distribuzione ai contadini).

Si intensificò così lo scontro sociale e la protesta contro la guerra, animata dai bolscevichi, soprattutto dopo la fallita offensiva lanciata dai Russi in Galizia.

Il 9 agosto venne quindi formato un nuovo governo provvisorio, guidato da Aleksandr Kerenskij, un esponente del gruppo dei socialisti rivoluzionari intenzionato a continuare comunque la guerra contro al Germania.

La rivoluzione d’ottobre e la nascita del potere sovietico

Nel paese cresceva intanto il prestigio dei bolscevichi, protagonisti nel settembre della resistenza popolare contro il tentativo di colpo di Stato tentato dalla destra sotto il comando del generale Kornilov.

Accettando le Tesi di Lenin, i bolscevichi decisero di passare all’azione nella notte tra il 6 e il 7 novembre (rivoluzione d’ottobre), occupando militarmente Pietrogrado e conquistando il Palazzo d’inverno, sede del governo provvisorio, i cui membri vennero arrestati, mentre analoghe iniziative rivoluzionarie ebbero luogo nei principali centri del paese.

Lo stesso giorno dell’insurrezione, il Congresso panrusso dei soviet (all’interno dei quali i bolscevichi avevano ottenuto la maggioranza) costituì un nuovo governo presieduto da Lenin e comprendente, tra gli altri, Trotzkij, come ministro per gli esteri, e Stalin, come ministro per le nazionalità.

I principali provvedimenti del nuovo governo sovietico furono:

-la richiesta ai belligeranti per immediate trattative di pace senza annessioni né indennità;

l’abrogazione e pubblicazione di tutti i trattati diplomatici segreti;

l’esproprio senza indennizzo della grande proprietà fondiaria e la ripartizione della terra tra i contadini poveri;

-la nazionalizzazione delle banche e l’istituzione del controllo operaio sulle imprese industriali;

-la proclamazione del diritto all’autodeterminazione per tutte le nazionalità esistenti all’interno della Russia;

-la creazione di una polizia politica incaricata di stroncare i movimenti controrivoluzionari (la CEKA).

Il 5 gennaio 1918 il governo decise quindi lo scioglimento dell’Assemblea costituente, decretando la definitiva rottura tra la rivoluzione di febbraio e quella di ottobre.

La guerra civile e il comunismo di guerra

La firma della pace di Brest-Litovsk (3 marzo 1918) tra Russia e Germania ruppe l’alleanza di governo tra i bolscevichi e l’ala sinistra dei socialisti rivoluzionari, che avrebbero voluto proseguire il conflitto.

Il Partito comunista bolscevico russo divenne quindi l’unico detentore del potere.

L’uscita dal conflitto mondiale consentì all’Armata Rossa, l’esercito russo guidato da Trotzkij, di concentrarsi nella guerra civile interna, contro le armate bianche anticomuniste, particolarmente attive nella Russia meridionale, in Ucraina e in Estonia, e appoggiate dagli eserciti dell’Intesa, preoccupate per una possibile estensione della rivoluzione ad altri paesi.

In questo clima il governo sovietico adottò il sistema della gestione autoritaria dall’alto e militarizzata dell’economia e della società, affidata essenzialmente al Partito bolscevico.

Fu questa la fase detta del comunismo di guerra, che comporto:

-razionamento dei generi alimentari;

-requisizioni forzate delle eccedenze granarie, misura che colpì soprattutto i kulaki, contadini benestanti;

-militarizzazione della produzione industriale; -imposizione del lavoro obbligatorio nel 1919.

Una tappa importante fu l’approvazione, da parte del Quinto Congresso panrusso dei soviet, luglio 1918, della Costituzione della Repubblica Socialista Federalista Sovietica Russa; anche se l’Armata Rossa sarebbe riuscita solo nel 1921 a riprendere il controllo di tutto il territorio russo.

La nuova politica economica e la creazione dell’URSS

La guerra civile portò l’economia sovietica al collasso e l’adozione del comunismo di guerra suscitò il malcontento e spesso la violenta opposizione di contadini, operai, militari (rivolta dei marinai di Kronstadt 1921).

Questa situazione indusse Lenin a porre fine al comunismo di guerra avviando, non senza contrasti in seno al partito bolscevico, la Nuova politica economica (NEP), marzo 1921.

Nel nuovo corso economico:

-lo Stato mantenne il monopolio del sistema bancario, del commercio estero e della grande industria;

-vennero invece liberalizzati la produzione e il commercio dei prodotti agricoli, il che permise al paese di superare la carestia e di trovare nuovi consensi nelle campagne.

Ottenuta la pacificazione del paese, il 30 dicembre 1922 si costituì l’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (URSS), a cui andarono

via via aderendo le repubbliche formatesi nei territori già appartenuti all’impero dello zar.

La Costituzione sovietica del 1924 definì quindi l’assetto di potere dell’URSS, basato su un Parlamento bicamerale (Soviet dell’Unione e Soviet della nazionalità), che eleggeva una piramide di organismi culminanti nel Praesidium (composto in pratica solo da membri del Partito comunista dell’Unione sovietica – PCUS), cui era demandato il potere reale.

Il 21 gennaio 1924 morì però Lenin e si aprì quindi il difficile problema della sua successione.

L’ascesa al potere di Stalin

Tra i possibili eredi di Lenin quello che godeva di maggior prestigio era Trotzkij, fautore di una rivoluzione permanente e quindi di una iniziativa dell’URSS per avviare la rivoluzione socialista mondiale.

Gli si contrapponeva Stalin (segretario del partito dal 1922), il cui progetto politico era invece quello di consolidare il socialismo in un paese solo, senza cioè impegnare L’URSS in altre guerre per l’esportazione della rivoluzione.

La linea di Stalin ebbe la meglio ed egli divenne così il vero capo dell’URSS, mentre Trotzkij fu prima espulso dal partito (1927), quindi esiliato e infine assassinato in Messico nel 1940.

La politica di Stalin di consolidamento del regime comunista si basò sul completo rigetto della NEP, in favore di un grande sviluppo dell’industrializzazione (trasporti, energia, industria pesante), lungo le direttrici fissate da rigidi piani quinquennali (il primo nel 1927) elaborati dal Gosplan (la Commissione centrale per la pianificazione). Il primo piano quinquennale pianificava gli aumenti produttivi e stabiliva che si doveva aumentare la fabbricazione di mezzi di produzione e sviluppare la produzione di materie prime come petrolio, ferro, carbone, acciaio, gomma. Si privilegiava così lo sviluppo dell’industria pesante. Gli ingenti investimenti necessari furono reperiti comprimendo enormemente i consumi interni e introducendo il razionamento di molti beni di consumo per la popolazione. Agli operai erano richiesti enormi sacrifici. Vennero introdotte fortissime differenziazioni salariali fra gli operai per stimolare ad una maggiore produttività del lavoro. Molto spesso il salario venne legato alla quantità di prodotto fornito. Nel 1935 si sviluppò il movimento stacanovista che prese il nome da un minatore Stachanov che in un solo turno aveva prodotto oltre 100 tonnellate di carbone superando di 14 volte la norma.

Lo stacanovismo diventò l’ideologia del lavoro in URSS.

Altro effetto dell’industrializzazione fu l’enorme aumento della popolazione delle città.

Nel 1932 fu lanciato il secondo piano quinquennale e nel 1937 la produzione globale dell’industria era cresciuta di un altro 121%. In pochi

anni la Russia è diventata una grande potenza industriale, ma anche la produzione agricola crebbe del 50% circa.

Il terzo piano fu interrotto dallo scoppio della seconda guerra mondiale e l’industria degli armamenti si sviluppò molto.

L’iniziativa privata venne bruscamente liquidata e ai contadini venne imposto un enorme peso fiscale, onde reperire capitali necessari a finanziare lo sforzo industriale in cui era impegnato il paese.

Alle resistenze del mondo rurale Stalin rispose con la collettivizzazione dell’agricoltura attraverso la costituzione di fattorie cooperative (kolchoz) e aziende statali (sovchoz), e la deportazione in massa dei kulaki che vi si opponevano.

Le prime erano aziende agricole nelle quali i contadini usavano collettivamente la terra, che restava dello Stato, a ciascun membro andava un piccolissimo appezzamento di terreno da sfruttare individualmente e alcuni animali domestici.

I sovchoz invece erano aziende interamente statali, nelle quali i contadini erano solo dipendenti dello Stato.

I contadini, per lo più i proprietari medi e benestanti, reagirono con violenza e lo Stato introdusse il sistema delle confische , aizzando i braccianti poveri contro i kulaki. Si ebbe una vera e propria guerra civile.

Nel 1931 riprese con vigore la politica della collettivizzazione, le aziende collettive venivano favorite in ogni modo, mentre le difficoltà per i contadini che volevano restare indipendenti erano enormi.

Si decise di eliminare i contadini ricchi, kulaki, che si opponevano alla politica agraria del governo, non si sa ancora quanti proprietari vennero uccisi e deportati, si pensa ad alcuni milioni di vittime.

Alla fine degli anni Trenta lo Stato controllava ormai totalmente le campagne; ogni attività indipendente, commerciale o produttiva, era di fatto proibita.

All’inizio della seconda guerra mondiale L’URSS era comunque riuscita a realizzare uno straordinario sviluppo industriale, che consentì anche il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori industriali.

Questo grande sforzo produttivo fu però possibile grazie al potere assoluto assunto dal Partito comunista in ogni settore dell’economia, della cultura e della società. All’interno dello stesso partito nel paese si affermò negli anni ’30 il potere autocratico do Stalin, lo stalinismo, una miscela di culto della personalità del capo e di autoritarismo, di cui fecero le spese anche dirigenti comunisti di primo piano (come Bucharin, Zinov’ev, Kamenev, Radek) e milioni di oppositori condannati a morte o alla deportazione nei campi di lavoro forzato (i gulag) nel corso delle periodiche purghe.

Analogo autoritarismo fu impiegato da Stalin anche nei riguardi dei partiti comunisti degli altri paesi (che furono riuniti dal 1914 al 1943 nella Terza internazionale o COMINTERN), considerati strumenti della politica estera sovietica.

L’economia, la cultura, le arti, la stampa, tutto venne controllato, censurato e guidato.

In ogni settore della vita civile e militare era imposta una rigida disciplina.

Tutto, dalle lettere alla scienza, doveva concorrere alla difesa e all’esaltazione della patria socialista.

L’URSS era uno stato totalitario: esisteva un partito unico, l’economia era tutta statalizzata, il partito dominante aveva il monopolio dell’attività sindacale e politica, della cultura e dei mezzi di comunicazione e di informazione.

Nel 1936 fu promulgata la Costituzione che prevedeva che sparissero tutte le distinzioni fra i cittadini dell’URSS, affermava che L’URSS era diventata uno Stato Socialista, tutte le libertà personali e civili venivano confermate purché si esprimessero in assonanza con i fondamenti ideali del regime.

Fondamentale fu il culto illimitato del capo, di Stalin, che interessò tutta la società sovietica. Il capo incarnò la continuità del processo rivoluzionario; egli era l’infallibile successore di Lenin, colui che aveva compiuto ciò che il suo predecessore aveva solo iniziato. L’intera storia del bolscevismo venne riscritta dagli storici staliniani e in essa la figura di Stalin giganteggiava al di là di ogni realtà storica.

Stalin e la sua politica godevano del consenso e della fedeltà di milioni di comunisti sovietici che vedevano che il loro paese era una grande potenza industriale, nella quale l’analfabetismo veniva combattuto e i servizi sanitari, assistenziali e sociali di massa interessavano milioni di persone che di essi non avevano mai beneficiato.

Accanto a un indiscutibile miglioramento delle condizioni generali di vita delle masse stava la fine di ogni tratto democratico nella vita sovietica. Il terrore, il conformismo di massa, il dominio della burocrazia, il monopolio del potere caratterizzavano la società russa.

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