LA RIFORMA PROTESTANTE CARLO 5
CARLO V e LA RIFORMA PROTESTANTE
La messa al bando di Lutero e la sua condanna da parte della dieta di Worms, riunita da Carlo V nel maggio 1521, non riuscirono, però, ad arrestare la Riforma: insurrezioni sociali ispirati dalle idee di Lutero, benché da lui condannate, scoppiarono fra le classi più povere della Germania meridionale e occidentale (guerra dei contadini, 1524-1525); e soprattutto numerosi principi tedeschi (tra cui i tre elettori di Sassonia, di Brandeburgo e del Palatino) passarono alla religione riformata e sfruttarono a loro profitto i beni ecclesiastici. In particolare mi interessa focalizzare l’attenzione sulla Dieta di Worms in quanto credo che sia il luogo nel quale Carlo V e M.Lutero si incontrarono e si fronteggiarono. Seguiamo la narrazione che di questo ha dato Ronald Bainton. “Il 16 aprile Lutero entrava in Worms su un carro sassone a due ruote insieme con pochi compagni, preceduto dall’araldo imperiale, che portava l’aquila sul mantello”.Duemila persone accolsero il monaco di Wittenberg e lo accompagnarono al suo alloggio. Il giorno dopo, il 17 aprile alle quattro, Lutero fu introdotto di fronte all’imperatore e alla dieta. “La scena si presta ad una descrizione drammatica: da una parte Carlo … simbolo delle grandi unità del medioevo, incarnazione di una eredità gloriosa, seppure prossima a sparire; dì front a lui un semplice monaco, figlio di un minatore, senza nulla che lo sostenesse salvo la propria fede nella parola di Dio”. Il ventunenne Carlo, reso ancora più giovane dai suoi capelli lunghi e dalla barba rasata, esclamò subito: “Costui non farà mai di me un eretico”.Lutero poteva in quel momento tralasciare le sue idee più audaci, quelle contenute per esempio nella Cattività babilonese e invitare invece “a discutere sulle pretese finanziarie e politiche del papato”: era l’occasione per unire intorno a sé tutta la Germania. Il prelato di Treviri che lo interrogava gli chiese se i libri che stavano là di fronte agli occhi dì tutti erano suoi, e Lutero rispose di sì: una seconda domanda seguì: “Li difendi tutti o non vorresti ripudiarne una parte?”. E Lutero rispose: “Vi prego, datemi il tempo di pensarci”. Non era ancora giunta la scena culminante e ancora un giorno gli fu concesso. Il 18 aprile fu scelta per l’incontro una sala più ampia, “che era così affollata che praticamente nessuno, salvo l’imperatore, ebbe posto a sedere”; erano le sei del pomeriggio. Di nuovo Lutero ascoltò la domanda cui non aveva voluto rispondere subito e cominciò a distinguere tre parti delle sue opere. Alcune, disse, trattano di questioni di fede e di vita e altre “la desolazione del mondo cristiano portata dalla vita malvagia e dal cattivo insegnamento dei papisti”; altre ancora riguardano gli individui con cui sono avvenute le polemiche più aspre, nelle quali l’invettiva è stata forse eccessiva. Ma neppure a questi scritti Lutero volle rinunciare, perché anche Gesù aveva detto: “Io sono venuto a portare la spada, non la pace”. Quel frate era dunque venuto per fare una discussione teologica e non per rispondere come un accusato a delle domande. E perciò il nuovo interrogativo fu più secco: “Riprovi, sì o no, i tuoi libri e gli errori che contengono?” E Lutero: “Poiché Vostra Maestà e le vostre signorie desiderano una risposta univoca, risponderò senza ambiguità e senza asprezza. A meno che io non sia convinto con la Scrittura e con chiari ragionamenti — poiché non accetto l’autorità dì papi e concili che si sono contraddetti l’un l’altro —, la mia coscienza è vincolata alla parola di Dio. Non posso e non voglio ritrattare nulla perché non è giusto né salutare andare contro coscienza. Iddio mi aiuti. Amen”.”Troppo audace”, commentò il suo protettore Federico di Sassonia. Carlo convocò allora in una seduta separata i sette elettori e i maggiori principi e a sua volta disse: “Voi sapete che io discendo da un lungo lignaggio di imperatori cristiani di questa nobile nazione tedesca, dai re cattolici di Spagna, dagli arciduchi d’Austria e dai duchi di Borgogna. Essi sono stati tutti fedeli sino alla morte alla Chiesa di Roma e hanno difeso la fede cattolica e l’onore di Dio. Ho deciso di seguire i loro passi. Un solo frate che va contro tutta la cristianità di un migliaio di anni deve essere nell’errore. Perciò ho deciso di rischiare le mie terre, i miei amici, il mio corpo, il mio sangue, la mia vita e la mia anima. E non soltanto io, ma anche voi di questa nobile nazione tedesca, su cui cadrebbe eterna vergogna se per negligenza vostra dovesse sopravvivervi non dico l’eresia, ma il mero sospetto di eresia”.Carlo e Martin Lutero non si erano parlati direttamente e non si sarebbero incontrati mai più; il frate, che mai metterà in discussione l’autorità dell’imperatore, teso e sudato, con uno sforzo di volontà supremo, aveva fatto valere il diritto della coscinenza, parlando in tedesco e ripetendo di nuovo le sue parole in latino; Carlo d’Asburgo si era appellato alla tradizione (mille anni) e al senso feudale della fedeltà, verso Dio e il suo onore, nonché all’onore della propria famiglia. Perché una tragedia sia ben riuscita occorre che gli antagonisti incarnino due grandi principi in contraddizione e che allo stesso tempo essi siano due personaggi vivi e veri, con i loro sentimenti e la loro ira. E per questo che l’incontro di Worms si presenta davvero come una tragedia degna di essere riscritta da Shakespeare. Ma dopo la parola “fine” la storia continua. La Riforma uscì dalla coscienza di Lutero e divenne un fatto della coscienza collettiva e della politica; Carlo, a sua volta, fu costretto a patteggiare per più di trent’anni con i luterani, li sconfisse una volta duramente e poi rischiò davvero di perdere nella lotta la sua vita, ma molto più spesso cercò di imporre il compromesso agli stessi cattolici. Alla fine, nel 1555, dovette accettare che l’eresia diventasse la religione di metà Germania. La Riforma, oramai, andava avanti senza ostacoli alcuni.
Inoltre Francesco I si alleò agli Ottomani che nel 1526 sbaragliarono l’esercito di Luigi II d’Ungheria, cognato dell’imperatore, e assediarono Vienna ove Carlo V spezzò la loro offensiva; egli aveva però perso l’appoggio del Papa Clemente VII, alleatosi a Francesco I: si giunse così al celebre “sacco di Roma” da parte dei Lanzichenecchi imperiali nel 1527.Carlo V ottenne un ulteriore successo facendo eleggere re d’Ungheria il fratello Ferdinando e soprattutto ottenendo di essere consacrato imperatore a Bologna nel febbraio 1530 dallo stesso Clemente VII riconciliatosi con lui, conferma solenne dell’incoronazione del 1520.Nel 1529, intanto, Carlo V con la pace detta delle “Due dame” (o di Cambrai), aveva rinunciato alle pretese sulla Borgogna. In seguito, però, il conflitto contro la Francia era ripreso e si svolse soprattutto in Italia, sempre per il possesso del ducato di Milano di cui grandissima era l’importanza strategica, e nel Mediterraneo, di cui i due avversari cercavano di assicurarsi il controllo: Carlo V ricorrendo alla flotta genovese dei Doria, Francesco I a quella turca o ai vascelli barbareschi di Khayr al-Din detto Barbarossa.Complessivamente la guerra si era svolta favorevolmente a Carlo V e nel 1544, con la pace di Crèpy-en-Laonnois, Francesco I rinunciava nuovamente a Milano e le ostilità venivano ancora una volta sospese. Ciò permetteva a Carlo V di dedicarsi interamente a quella che lui considerava la sua missione principale: eliminare l’eresia protestante e restaurare l’autorità imperiale in Germania. Carlo credette di aver finalmente raggiunto lo scopo quando, il 24 Aprile 1547, , trionfò sulla lega dei principi protestanti a Muhlberg, facendo prigioniero l’elettore Giovanni Federico. Il pennello di Tiziano lo immortalò proprio in questo periodo, ritraendolo nella gloria di imperatore trionfante, all’apice della propria potenza: la lega di Smalcalda si era dissolta; il regno di Boemia in rivolta si sottomise a suo fratello Ferdinando e venne incluso nei domini ereditari degli Asburgo; le forze imperiali erano libere di lottare contro i Turchi.
Carlo V proclamò alla dieta di Augusta la sua volontà di estirpare l’eresia dalla Germania, che voleva organizzare politicamente; mirava, ancora, a rendere la corona imperiale ereditaria di diritto per la propria famiglia: il primo beneficiario sarebbe stato suo figlio, il futuro Filippo II, nato da Isabella di Portogallo, da lui sposata nel 1526 (Carlo ebbe dalla moglie altri sei figli). Ma i suoi progetti dovevano rivelarsi in gran parte irrealizzabili. Il nuovo re di Francia, Enrico II, mantenne l’alleanza con i Turchi Ottomani e con i principi protestanti di Germania, trovando anche numerosi appoggi politici e finanziari in questo paese, dove l’ispanizzazione sempre più accentuata dell’imperatore, della sua corte e del suo esercito urtava in modo palese i sudditi tedeschi. E sul territorio dell’Impero Enrico II arrecò all’imperatore il colpo più grave, occupando con facilità i tre vescovadi di Metz, Toul e Verdun che poi il duca lorenese Francesco di Guisa difese efficacemente contro un ritorno bellico degli imperiali). Sempre in Germania Carlo V, che aveva ormai abbandonato l’assoluta intransigenza verso i protestanti, fu costretto, con la pace di Augusta del 1555, a riconoscere ai principi luterani la libertà di culto.Visti pressoché fallire i suoi progetti, compreso quello di assicurare alla propria famiglia l’eredità del trono d’Inghilterra facendo sposare a Filippo II Maria Tudor (che mori nel 1558 senza lasciare figli) , Carlo V, travagliato dalla gotta, fiaccato dalle molteplici sconfitte, rinunciò al potere e abdicò prima a Bruxelles in favore del figlio Filippo II, nel corso di una commovente cerimonia in cui le regine Eleonora e Maria d’Ungheria proclamarono la loro intenzione di seguire Carlo V nel suo ritiro. Il 16 Gennaio 1556 rinunciò alle corone spagnole d’Aragona, di Castiglia, di Sicilia e delle Nuove Indie, sempre a favore di Filippo II; finalmente, il 12 Settembre 1556, rinunciò alla dignità imperiale a favore del fratello Ferdinando. Ritiratosi in Spagna nello stesso 1556, si stabilì nel convento di Yuste, in Estremadura, con l’intenzione di condurre una vita ritirata, che non implicava, però, una totale rinuncia a ogni attività politica, tanto che, tra l’altro, intervenne in seguito per aiutare o consigliare il figlio.Morì a Yuste il 21 Settembre 1558. L’anno seguente, la pace di Cateau-Cambrésis (3 Aprile 1559) consacrava praticamente l’occupazione francese dei tre vescovadi e il predominio spagnolo in Italia. Ma nessuno dei problemi principali era stato risolto e soprattutto ciò che costituiva la più grande sconfitta di Carlo V fu la frantumazione dell’unità dell’impero che egli si era sforzato di mantenere nonostante le insormontabili difficoltà politiche, economiche e religiose.