La quiete dopo la tempesta Leopardi

La quiete dopo la tempesta Leopardi

-PARAFRASI FIGURE RETORICHE E ANALISI-


Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa, e la gallina,
Tornata in su la via,
Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
Rompe là da ponente, alla montagna;
Sgombrasi la campagna,
E chiaro nella valle il fiume appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
Risorge il romorio
Torna il lavoro usato.
L’artigiano a mirar l’umido cielo,
Con l’opra in man, cantando,
Fassi in su l’uscio; a prova
Vien fuor la femminetta a còr dell’acqua
Della novella piova;
E l’erbaiuol rinnova
Di sentiero in sentiero
Il grido giornaliero.
Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
Apre terrazzi e logge la famiglia:
E, dalla via corrente, odi lontano
Tintinnio di sonagli; il carro stride
Del passegger che il suo cammin ripiglia.

Si rallegra ogni core.
Sì dolce, sì gradita
Quand’è, com’or, la vita?
Quando con tanto amore
L’uomo a’ suoi studi intende?
O torna all’opre? o cosa nova imprende?
Quando de’ mali suoi men si ricorda?
Piacer figlio d’affanno;
Gioia vana, ch’è frutto
Del passato timore, onde si scosse
E paventò la morte
Chi la vita abborria;
Onde in lungo tormento,
Fredde, tacite, smorte,
Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
Mossi alle nostre offese
Folgori, nembi e vento.

O natura cortese,
Son questi i doni tuoi,
Questi i diletti sono
Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
E’ diletto fra noi.
Pene tu spargi a larga mano; il duolo
Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto
Che per mostro e miracolo talvolta
Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana
Prole cara agli eterni! assai felice
Se respirar ti lice
D’alcun dolor: beata
Se te d’ogni dolor morte risana.


Parafrasi

È passato il temporale. Sento gli uccelli cantare e (sento) la gallina, tornata sulla strada, che ripete il suo verso. Ecco il sereno che irrompe là da occidente, sopra la montagna; la campagna si libera, e il fiume appare nitido nella valle. Ogni cuore si rallegra, da ogni parte ritornano i rumori, riprende il lavoro solito. L’artigiano, con in mano il lavoro che sta facendo, cantando, si affaccia fuori dalla porta ad osservare il cielo umido (ancora fresco di pioggia); la ragazza esce con le altre per raccogliere a gara  l’acqua della recente pioggia; e l’erbivendolo ripete di sentiero in sentiero il suo richiamo di tutti i giorni. Ecco il sole che ritorna, ecco che risplende per le colline e per i casolari. La servitù apre le finestre, (e apre le porte) dei terrazzi e delle logge: e dalla strada principale si sente un lontano tintinnio di sonagli; il carro del viandante che riprende il suo viaggio stride.

Ogni cuore si rallegra. Quando la vita è così dolce e così lieta come ora? Quando l’uomo si dedica alle sue occupazioni consuete con tanto amore? O torna al lavoro? O comincia una nuova attività? O quando si ricorda meno dei suoi mali? Il piacere (è) figlio della sofferenza; (è) una gioia ingannevole, che è il prodotto della paura passata, a causa della quale anche colui che detestava la vita si riscosse e temette di morire; per cui le persone, agghiacciate dal terrore, ammutolite e impallidite, con un lungo tormento, sudarono e palpitarono vedendo scatenarsi contro di loro fulmini, nuvole e vento.

O natura generosa, sono questi i tuoi doni, sono questi i piaceri che tu offri ai mortali. Fra noi il piacere è la fine di una sofferenza. Tu dissemini pene in  grande quantità; il dolore nasce spontaneo: e quel tanto di piacere che per prodigio e per miracolo nasce talvolta dal dolore è un grande guadagno. O stirpe umana cara agli dei immortali! (Sei) assai felice se ti è concesso un po’ di sollievo da qualcuno dei tuoi dolori : (sei) beata se la morte ti guarisce da ogni sofferenza.

Metro

È una canzone libera, composta da tre strofe di endecasillabi e settenari. Le rime non seguono uno schema preciso.

Lessico

Sono presenti parole arcaiche e letterarie e  latinismi.

[parole letterarie/arcaiche = augelli, usato, opra, fassi, core, intende, imprende, onde, paventò, aborria, diletti, duolo…  Latinismi = studi (da studium-ii , occupazione), mostro (da monstrum-i , prodigio), lice (da licet, licuit, licitum est, è permesso, è consentito)…]

Tuttavia sono utilizzati anche termini appartenenti a un lessico quotidiano (gallina, artigiano…)


Significato

La prima strofa costituisce un quadro idillico di vita paesana. Una volta passata la tempesta, il poeta assiste da osservatore esterno al ritorno a uno stato di “normalità”: ognuno torna alle consuete attività quotidiane.

Nella seconda strofa  il poeta riflette riguardo alla felicità che si diffonde fra gli animi degli abitanti per poi arrivare ad un’amara constatazione: “piacer figlio d’affanno”.

Infine nell’ultima strofa il poeta diventa un osservatore esterno giudicante: si distacca dallo scorcio che ha appena descritto e trae le sue conclusioni con lucido disincanto. Quest’ultima strofa è caratterizzata da enunciati antifrastici.

La tesi che il poeta sostiene è che i piaceri sono illusori, poiché corrispondono soltanto a occasionali momenti in cui il dolore si interrompe. Il piacere dunque costituisce soltanto un’effimera tregua dalle sofferenze, un sollievo passeggero che deriva dal ritorno a un corso uniforme che era stato interrotto. In questo caso è la tempesta che fa cessare improvvisamente il consueto ordine. La fine del temporale produce un piacere che è da ricollegarsi al ritorno a una situazione considerata normale, scandita da schemi ripetitivi.

La Natura secondo il poeta non  è affatto generosa con l’uomo, è a causa sua che quest’ultimo vive nell’affanno e nel dolore. Gli unici momenti di piacere in realtà sono dati da essa casualmente  e soltanto nei rari casi di pausa tra un dolore e l’altro. In questo senso la morte rappresenta l’unica via d’uscita certa per liberarsi definitivamente da ogni affanno.


Figure retoriche

Iperbati: passata è la tempesta, questi i diletti sono/ che tu porgi ai mortali, e chiaro nella valle il fiume appare, de’ mali suoi men si ricorda.

In tutti questi casi il poeta cambiando l’ordine consueto delle parole, ne mette in evidenza alcune in particolare. Per esempio, nel primo caso l’ausiliare essere si trova in una posizione di rilievo: “passata è la tempesta”. In questo modo l’idea che la tempesta è terminata, che si tratta di un’azione conclusa, è ancora più accentuata e si percepisce quasi il sentimento di sollievo e di gioia  che ne consegue.

Nel secondo caso sottolinea il fatto che il fiume torna ad essere nitido all’orizzonte.

Nell’ultimo caso infine l’elemento posto in una posizione dominante è “mali”.

Metafore: piacer figlio d’affanno. Questo accostamento riassume il messaggio che il poeta vuole trasmettere: la felicità deriva dalla fine della sofferenza.

Sarcasmo: o natura cortese, doni (verso 43), diletti (verso 44), umana prole cara agli eterni.

Tutte queste espressioni usate in senso antifrastico si trovano nell’ultima strofa. Il poeta preferisce ricorrere a questa figura retorica piuttosto che esprimersi chiaramente; in questo modo le sue osservazioni si colorano di amarezza e si rivelano in tutta la loro drammaticità.

Anafore/ replicazioni: ogni cor si rallegra, in ogni lato- ecco il Sol che ritorna, ecco sorride – apre i balconi/ apre terrazzi… – dolce, gradita – son questi i doni tuoi/ questi i diletti sono – d’alcun dolor: beata se te d’ogni dolor morte risana…

La ripresa di alcune parole conferisce alla poesia una cadenza particolare,ritmica, dando maggiore enfasi al contenuto della frase.

Onomatopee: tintinnio, stride. Attraverso l’uso di parole onomatopeiche il poeta vuole forse rendere ancora meglio l’idea del suono che queste ultime cercano di evocare.

Allitterazioni: nella prima strofa si nota l’allitterazione del gruppo “ri” (ripete, risorge, rinnova, ritorna, ripiglia). Quest’ultimo rimanda a un’idea di ciclicità. Non  a caso in questa strofa  viene descritto il ritorno alle consuete attività quotidiane una volta finito il temporale e l’allitterazione del gruppo “ri” sembra voler sottolineare ancora di più l’idea della normalità che riprende il suo corso.

La poesia fu composta da Leopardi tra il 17 e il 20 settembre  1829,  quasi contemporaneamente al sabato del villaggio,  e fu pubblicata nel 1831.

La canzone libera leopardiana, detta anche canzone leopardiana, è un tipo di canzone portata a fama imperitura da Leopardi.

Leopardi inizia ad avvicinarsi alla canzone libera in All’Italia e Sopra il monumento di Dante in cui alterna schemi differenti: uno schema viene utilizzato per le stanze dispari e uno per le pari con un uguale numero di versi.

Nel Bruto minore aumentano le rime irrelate fino all’Ultimo canto di Saffo dove le stanze sono composte da diciotto versi e presentano sedici endecasillabi irrelati e una combinatio di settenario più endecasillabo a rima baciata.

Il punto d’arrivo della canzone leopardiana sarà A Silvia dove solamente l’ultimo verso settenario di ogni stanza è legato a un verso interno che ha posizione variabile. In generale i Canti pisano-recanatesi, o Grandi Idilli, scritti tra il 1828 e il 1830, rappresentano l’apice della canzone libera.