LA POETICA DI PAVESE

LA POETICA DI PAVESE

La riflessione, di matrice vichiana, sul mito ‑ riflessione che, stimolata dagli studi psicanalitici e di etnologia, occupò un lungo periodo dell’attività intellettuale di Pavese ‑ presiede anche alla concezione della poesia, quale è espressa ne Il mestiere di poeta, nelle prose narrative di Feria d’agosto, nei Dialoghi con Leucò.

1)”Miti” sono gli “universali fantastici” che germinano in noi dall’inconscio e che risalgono alla prima infanzia, quando il fanciullo entra in contatto con la natura; essi sono legati ai “luoghi unici», quei luoghi dell’infanzia cioè che il ricordo assolutizza e colloca in una dimensione fuori dello spazio e del tempo, trasfigurandoli così in simboli dell’umana vicenda. Luoghi mitici sono il mare, la collina, la vigna, la terra col suo brulicare di vitalità, ma anche il «selvaggio» (cioè la natura come esplosione di forze primordiali e ferine), il sangue, la morte (che sono poi i temi dell’opera di Pavese).

2) Il mito non è solo oblio e consolazione, ma anche tramite dell’intelligenza di una più vasta realtà: al mito la poesia deve dare forma, facendo rivivere «lo stato di aurorale verginità della natura», al fine di rendere gli uomini consapevoli «del proprio esistere e del proprio destino». Il bagaglio di simboli cui attinge il poeta è «sovranamente umano, necessario a serbare la coscienza di sé e insomma a vivere».

Vivere significa però non chiudersi in un prezioso isolamento d’intellettuale, bensì  impegnarsi nella ricerca di valori e sentimenti comuni a tutti gli uomini. Per questo nell’opera di Pavese l’indagine sulla dimensione simbolica del reale non è mai disgiunta da quella condotta sul vivo delle pene e degli affetti, colti incisivamente talvolta anche nella loro quotidianità.

A proposito dei compenetrarsi dei due piani ‑ del simbolo e della realtà‑ possiamo citare, tra i tanti esempi, la vicenda autobiografica del Carcere. Il romanzo, che descrive il confino di un intellettuale, Stefano, relegato in un paese del Mezzogiorno per motivi politici, esprime emblematicamente la solitudine dell’uomo (e di Pavese stesso), impotente ma anche privo di coraggio di fronte al suo destino d’incomunicabilità e d’angoscia («Starsene soli, come dalla finestra di un carcere … “) al tempo stesso però riesce a ricreare attraverso l’attenzione agli aspetti più umili della vita, il vissuto quotidiano.