LA POETICA DI PASCOLI

LA POETICA DI PASCOLI

Già parlando del pensiero pascoliano si sono anticipati alcuni principi riguardanti la sua concezione dell’arte e della poesia in particolare; non a caso, poiché in Pascoli, come in altri poeti moderni del resto, la relazione tra la visione generale del mondo e quella particolare della poesia (che pure è sempre forte per qualunque artista) si fa molto stretta, fin quasi all’identità. Occupandosi però in senso stretto di poetica è inevitabile andare alla famosa e citatissima prosa del Fanciullino, uscita nel 1897 sulla rivista Il Marzocco, nella quale Pascoli teorizza la poesia come manifestazione di un altro soggetto che è in noi, il fanciullino interiore appunto. Riprendendo un antico mito platonico (esposto nel Fedone), il poeta afferma che, quando nasciamo siamo due fanciulli, non uno: il primo è quello interiore destinato a non crescere mai e a rimanere sempre ingenuo ed innocente, il secondo è quello esteriore che invece cresce e diviene successivamente bambino, ragazzo, giovane e adulto. All’inizio i due fanciulli coincidono: corrono, giocano e si esprimono in un solo linguaggio;pi, man mano che si cresce, il primo fa sentire sempre più raramente la sua voce, fino ad ammutolire del tutto, a morire perché costretto al silenzio dall’altro.

Questo però vale per la maggior parte degli uomini: il poeta si distingue perché, quale che sia la sua età anagrafica, mantiene vivo dentro di sé quel fancioullino, che è l’origine, la fonte d’ispirazione, colui che detta la poesia. La poesia, dunque, è la registrazione degli stupori, delle meraviglie, degli sgomenti del fanciullino interiore, fatta immediatamente (cioè, apparentemente, senza mediazioni o filtri culturali e razionali). Ne deriva una concezione che presenta alcune analogie con quella degli stilnovisti del Duecento: il poeta che ascolta e dà voce al fanciullino che ha in sé, richiama quello stilnovista che, poetando, scriveva ciò che Amore gli spirava e dettava dentro.

L’interpretazione letterale di questa prosa e quella realistico impressionistica della poesia hanno insieme contribuito a creare l’immagine diffusa e stereotipata di un Pascoli poeta della fanciullezza, sia nel senso che di quella età si farebbe cantore, sia in quello più popolare di poeta “facile”, che scrive cose particolarmente tenere e quindi idonee all’educazione dei bambini e dei ragazzi.

In realtà, si può ritenere la prosa citata (Il fanciullino, 1897) come espressione della poetica pasco liana, intendendola nel suo valore di rappresentazione della sua teoria dell’intuizione artistica. Si torna così al concetto centrale di poesia come attività teoretica, cioè conoscitiva, in quanto intuitiva. Il simbolo più appropriato di quest’arte poetica è il lampo, in effetti assai ricorrente nella poesia pasco liana: il lampo è imprevedibile e con la sua luce abbagliante e brevissima squarcia l’oscurità della notte (quasi sempre inquieta e tempestosa) e permette di cogliere tratti e oggetti immersi nel mistero delle tenebre. Esprime quindi efficacemente sia la natura sia il risultato della creazione poetica. Il carattere sperimentale della poesia pasco liana testimonia altresì l’esigenza di fondare un nuovo linguaggio idoneo a comunicare rivelazioni.

Il Fanciullino: il poeta coincide con il fanciullino che è dentro di noi: anzi l’età veramente poetica sarebbe quella infantile e nel ricordo dell’infanzia si esaurisce la poesia più autentica. Se è così, allora la poesia non si inventa ma si scopre, perché essa si trova nelle cose stesse; ma per coglierla; ma per coglierla bisogna avere gli occhi abbastanza puri (cioè liberi dai significati ormai cristallizzati che le cose hanno in genere per gli adulti), come se si vedessero le cose per la prima volta. Ora, poiché tale purezza di sguardo apparterrebbe al fanciullo in quanto egli osserva <<tutto con meraviglia, tutto come per la prima volta>>, si tratterà allora di “ritornare”  fanciulli o, più precisamente, secondo il poeta ridar voce al fanciullino che è in ciascuno di noi, seppure latente perché zittito dalla coscienza nel diventare adulti. Ciò che distingue il poeta dall’uomo comune è allora l capacità del primo di dare dapprima ascolto a questa voce e poi a questa forma di poesia.

D’altra parte il fanciullino indica simbolicamente un altro ordine di esperienza del reale, altro rispetto a quello comunemente accettato come adulto e ragionevole, prima ancora che razionale. Il fanciullino è <<quello che alla luce sogna [ossia sogna ad occhi aperti] o sembra di sognare ricordando cose non vedute mai>>, che <<parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole e alle stelle>>: fa, in altre parole, cose che, osservate in un adulto, susciterebbero quantomeno compatimento (l’adulto certe cose non le fa più, anzi non le DEVE fare più, le deve abbandonare…). Il fanciullino <<scopre nelle cose le somiglianze e relazioni più ingegnose (e in questo consiste in effetti il linguaggio simbolico o analogico); <<piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione>> di adulti.

Il fanciullino rappresenta anche un mondo, quello infantile, che agli occhi dell’adulto appare privo di conflitti: desiderare  di recuperarlo in sé, significa allaora cullare l’idea di un luogo che si sottragga al caos e alle contraddizioni della società contemporanea, una sorta di oasi di originale innocenza in cui non giungano gli echi delle violenze e delle brutture della nostra vita, in cui si spengano i contrasti e le lotte, in cui scompaiano d’incanto i nostri problemi, che sono anzitutto problemi di relazione con gli altri e col mondo. In tal modo il Pascoli coglie un tratto reale della psicologia e della condizione dell’uomo moderno, che virilmente frena questo desiderio considerandolo (giustamente, aggiungeremmo) un’illusione (che come tale è l’indice di un sintomo), per impegnarsi invece nella, magari dura, vicenda quotidiana del vivere, ma che resta forse sempre disposto a lasciarsi affascinare dall’idea che una tale condizione sia esistita nella propria infanzia, nella quale è certamente vero che vi furono un padre e una madre che, fatte le debite eccezioni, si occuparono di non farci mancare mai nulla, che tennero lontana da noi ogni bruttura e violenza, che furono pronti a soddisfare ogni nostra necessità e non, ecc.

I simboli di questa condizione sono appunto nella letteratura decadente, e nella fattispecie in quella di pascoliana, l’infanzia e la campagna (campagna ànatura à condizione naturale, originaria dell’uomo), ora più ed ora meno esplicitamente contrapposte all’uomo adulto e alla città.

 

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