LA PESTE NERA DEL TRECENTO

LA PESTE NERA DEL TRECENTO

LA PESTE NERA DEL TRECENTO

Peste nera (o grande morte o morte nera) è il termine con il quale ci si riferisce normalmente all’epidemia di peste che imperversò in tutta Europa tra il 1347 e il 1353 uccidendo almeno un terzo della popolazione del continente. Epidemie identiche scoppiarono contemporaneamente in Asia e nel Vicino Oriente, il che fa supporre che l’epidemia europea fosse parte di una più ampia pandemia.


La Peste Nera del Trecento è probabile che abbia avuto origine da un focolaio permanente (oggi “in letargo”) di peste, situato ai piedi dell’Himalaya; qui il bacillo trovò condizioni climatiche e biologiche ideali, che gli consentirono d’impiantarsi stabilmente nelle colonie di roditori che popolavano la regione, nella quale passavano le carovane della Via della Seta.
Responsabile della peste era (ed è) infatti un bacillo dal nome Yersinia pestis (dal nome del medico francese Alexandre Yersin che nel 1894 lo scoprì) parassita del topo. Annidiate nella pelliccia dei topi c’erano le pulci. Le pulci si infettavano succhiando il sangue del topo malato; poi, le pulci infettate, trasmettevano il bacillo all’uomo dopo aver percorso migliaia di chilometri nella stiva di una nave o tra i bagagli di una carovana.
Dall’Himalaya la peste fu portata in Cina (dove è attestata nel 1331) dalle lunghe carovane dei mercanti. In pochi anni la popolazione dell’Impero cinese crollò da 125 milioni di persone a 90 milioni. Sempre al seguito di mercanti, la peste raggiunse la colonia genovese di Caffa in Crimea (1346).


La diffusione della Peste Nera del 1300 – A Caffa si imbarcò sulle navi genovesi, che ai primi di ottobre del 1347 attraccarono nel porto della città di Messina, che fu contagiata. Da Messina la peste si propagò prima per tutta l’isola, per poi raggiungere, in dicembre, Reggio Calabria; all’inizio della primavera del 1348 l’epidemia colpì Amalfi e Napoli.
Dalla Sicilia la peste si diffuse in Nord Africa attraverso Tunisi, mentre la Sardegna e l’Elba erano state colpite, via mare, già nel mese di dicembre. Nel gennaio 1348 le galere genovesi, facendo scalo nei porti di Pisa e Genova, inaugurarono un nuovo itinerario di contagio: di qui, infatti, la peste si diffuse in tutta l’Italia settentrionale. Contestualmente, anche Venezia ne fu colpita attraverso la Dalmazia. A metà del 1348 la peste aveva raggiunto la Francia e la Spagna, mentre a fine anno giunse in Inghilterra. Successivamente il contagio colpì Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Austria e Ungheria. A metà del 1349 giunse in Scandinavia, nel 1350 in Svezia e nel 1351-52 l’attuale Russia.


La vastità della diffusione era dovuta dunque al topo “viaggatore”, il “portatore malato”: le pulci non avrebbero potuto spostarsi dalla Cina all’Europa senza il topo e senza la velocità con cui i topi si riproducono (basta una coppia perché dopo pochi mesi ce ne siano centinaia).
La rapidità, invece, era causata dalla sporcizia in cui viveva la gente, che da secoli era piena di pulci, le considerava compagne sgradite ma ineliminabili.
Inoltre va considerato che, una volta preso piede, il bacillo si propagava anche da uomo a uomo, attraverso la saliva: bastava uno starnuto di chi aveva in incubazione la malattia perché milioni di bacilli venissero liberati nell’aria, pronti a infettare un corpo attraverso le vie respiratorie.


La medicina del tempo non possedeva gli strumenti per combattere la malattia: la peste era attribuita alla “corruzione dell’aria” provocata da una cattiva congiunzione degli astri. Di qui i consigli: rifugiarsi in campagna, lontano dall’affollamento delle città (è la soluzione che permette nel Decameron alla brigata dei giovani fiorentini di riunirsi in campagna, lontano dalla città, e di raccontarsi le cento novelle che costituiscono l’opera di Boccaccio), chiudersi in casa, al riparo dei venti malvagi, respirare profumi, far fumo accendendo legna umida, ma soprattutto, fra i rimedi più consigliati, c’era il salasso, una pratica che consisteva nell’incidere una vena del malato e fargli perdere del sangue. Secondo la credenza generale il salasso serviva ad allontanare dal corpo gli «umori corrotti e putridi» e quindi la malattia.
La Chiesa, poi, avendo ipotizzato che si trattasse di un castigo di Dio, contribuì al contagio organizzando processioni quasi quotidiane in cui le folle di fedeli si infettavano a centinaia.


Di fronte al dilagare rapido e inesorabile del male gli uomini si sentivano inermi; l’impotenza e il terrore provocavano nella folla comportamenti isterici. Una delle manifestazioni di questo isterismo collettivo fu rappresentata da bande di penitenti che andavano di città in città mortificando corpo e anima per placare “la collera divina”. Famosi divennero i flagellanti che dall’Italia dilagarono in Germania e in Francia, e rappresentarono uno dei più vasti movimenti religiosi del tardo Medioevo. I flagellanti percorrevano le strade frustrandosi a sangue e invocando la Grazia di Dio. Le loro pubbliche esibizioni si concludevano solitamente con una caccia agli ebrei. Perché proprio gli ebrei? Perché nella storia d’Europa, il diverso per eccellenza («diverso» rispetto alla grande maggioranza dei membri della comunità per la religione, il modo di vestire, di mangiare, di comportarsi) era sempre stato l’ebreo. Invano il papa Clemente VI invitò i cristiani alla moderazione, ricordando che anche gli ebrei morivano di peste.
Ma gli ebrei non furono le uniche vittime innocenti della paura e della violenza collettiva: anche i lebbrosi furono sospettati di diffondere le pestilenze in odio al genere umano che li aveva perseguitati.


La diffusione in tutta Europa della Peste Nera, fra il 1347 e il 1352, provocò una vera e propria crisi demografica: più di 30 milioni le vittime, circa un terzo degli abitanti del continente. La peste, inoltre, non scomparve e tornò, dopo il 1350, a colpire ciclicamente, ogni dieci-quindici anni, ora in un luogo ora in un altro.
In Europa cessò di essere una malattia endemica nel corso del XVIII secolo, probabilmente in conseguenza della diffusione di un’efficiente politica sanitaria. Nel mondo essa è ancora presente con apparizioni sporadiche, ma solo la diffusione degli antibiotici (dal 1943) ha fortemente limitato le sue terribili conseguenze.


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