La Pazzia di Orlando Parte 3 Ariosto Parafrasi del 2 canto

La Pazzia di Orlando Parte 3 Ariosto Parafrasi del 2 canto

Ariosto Parafrasi del 2 canto La Pazzia di Orlando Parte 3


Questi, che manifestano il mio tormento, non sono sospiri, ne’ i sospiri sono così. I sospiri ogni tanto si interrompono ; io non sento mai il mio petto riduca il sospirare per la pena. L’ amore che mi arde il cuore, fa che questi sospire,mentre agita attorno al fuoco le ali. Amore, con che miracolo lo fai, che lo tienti (il cuore) nel fuoco e non lo consumi mai? Non sono, non sono io quello  che sembro in volto: quello che era Orlando e’ morto e sotterrato; la sua ingrata donna l’ ha ucciso: si, mancandogli di fedeltà gli ha fatto la guerra. Io sono il suo spirito da lui diviso, che in questo inferno sbaglia tormentandosi, in modo che, insieme al mio fantasma, che e’ tutto quello che resta di me, ammonisca con l’ esempio colui che affida la sua seranza ad Amore.”.  Tutta la notte il conte sbagliò per il bosco; e al sorgele del sole il suo destino lo riportò vicino al fiume dove Medoro incise l’ iscrizione. Vedere le parole che testimoniavano il suo disonore, lo accese, così che in lui non restò nulla che non fosse odio, rabbia, ira o furia; non resistette più, e sguainò la spada. Tagliò l’ incisione e il sasso, e fino al cielo fece volare le piccole schegge.  Infelice sia ogni grotta e ogni tronco in cui si legge Medoro o Angelica! Furono così ridotti (le piante ) quel giorno, che ne’ obra ne’ regigerio daranno più al pastore e al gregge: e il fiume, così chiaro e puro, non fu al riparo da un ira così grande; poiche’ i rami,i tronchi, i sassi e le zolle di terra non smise (orlando) di gettare nelle belle onde, fino a che dalla superficie fino al fondo, le intornbidò così tanto che non saranno mai più così limpide e pure. E alla fine si stancò, dal momento che la forza fisica, ormai esaurita, non era piu’ in grado  di servire allo sdegno, al pesante odio e all’ ardente ira; cadde sul preto e si mise a sospirare verso il cielo. Afflitto e sctanco cadde nell’ erba, e fissò gli occhi al cielo, non disse nessuna parola. Rimane così, senza mangiare e senza dormire per tre giorni. Il suo dolore non smise di crescere, finche’ non l’ ebbe fatto impazzire. Il quarto giorno, sconvolto da pazzia violenta , si tolse di dosso tutta l’ armatura. Qui resta l’ emlo, là resta lo scudo, londano rimangono gli arnesi (corredo dell’ armatura), e più lontano ancora c’e’ la corazza: tutte le sue armi, alla fine, erano sparse per il bosco. E poi si squarciò i vestiti, e rimasero nudi il peloso petto e la schiena; e iniziò la grande pazzia, così orrenda, che nessuno sentirà mai parlare di una (follia) piu’ orrenda di questa. Gli scaturì così tanta rabbia e così tanto furore che tutte le sue facoltà sensitive erano alterate. Non gli sovvenne di prendere la spada.  Ma ne quella, nè una scure, nè una bipenne (scure a due lame) erano necessarie al suo immenso vigore. Qui fece davvere alcune tra le sue imprese più straordinarie, sradicò un grande pino con un solo scrollone:  e ne abbattè, dopo il primo, molti altri come se fossero state piante dal fusto tenero; e fece la stessa cosa con querce,  vecchi olmi, faggi e abeti. Quello che fa un uccellatore, che per  ripulire il campo dove mettere le reti ne estirpa le erbaccie, Orlando lo faceva con le querce e con le altre piante secolari del bosco. Il patore che aveva sentito il gran chiasso, lasciando il gregge sparso per la foresta, in fretta venne a vedere che cosa fosse quel rumore. Ma sono giunto a quel punto che se lo oltrepasso, la mia storia vi potrebbe essere dannosa; e io la voglio rinviare ad un altro canto.


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