LA PATENTE DI PIRANDELLO

LA PATENTE DI PIRANDELLO

RIASSUNTO ANALISI E TRAMA


RIASSUNTO

l giudice D’Andrea era una persona sulla quarantina, il cui aspetto era caratterizzato da elementi di molteplici razze. La condotta morale era però l’opposto della sua sbilenca facciata: chiunque lo avesse conosciuto avrebbe potuto confermarlo.
Non aveva potuto nella sua vita vedere molte cose, ma pensava moltissimo, soprattutto la notte, osservando le stelle dalla finestra e trastullandosi coi suoi capelli da negro. Questo errare della mente terminava con la luce del giorno, quando il giudice doveva andare ad amministrare la giustizia. Assolveva al suo compito con la massima puntualità, rinunziando al pranzo pur di concludere ogni pratica; tuttavia questa meticolosità gli accresceva la pena del lavoro. Neppure i suoi pensieri notturni lo aiutavano, anzi, sembravano essere avversi al mestiere di giudice istruttore.

Una sola pratica sfuggiva a questa precisione. D’Andrea, dopo aver provato inutilmente ad occuparsene, domandava consigli ai colleghi, i quali al solo sentir nominare Chiàrchiaro si prodigavano in scongiuri. Quella di Chiàrchiaro era una causa persa: aveva egli infatti accusato due persone di aver fatto gli scongiuri al suo passaggio, essendo convinzione comune che il suddetto fosse uno jettatore. Il giudice non aveva idea di come adempiere al suo lavoro, perciò mandò a chiamare l’interessato che, puntualmente, si presentò. L’aspetto di Rosario Chiàrchiaro lo rendeva certamente una persona poco raccomandabile. D’Andrea volle sapere il perché di quella causa, che considerava persa in partenza. L’accusatore stesso aveva fornito prove dell’innocenza degli imputati, e tutto ciò non faceva che aumentare i dubbi del giudice. Chiàrchiaro un tempo lavorava ma, per la sua fama di jettatore, fu licenziato e lasciato sul lastrico. Soltanto una certificazione del suo potere avrebbe potuto risollevarlo, in modo da farsi pagare per non trovarsi vicino, e portar male, a fabbriche o botteghe. Tutto ciò che voleva era una patente da jettatore.


ANALISI DEL TESTO LA PATENTE

Nella novella “la patente” scritta da Pirandello e successivamente raccolta in “Novelle per un anno”, tratta la storia del giudice D’Andrea e di Rosario Chiarchiaro, un impiegato licenziato a causa del sospetto di essere uno iettatore. L’uomo ha sporto denuncia presso la magistratura contro due giovani, che al suo passaggio avrebbero fatto il classico gesto di superstizione popolare delle “corna” per allontanare il malaugurio. Il giudice D’Andrea si trova allora di fronte ad un caso paradossale, dato che, in quanto esponente della legge, non può certo credere all’esistenza della sfortuna né può tutelare in alcun modo gli interessi di Chiarchiaro che, a causa delle malelingue del paese, oltre ad aver perso il posto di lavoro, non riesce a far sposare le figlie ed è costretto a tenere segregata in casa l’intera famiglia. La situazione si complica quando Chiarchiaro è convocato in tribunale per dare la sua versione dell’accaduto, infatti anziché difendersi o ritirare la denuncia, il protagonista, vestitosi da autentico menagramo, reclama con forza e convinzione di andare a processo, e anzi di poter ottenere una “patente” del suo status di portasfortuna. Il brano si conclude con il giudice D’Andrea che, sconcertato e sconfitto, non può far altro che fare di Rosario Chiàrchiaro un impiegato comunale, stipendiato perché non causi il malocchio al resto della cittadinanza.

Questa novella, come molte altre opere di Pirandello, rappresenta il dramma dell’uomo costretto in un’immagine nella quale gli altri lo hanno calato. Il tema costante e fondamentale per l’autore è infatti quello dell’impossibilità dell’individuo di avere un’identità; l’uomo non è uno, ma è tanti quante sono le sue relazioni con gli altri, infatti è costretto in una “maschera” che gli altri gli attribuiscono. Oltre al tema centrale della “maschera” vi sono anche altri temi molto significativi come “il giudizio superficiale fatto in base a ciò che appare e non a ciò che si è” e “la vita fatta di apparenze”. Ciò che amalgama molto bene questi tre temi è l’umorismo, infatti è tipico della narrativa di Pirandello creare situazioni bizzarre ed umoristiche. Inoltre queste situazioni, al di là del sorriso, mettono a nudo pessimisticamente tutta la pena di vivere del personaggio. Il contrasto tra apparenza comica e tragicità di fondo rende Chiarchiaro un personaggio non comico ma umoristico, testimoniando quel sentimento che Pirandello definì “sentimento del contrario”. Si tratta di un modo particolare di osservare la vita, integrando la realtà come appare con la riflessione su quello che si nasconde dietro le apparenze. La riflessione consente di osservare contemporaneamente la realtà da un punto di vista diverso, di vederne il suo contrario, cioè il suo aspetto nascosto: un atteggiamento ridicolo, per esempio, può essere letto come il risultato di una sofferenza, o in un sentimento tragico possiamo vedere l’aspetto ridicolo. Infatti come dice lo stesso Pirandello, “una vecchia signora coi capelli ritinti, orribilmente truccata e con abiti da ragazza, suscita il sorriso (comicità), ma se scatta il sentimento del contrario (umorismo) e rifletto sul fatto che forse quella signora si abbiglia così solo per trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, allora partecipo al dolore del personaggio e ne provo pietà”.


PIRANDELLO LA PATENTE TRAMA

Trama:

La storia narra della decisione che prende un pover’uomo etichettato come “jettatore”, senza possibilità di riscatto, che per sfuggire alla miseria che questo soprannome gli porta (perdita del lavoro, esclusione dalla società), decide di volgere a proprio favore la situazione in cui si trova, prendendo su di se questo titolo come lavoro e pretendendo anche una patente, ovvero un riconoscimento delle doti che gli sono state attribuite e che d’ora innanzi sfrutterà per vendicarsi e sopravvivere in quella stessa società che lo ha prodotto.

Personaggi:

Rosario Chiàrchiaro, Rosinella, sua figlia, Il giudice istruttore D’Andrea, Tre altri Giudici, Marranca, usciere

Descrizione di un personaggio:

Rosario Chiarchiaro. Benché compaia in un secondo momento è il protagonista della vicenda, personaggio attorno alla quale si muovono tutti i sentimenti della novella: la pietà del giudice, la superstizione del popolo, la disgrazia delle figlie, l’ambascia che trascina ovunque vada. Chiarchiàro è un pover’uomo che per la sua reputazione di portare sfortuna viene bandito da cittadino e dalla società; buttato sulla strada senza lavoro e pieno di odio per il genere umano alla fine trova un modo di riscattarsi usando a suo favore la stupidità di coloro che odia, e sfruttarla per rivendicare la sua umanità e trovare una sua personale giustizia.

Luoghi della vicenda narrata:  

Paesino italiano.

Tempo della storia:

Anni contemporanei all’autore, quindi i primi del novecento.

Tempo del racconto:

I fatti vengono narrati in tempo reale nell’arco di una giornata.

Tematiche proposte:

Le tematiche che l’autore ci propone sono molteplici e tutte rivolte all’essere umano nelle molteplici facce della sua disperazione: la paura ignorante, la crudeltà, la povertà, la volontà di riscatto, lo sfruttamento del prossimo, la discriminazione più cieca, la pietà. Nella figura del giudice c’è l’uomo sobrio, capace di compassione e intelligenza di fronte all’ingiustizia, all’ignoranza del popolo; in Chiàrico troviamo tutto ciò che invece un uomo qualsiasi può arrivare a diventare quando è vittima del gioco crudele della società, che arriva poi ala folle gioia dell’infliggere il male inventato dagli stessi che lo hanno discriminato, fino a sfruttare la causa della sua rovina. Di fronte a questo prodotto della società anche l’uomo migliore soccombe come il giudice vedrà morire il suo cardellino, il simbolo dell’ umanità che porta con sé ovunque, della parte ingenua forse di ognun di noi, che nel momento del pubblico riconoscimento della malasorte di Chiarico finisce per morire, a conferma della patente, emblema di come ogni credenza arrivi a essere verità nell’ignoranza.

Frase da ricordare:

Tale e quale come noi, amici miei, quando crediamo che la natura ci parli con la poesia dei suoi fiori, o con le stelle del cielo, mentre la natura forse non sa neppure che noi esistiamo.

Incipit:

Il giudice d’Andrea entra per la comune col cappello in capo e il soprabito. Reca in mano una gabbiola poco più grossa d’un pugno, va davanti alla gabbia grande sul quadricello, ne apre lo sportello, poi lo sportellino della gabbiola e fa passare da questa nella gabbia grande un cardellino.