LA MORTE DI MASTRO DON GESUALDO ANALISI

LA MORTE DI MASTRO DON GESUALDO ANALISI

Analisi e commento

Divisione in tre macro-sequenze:

  1. Gesualdo ammalato nel palazzo del genero e della figlia a Palermo 
  2. Gesualdo prende coscienza della gravità della propria malattia e del fallimento della propria vita
  3. La morte di Gesualdo

Prima macrosequenza

  • La narrazione viene condotta dal punto di vista di mastro-don Gesualdo che nel palazzo del genero vede l’improduttività della vita aristocratica e lo sperpero della ricchezza, da lui così faticosamente accumulata, senza nulla poter fare per fermare quello scempio.

Tutta quella gente che mangiava e beveva  alle spalle di sua figlia, sulla dote che egli le aveva dato su […] le terre che aveva covato cogli occhi tanto tempo, sera e mattina, e misurato col desiderio, e sognato la notte, acquistato palmo a palmo, giorno per giorno, togliendosi il pane di bocca
( notare l’insistita ripetizione della congiunzione e che esprime la pazienza e la dedizione costante alla roba).
Come Mazzarò anche Gesualdo sottolinea l’incapacità dei nobili di gestire il patrimonio, poiché solo interessati alle apparenze, al cerimoniale, all’ossequio formale preteso dai loro subordinati.
Il genero di Gesualdo è come il padrone di Mazzarò:
[…] il signor duca quando usciva di casa, a testa alta, con il sigaro in bocca e il pomo del bastoncino nella tasca del pastrano, fermavasi appena a dare un’occhiata ai suoi cavalli, ossequiato come il Santissimo Sacramento, le finestre si chiudevano in fretta, ciascuno correva al suo posto, tutti a capo scoperto, il guardaportone col berretto gallonato in mano, ritto dinanzi alla sua vetrina, gli stallieri immobili accanto alla groppa delle loro bestie, colla striglia appoggiata all’anca […] una commedia che durava cinque minuti. Dopo, appena lui voltava l’angolo, ricominciava il chiasso e la baraonda […].
La consumazione del patrimonio che Gesualdo ha accumulato con tanta fatica procede di pari passo con la consumazione del suo corpo divorato dal cancro.

  • Il punto di vista dell’ex manovale emerge anche nel disagio con cui Gesualdo cerca di adattarsi all’etichetta della vita aristocratica con i suoi riti incomprensibili ed inutili: […] ogni cosa regolata a suon di campanello, con un cerimoniale da messa cantata, per aver un bicchier d’acqua, o per entrare nelle stanze della figliola. Lo stesso duca , all’ora di pranzo, si vestiva come se andasse a nozze. 
  • E’ ancora il giudizio di Gesualdo quello che domina nella rappresentazione del genero, di cui vengono evidenziate l’ipocrisia e l’ingordigia. Il marito di Isabella dietro l’apparenza affettuosa ( […] nel viso, nelle parole, sin nel tono della voce, anche quando voleva fare l’amabile [… ] aveva qualcosa che vi respingeva indietro e vi faceva cascar le braccia)  vuole una delega  che lo autorizzi ad amministrare il patrimonio di Gesualdo.     

Già nella prima macro-sequenza emergono i temi dominanti l’intero capitolo: la solitudine e l’incomunicabilità la sistemazione di Gesualdo nella foresteria riservata, come dice il nome, agli estranei, fa comprendere anche a livello lessicale l’isolamento fisico e psicologico cui viene relegato il protagonista.

Seconda macro-sequenza
Il tema dell’incomunicabilità, già annunciato nella prima parte, diventa il motivo conduttore della seconda macrosequenza, modulato in vari episodi.

  • Dapprima vi è l’incomunicabilità con i dottori che curano Gesualdo, ma al tempo stesso lo disprezzano, poiché devono a lui i servigi che riservano solo ai veri nobili e ritengono degradante soddisfare le richieste di un ex manovale. Per questo, quando Don Gesualdo chiede informazioni dirette sulla natura del suo male, […] il signor dottore cominciò a fare una scenata col duca, quasi gli si fosse mancato di rispetto in casa sua. Ci volle del bello e del buono per calmarlo, e perché non piantasse lì malato e malattia.
  • Ben più dolorosa per Gesualdo è l’incomunicabilità con la figlia: con lei vorrebbe instaurare un rapporto affettivo autentico, ma Isabella è chiusa nel suo rancore verso il padre, responsabile di averla costretta a sposare un uomo che non ama, e della  cui estrazione popolare si vergogna.

Isabella è come il marito, apparentemente gentile e premurosa, in realtà  indifferente al dramma che sta vivendo il padre. Il sorriso freddo del duca si accompagna alla buona grazia che Isabella aveva imparato in collegio e sono entrambi espressione di una mancanza di veri sentimenti.
La distanza affettiva tra padre e figlia si evidenzia anche nel fallimento del tentativo di Gesualdo, ormai consapevole di morire, di trasmettere ad Isabella la religione della Roba .  Le raccomandava la sua roba, di proteggerla, di difenderla: piuttosto farti tagliare la mano vedi! […] quando tuo marito torna a proporti di firmare  delle carte! Lui non sa che cosa vuol dire. Ma Isabella lo interrompeva non voleva che parlasse, smaniava per la stanza, si cacciava le mani nei capelli, diceva che le lacerava il cuore,che gli pareva un malaugurio; in realtà, nulla le importava di ciò  a cui suo padre aveva sacrificato tutta la vita
Il dramma dell’incomunicabilità e della solitudine raggiunge la sua massima tensione nella conclusione del colloquio, quando nella disperata ricerca di un punto di contatto con la figlia, Gesualdo vorrebbe aprirle il cuore come al confessore e leggerle nel suo. Gesualdo ha degli scrupoli di coscienza e vuole che Isabella si incarichi di eseguire la sua volontà testamentaria (alcuni lasciti per figli avuti da Diodota); mentre parla cerca di scorgere nello sguardo della figlia il desiderio di comunicargli  quell’altro segreto, quell’altro cruccio, poiché anche Isabella ha avuto un figlio illegittimo dal cugino Corrado. Ma la speranza di Gesualdo è destinata a scontrarsi con la realtà della sua solitudine e del suo fallimento esistenziale: ella  chinava il capo, quasi avesse indovinato,  colla ruga ostinata dei Trao fra le ciglia, tirandosi indietro, chiudendosi in sé, superba,  con i suoi guai e il suo segreto. E lui allora sentì di tornare Motta , com’essa era Trao, diffidente, ostile, di un’altra pasta .

Terza macro-sequenza
La sconfitta esistenziale del protagonista giunge al suo epilogo: Gesualdo è lasciato solo nel momento dell’agonia e della morte, sopportato più che accudito da un servitore malevolo. La conclusione del romanzo è condotta dal punto di vista di Leopoldo da cui traspare l’insofferenza per l’incarico che gli è stato assegnato: accudire un uomo che ritiene un suo pari  se non addirittura un inferiore!
Il suo punto di vista viene bene espresso dalla folla di servitori che si accalcano nella stanza del morto, in manica di camicia e colla pipa in bocca – Pazienza servire quelli che sono nati meglio di noi … – dove la reticenza espressiva è molto eloquente:
Mastro-don Gesualdo appare ai ceti umili un traditore della comune classe sociale, colpevole di aver voluto mutare stato e, per questo, disprezzato e condannato all’emarginazione e alla solitudine.
La condanna di che vuole cambiare stato è condivisa anche da Verga, che non esprime alcuna solidarietà con il suo personaggio. Ancora una volta è la tecnica dello straniamento che ci permette di cogliere il pensiero dell’autore senza che venga esplicitato direttamente. Noi lettori non possiamo infatti non avvertire come strani rispetto al normale  i termini con cui vengono sottolineate le fasi dell’agonia di Gesualdo: capricci, canzone, contrabbasso, uzzolo e mattana ( termini questi ultimi propri del linguaggio di scuderia e riferiti ai cavalli imbizzarriti), ma anche certi comportamenti come quello di Leopoldo, che prima di avvertire la padrona della morte del padre, rassetta la camera e s’affaccia alla finestra a prendere una boccata d’aria fumando o  il comportamento irriguardoso degli altri servitori, già sopra segnalato.