La morte di Ettore parafrasi vv 247-371

La morte di Ettore parafrasi vv 247-371

-Parafrasi dal verso 247 al verso 371


-Atena disse queste cose ad Ettore e continuò, per ingannarlo meglio. Quando poi Ettore ed Achille si trovarono uno di fronte all’altro, disse per primo il forte Ettore, che indossava l’elmo con il pennacchio ondeggiante:

«Non fuggirò più da te figlio di Peleo: è vero, sono scappato correndo tre volte attorno alle mura di Troia, senza avere il coraggio di affrontarti, ma adesso ho trovato la forza di fronteggiarti: debba io ucciderti o essere ucciso. Ma su, ora invochiamo gli dei; saranno loro a fare da testimoni e ad essere garanti dei nostri patti. Se Zeus mi darà la possibilità di vincere, io non sconcerò il tuo corpo, ma, dopo che ti avrò spogliato delle tue armi, restituirò la tua salma agli Achei, ti chiedo di fare altrettanto».

Lo guardò minacciosamente Achille veloce: «Non parlarmi tu maledetto di accordi! Come sono impossibili patti fra gli uomini e i leoni, né i lupi e gli agnelli possono avere intenti comuni – infatti si odiano l’un l’altro-, così io e te non possiamo essere concordi; né possiamo stringere patti prima che uno di noi, morendo, sazi col suo sangue il dio Ares, armato di scudo. Ora cerca di raccogliere tutte le forze e le tue abilità, perché ti servirà essere un bravo guerriero e un uomo coraggioso. Ormai non hai più scampo, presto verrai abbattuto con la mia lancia da Pallade Atena; ora pagherai per aver ucciso i miei compagni con la tua lancia».

Così disse e, dopo aver bilanciato la lancia, la scagliò. Ettore splendido la vide arrivare e la schivò, si rannicchiò svelto, così la lancia passò sopra di lui e si piantò nella terra; la raccolse Atena splendente e la ridiede ad Achille, senza farsi vedere da Ettore, comandante dei popoli. Allora Ettore disse ad Achille perfetto:

«Hai fallito, non era vero che tu, che sei un semidio, avevi saputo da Zeus che sarei morto; eppure lo avevi detto, sei stato bravo a parlare, mi hai ingannato con i tuoi discorsi, in modo tale che, a causa della paura, dimenticassi il mio coraggio e la mia forza. Non mi colpirai con la lancia mentre fuggo, al contrario, mi potrai trafiggere il petto mentre ti attacco, se un dio te l’ha concesso; schiva ora la mia lancia di bronzo: magari ti si piantasse tutta nel corpo! Sarebbe meno faticosa la guerra per i Troiani se tu fossi morto: sei per loro la minaccia più grande».

Così disse e, dopo aver bilanciato la lancia, la scagliò. Non sbagliò la mira, però la lancia colpì lo scudo di Achille e rimbalzò lontano. Ettore era furioso perché aveva fallito il colpo; rimase attonito, non aveva un’altra lancia. Chiamava Deifobo dallo scudo lucente, gridando a gran voce: gli chiedeva un’altra lunga lancia, ma egli non gli era più vicino. Ettore allora comprese il suo destino e disse:

«Ahimé, gli dei hanno deciso la mia morte: io credevo di avere vicino Deifobo, invece egli è dentro le mura, Atena mi ha ingannato. Per me è ormai vicina la morte funesta e non ho scampo, da tempo Zeus e suo figlio Apollo mi sono ostili, nonostante in passato mi proteggessero; il mio destino è segnato. Almeno non morirò senza combattere e senza gloria, anzi compiendo qualcosa di importante, affinché possa essere ricordato anche in futuro!»

Disse così, e sfoderò la spada tagliente, che pendeva attaccata al suo fianco, robusta e possente, si slanciò, pronto e guardingo come un’aquila che vola a grandi altezze e plana tra le nuvole grigie per catturare un indifeso agnello o una lepre impaurita; Ettore andò all’assalto così, agitando con forza la spada tagliente. Achille gli si avventò contro pieno d’ira, tenendo lo scudo ben forgiato davanti al petto, e facendo ondeggiare l’elmo luminoso, fabbricato con quattro strati; i crini dorati, che Efesto aveva applicato abbondantemente sull’elmo, ondeggiavano al vento. Come, al calar della notte, sorge luminosa la stella di Espero, la più bella tra gli astri del cielo, così brillava la punta della lancia che il Pelide brandiva con la mano destra; voleva la morte di Ettore divino e ne scrutava il corpo per vedere il punto in cui era più vulnerabile. Il corpo di Ettore era completamente protetto dalle armi in bronzo, splendenti, tolte a Patroclo senza ritegno, dopo averlo ucciso; rimaneva però scoperta la parte in cui la clavicola divide il collo dalle spalle; quando si viene colpiti in questo punto, si muore più velocemente. Achille perfetto, partito all’attacco, lo colpì proprio lì; l’arma trapassò il morbido collo, ma la lancia di frassino e bronzo non tagliò la trachea, così Ettore poteva ancora parlare. Cadde nelle polvere e Achille divino disse trionfante:

«Ettore, mentre spogliavi Patroclo delle armi, pensavi forse di farla franca, non avevi paura di me perché ero lontano, incosciente! Pur se distante da lui, io restavo un guerriero molto più forte anche alle navi ricurve, sono io che ti ho tolto la vita. Del tuo corpo si ciberanno cani e uccelli, mentre a Patroclo verrà data una degna sepoltura da parte degli Achei».

Esausto gli rispose Ettore con l’elmo che oscillava: «Per la vita, per le ginocchia e per i tuoi genitori, ti prego di non lasciarmi qui come pasto per cani vicino alle navi achee, accetta invece grandissime quantità di bronzo e d’oro, doni che ti faranno i miei genitori, restituisci il mio corpo perché possa essere cremato dai Troiani e dalle le loro mogli, quando sarò morto».

Guardandolo torvo disse Achille veloce: «Non supplicarmi, cane, per le ginocchia e i genitori! Se avessi il coraggio e il furore di sbranarti e mangiarti crudo lo farei, perché tu devi pagare per ciò che hai fatto; nessuno potrà risparmiare il tuo corpo dai cani, neanche se venissero a portarmi un riscatto dieci o venti volte più grande, o anche se me ne promettessero ancor più, nemmeno se Priamo Dardanide venisse qui di persona e pagasse in oro il tuo peso, nemmeno in quel caso lascerei che la tua nobile madre possa piangere il tuo corpo steso sul letto, verrai invece mangiato da cani ed uccelli».

Gli rispose Ettore dall’elmo ondeggiante, ormai vicino alla morte: «Conosco bene la tua natura, sapevo che non ti avrei piegato: hai un cuore duro come il ferro nel tuo petto. Stai attento che la mia morte non diventi per te motivo di vendetta da parte degli dei, il giorno in cui morirai alle porte Scee per mano di Paride e Apollo lucente».

Mentre diceva questo fu avvolto dall’ombra della morte, la sua anima volò via dal corpo e discese agli Inferi, rimpiangendo la vita che gli è stata tolta, abbandonando il vigore e la gioventù.

Benché ormai fosse morto, gli disse il divino Achille: «Muori! Accetterò il mio destino quando Zeus e gli altri dei vorranno che si compia». Così disse e tolse la lancia dal corpo di Ettore, l’appoggiò di lato, e si mise a depredarlo delle armi macchiate di sangue; accorsero gli altri Achei, ammirando la sua maestosità ma, nonostante ciò, lo colpirono tutti.