LA MAGA CIRCE

LA MAGA CIRCE

(Libro X vv. 203-260)


Allora in due gruppi tutti i compagni forti schinieri

divisi, e diedi un capo a ciascuno dei gruppi;

degli uni o avevo il comando, degli altri Euriloco simile a un dio.                                      205

Le sorti in un casco di bronzo scuotemmo rapidamente,

e balzò fuori la sorte del magnanimo Euriloco.

Si mosse, dunque, e con lui ventidue compagni

piangenti; e noi singhiozzanti si lasciarono dietro.

Trovarono in un vallone la casa di Circe,                                                                             210

fatta di pietre lisce, in posizione scoperta.

E intorno c’erano lupi montani e leoni,

che lei stregò, dando farmachi tristi.

Questi non si lanciarono sugli uomini, anzi,

con le code diritte a carezzarli si alzarono.                                                                          215

Come i cani intorno al padrone, che dal banchetto ritorna,

si sfregano; perché porta sempre qualche dolce boccone;

così intorno a loro i lupi zampe gagliarde e i leoni

si sfregavano; allibirono quelli a veder rnostri paurosi.

Si fermarono nell’atrio della dea trecce belle,                                                                      220

e Circe dentro cantare con bella voce sentivano,

tela tessendo grande e immortale, come sono i lavori

delle dee, sottili e splendenti e graziosi.

Fra loro prendeva a parlare Polite capo di forti,

ch’ era il più caro per me dei compagni e il più accorto:                                                      225

<<O cari, qui dentro una che tesse gran tela

soave canta, e tutto il paese ne suona;

o donna o dea. Su, presto, chiamiamo!»

Così disse e quelli gridarono chiamando.

Subito lei, uscita fuori, aperse le porte splendenti                                                               230

e li invitava; e tutti stoltamente le tennero dietro.

Ma Euriloco restò fuori, ché temeva un inganno.

Li condusse a sedere sopra troni e divani

e per loro del cacio, della farina d’orzo e del miele

nel vino di Pramno mischiò: ma univa nel vaso                                                                   235

i farmachi tristi, perché del tutto scordassero la terra paterna.

E appena ne diede loro e ne bevvero, ecco che subito,

con la bacchetta battendoli, nei porcili li chiuse.

Essi di porci avevano testa, e setole e voce

e corpo: solo la mente era sempre quella di prima.                                                               240

Così quelli piangenti furono chiusi; e a loro Circe

ghiande di leccio e di quercia gettava e corniole

a mangiare, come mangiano i porci che a terra si voltolano.

Euriloco tornò indietro, all’agile nave nera.


Il palazzo di Circe tra il meraviglioso e la magia. Elementi meravigliosi e antichi rituali magici si fondono nella narrazione omerica. L’ambientazione spaziale è delineata in modo schematico e convenzionale: la dimora della maga Circe, descritta con semplicità realistica che assume connotazioni fantastiche, corrisponde alla fiabesca capanna della strega. Il palazzo sorge in una valle stretta e selvaggia (il bosco delle fiabe), dove i lupi e leoni innaturalmente domestici e mansueti (si tratta di uomini trasformati in animali) non aggrediscono i compagni di Odisseo ma quasi ne cercano la protezione (a carezzarli si alzarono, v. 215). Tutti sono spaventati dall’inganno del luogo, ma solo Euriloco ne intuisce l’inganno (e avvertirà Odisseo), mentre Polite e gli altri si lasciano sedurre dall’apparenza: la bellezza di Circe, l’armonia soave del suo canto, la rassicurante compostezza suggerita dalla pratica della tessitura (che simboleggia le trame e gli inganni della maga), le porte splendenti del palazzo, l’accoglienza ospitale li rendono vittime dei poteri magici e dei sortilegi.

Il significato della trasformazione. Circe appare davanti ai nostri occhi come l’immagine della donna-strega, l’opposto oscuro e inquietante della luminosa donna-angelo che percorre da sempre la pagina della letteratura e della poesia. Fin dalla descrizione fisica della rnaga, tratteggiata a tinte fosche, siamo introdotti in una torbida atmosfera dominata dall’irrazionalità, dal caos — qualcosa di vicino al caos primordiale — in cui domina incontrastato l’istinto umano, l’ancestrale bestialità insita nell’uomo. E non è un caso che i compagni di Ullisse siano tramutati in porci, animali particolarmente ottusi e sgradevoli.

Artefice di tale orrenda trasformazione è proprio Circe, la donna-maga cha ha in mano la chiave per la sottomissione massima dell’uomo, l’annientamento assoluto delle sue facoltà razionali, della sua stessa dignità. Circe, che attrae e spaventa, è il frutto della visione fondamentalmente misogina (di odio per la donna) dei rapporti uomo-donna, tipica dell’antichità: Circe è bella e maliarda, e grazie al proprio fascino attrae gli uomini nella propria rete; Circe, insomma, è la personificazione del male, della tentazione che rende deboli e codardi.

Una sola forza può opporsi alle lusinghe perverse della maga: l’intelligenza. Per questo Ulisse, simbolo della mètis, non cade vittima di Circe: a lui, e solo a lui, Ermes (Mercurio) dona la misteriosa erba rnoly che 1o salva e che annienta le arti della maga, ricondotta così alla terrena condizione di donna impaurita e sottomessa all’uomo.

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