LA LUNA E I FALO TRAMA DI CESARE PAVESE

LA LUNA E I FALO TRAMA DI CESARE PAVESE

La storia, raccontata in prima persona, non concerne solo il protagonista, di cui viene detto solo il soprannome Anguilla, ma tanti altri personaggi che entrano in relazione con lui, in un paese della valle del Belbo che non viene mai nominato ma che è Santo Stefano Belbo.
Il romanzo è un misto tra passato e presente e proprio per questo non è narrato nei minimi dettagli, ma vengono raccontati eventi che non sono (apparentemente) collegati tra loro, se non dai pensieri e dalle riflessioni del protagonista.
In trentadue capitoli il lettore si perde nei ricordi, spesso tristi, che Anguilla rivive con l’amico Nuto e capisce quanto sia importante per ognuno avere un paese, una famiglia, un punto di riferimento che leghi alla vita; di questo Anguilla si rende conto quando, lontano dalla sua valle, viene richiamato alla sua patria non da un amico o dalla patria stessa, bensì da quel senso di appartenenza al suo paese che lui si porta dentro insieme a tanta nostalgia.
La storia inizia quando Anguilla, tornato emigrante dall’America dopo la Liberazione, ritorna con il pensiero al momento in cui neonato era stato abbandonato sugli scalini del Duomo di Alba e quindi portato all’ospedale di Alessandria, dove era stato adottato da Padrino e da Virgilia che per questa adozione ricevevano una mesata di cinque lire.
Quando, successivamente alla morte di Virgilia e a una grandinata che distrusse la piccola vigna, Padrino decise di vendere il casotto dove vivevano, Anguilla si trasferì alla fattoria della Mora, dove iniziò a lavorare per la prima volta; c’era benessere in quel casale insieme a sor Matteo e alle tre figlie: Irene, Silvia e Santa (la più piccola e bella). Pur essendosi affezionato a loro, tornato dall’America, preferisce non rivedere quel luogo.
Per prima cosa, invece, Anguilla va a vedere la casa del Padrino, rimasta uguale, e conosce il nuovo proprietario, il Valino, e suo figlio Cinto, un ragazzo gracile e solitario. Quest’ultimo gli fa ricordare i tempi in cui era ragazzo, quando Nuto, più grande di lui, trattandolo sin da allora da amico, cercava di insegnargli tutto ciò che sapeva; ecco: Anguilla vuole essere per Cinto ciò che Nuto era stato per lui.
Trascorrono molto tempo insieme, nasce anche un’amicizia tra loro e Cinto sa di potersi fidare di Anguilla e proprio per questo quando il Valino uccide la nonna e la zia, dà fuoco alla casa e si suicida, il ragazzo va subito da Anguilla, che insieme a Nuto cerca di tranquillizzarlo.
Anguilla sa che Irene e Silvia, come tanti altri, sono morte, ed entrambe male, ma gli rimane oscura la sorte di Santa, che Nuto gli rivela solo alla fine: di notevole bellezza sin da quando era piccola, la donna, inquieta, era diventata spia prima dei tedeschi e dopo dei partigiani, poi ancora dei tedeschi e dei repubblichini; proprio allora era stata giustiziata, ancora in giovane età.
È con la scoperta di questa triste vicenda che si conclude il romanzo, ma sicuramente non il viaggio di Anguilla. Da ragazzo pensava che il paese in cui viveva fosse tutto il mondo, ma ora che, viaggiando, ha capito come veramente è fatto il mondo, si rende conto che il proprio paese è in fondo la propria famiglia, «un paese vuol dire non essere mai soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo che anche quando non ci sei resta ad aspettarti». Come lui stesso dice: «un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via».
Anguilla però aveva sentito il bisogno di tornare, perché quegli stessi vigneti, alberi di fichi e valli non li ha trovati da nessun’altra parte; appena giunge alla valle del Salto si accorge che nulla è cambiato: ci sono gli stessi suoni, gli stessi odori e gli stessi sapori che il protagonista si è sempre portato dentro. È vero che lui ritrova la stessa vita di un tempo, ma sicuramente non le stesse persone: ritrova solo Nuto, il suo più caro amico e mentore, a cui rivela tutti i suoi pensieri e con il quale si perde nei ricordi passati, a volte anche allegri e spensierati, spesso tristi. Alla ricerca, sempre, anche inconsapevolmente, della consapevolezza: se non si può aggiustare il mondo – come vorrebbe la coscienza sociale di Nuto, che infine si scopre propria anche del protagonista -, almeno conoscere: gli archetipi, i ritmi, la terra, gli uomini e le loro storie, più spesso disperate, sempre inquiete.

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