LA GUERRA ANGLO-BOERA

LA GUERRA ANGLO-BOERA

Gli avvenimenti che portarono alla colonizzazione dell’Africa australe meritano una considerazione particolare: sia perché costituirono un esempio tipico di impulso espansionistico proveniente non tanto dalla madrepatria, quanto dalla stessa realtà coloniale (nella fattispecie dalla colonia inglese del Capo); sia, e soprattutto, perché l‘imperialismo europeo, in questo caso britannico, si scontrò con un nazionalismo locale anch’esso di origine europea, quello boero, provocando un inedito conflitto coloniale fra due popoli bianchi e cristiani.

Discendenti dagli agricoltori olandesi che nel XVII secolo avevano colonizzato la regione del Capo di Buona Speranza, i boeri erano caduti sotto la sovranità dell’Inghilterra quando questa aveva ottenuto la colonia, al tempo delle guerre napoleoniche. Molti di loro, per sfuggire alla sottomissione, avevano dato vita ad un massiccio esodo verso nord (il cosiddetto grande trek, ossia grande marcia), dove avevano fondato le due repubbliche dell’Orange (1845) e del Transvaal (1852). Ma la scoperta di importanti giacimenti di diamanti nel Transvaal, alla fine degli anni ’60, risvegliò l’interesse della Gran Bretagna che lasciò mano libera alla politica aggressiva attuata dalla classe dirigente inglese  della Colonia del Capo, minacciata dalla crescita economica delle due repubbliche.

Protagonista e promotore principale di questa politica aggressiva fu Cecil Rhodes, politico ed uomo d’affari, presidente e padrone della British South Africa Company, primo ministro della Colonia del capo fra il ’90 ed il ’98. Egli metteva una colossale fortuna personale, accumulata con il quasi monopolio della produzione diamantifera, al servizio di un disegno imperiale. Si dovette comunque alla frenetica attività di Rhodes se la Gran Bretagna poté espandere i suoi domini in una buona parte dell’Africa meridionale, fino alla zona dello Zambesi (che appunto da Rhodes avrebbe avuto il nome di Rhodesia).

Un ulteriore elemento di tensione fu costituito dalla scoperta, nel 1885-86, di nuovi giacimenti auriferi nell’Orange e nel Transvaal, che attirò nelle due repubbliche un gran numero di immigrati, soprattutto di origine inglese. In questo afflusso di forestieri (uitlanders) i boeri videro il pericolo di una “ricolonizzazione” o comunque l’inizio di un processo che minacciava si stravolgere il carattere patriarcale e contadino della loro società. Gli uitlanders furono duramente discriminati e Rhoders non perse occasione per appoggiare la protesta.

La tensione crebbe costantemente finché, nell’ottobre del 1899, non fu il presidente del Transvaal, Paul Kruger, a dichiarare guerra all’Inghilterra. La guerra fu lunga e sanguinosa. I boeri combatterono con grande tenacia, riportando all’inizio notevoli successi e suscitando un’ondata di simpatie nell’opinione pubblica europea, soprattutto in quella tedesca. 

Anche dopo la sconfitta, che si consumò nel maggio 1902 e fu seguita dall’annessione del Transvaal e dell’Orange all’Impero britannico, i boeri condussero un’accanita lotta di resistenza che durò vari anni e fu piegata dagli inglesi solo con una serie di spietate azioni antiguerriglia. In seguito il governo britannico riuscì a realizzare una politica di pacificazione: l’Orange e il Transvaal ottennero uno statuto di autonomia simile a quello della Colonia del Capo, alla quale vennero uniti nel 1910, dando vita all’Unione Sudafricana. Inglesi e boeri avrebbero trovato un terreno concreto di collaborazione nello sfruttamento delle immense risorse del paese e nella politica di dura segregazione praticata ai danni della popolazione indigena.