La Divina Commedia analisi del canto primo dell’Inferno
La divina Commedia narra del viaggio che Dante compie nell’oltretomba, partendo dai cupi gironi infernali fino ad arrivare ai cieli più superiori del Paradiso, e il tutto dura tre giorni. L’anno in cui la vicenda si svolge è il 1300. La scelta di questa data, come del resto tutti i riferimenti numerologici presenti nella Commedia, non è casuale. Il 1300 era stato l’anno del Giubileo di Papa Bonifacio VIII, e rappresentava l’anno in cui si svolgeva la purificazione della cristianità (così come il viaggio aveva lo scopo di purificare Dante stesso). Persino il giorno è scelto con accuratezza: potrebbe essere la notte tra il 7 e l’8 aprile, venerdì santo, o la notte tra il 25 e il 26 marzo, data altamente simbolica perché oltre ad essere per i fiorentini il primo giorno dell’anno, sarebbe stata la data in cui – secondo la tradizione – coincidevano la creazione di Adamo e la morte di Cristo.
A questo punto a Dante si presenta un ulteriore ostacolo alla salita: tre fiere spaventose gli sbarrano la strada. Per prima gli compare una lonza, per secondo un leone e per terza la più spaventosa di tutte, una lupa. Sul significato attribuibile alle tre bestie si è a lungo discusso e si discute ancora. Innanzitutto in questa scena c’è un richiamo alla Bibbia e al profeta Geremia (in cui si parla di una lonza, un leone e un lupo). La convenzione è di collegare la lonza al peccato della lussuria, il leone alla superbia e la lupa all’avarizia, intesa come cupidigia. E’ da rimarcare il cambio di sesso che Dante ha attuato su questo animale (in Geremia era un lupo), forse per riferirsi ad un soggetto particolare, ad esempio la Curia Romana o la città di Firenze. Altre interpretazioni assegnano alla lonza l’attributo della malizia, al leone della matta bestialità e alla lupa l’incontinenza; altri ancora preferiscono la terna invidia, superbia e avarizia. Ad ogni modo, la scelta preferita fin dall’antichità rimane la prima esposta. La lupa, comunque, è fra le tre quella che maggiormente spaventa Dante, e quella che più gli ostacola il cammino. Il significato di questo cammino diventa a questo punto importante. E’ da chiarire che non si tratta più della diritta via che Dante ha smarrito prima di perdersi nella selva. Nel Convivio Dante tratta di due strade che portano alla felicità, quella della vita attiva che porta la felicità morale, e quella della vita di contemplazione che porta la felicità contemplativa. Se prima di perdersi Dante percorreva la strada della felicità morale, dopo essere uscito dalla selva, il poeta si ritrova a salire il sentiero della felicità contemplativa. Ma il suo passo è incerto, e non trova da solo la forza per aggirare l’ostacolo delle tre fiere: questo perché, prima di raggiungere la vetta della Grazia, c’è bisogno che Dante percorra un lungo ed estenuante percorso conoscitivo che passa attraverso la conoscenza della colpa, della pena e della speranza. Per volere divino, dunque, gli viene assegnata una guida, Virgilio, che lo scorti attraverso il mondo ultraterreno iniziando dall’Inferno, passando per il Purgatorio e terminando con il Paradiso.
La comparsa di Virgilio viene descritta attraverso una sinestesia interessante: al verso 63 Dante scrive di vedere un uomo che per lungo silenzio parea fioco. La sinestesia è una figura retorica che consiste nell’accostare termini appartenenti a due sfere sensoriali diverse, come in questo caso silenzio (che riguarda l’udito) e fioco (che riguarda la vista). Il significato di questa scelta stilistica è duplice: si può intendere che Virgilio, essendo morto e quindi muto da tanto tempo, parli con voce flebile. Oppure si potrebbe pensare che la voce di Virgilio sia così fioca perché non è stata ascoltata dall’umanità, ma solo da qualche predestinato come Dante.
La figura di Virgilio è chiaramente quella del profeta, così come altrettanto chiaramente quella di Dante è la figura del penitente (del resto il suo comportamento segue gli schemi del penitente, gridando “Miserere me” e abbassando il capo). Siamo dunque arrivati alla fase del riconoscimento delle proprie colpe e della richiesta di aiuto.
Ritornando a Virgilio, è interessante notare che egli è una delle figure della Commedia per cui si parla di critica figurale. Su questo nel 1938 Hauerback pubblica il saggio “Figura”, in cui spiega questo concetto, proprio della retorica medievale: si usavano personaggi o eventi storici reali come allegoria, come simbolo, facendogli assumere un significato pur non perdendo la loro identità storica. In questo caso, ad esempio, Virgilio diventa la figura della Ragione, così come Beatrice diventa la figura della Teologia.
Virgilio inoltre è anche un poeta: il fatto che sia stato scelto proprio un poeta per guidare Dante verso la salvezza significa che Dante credeva che quest’ultima potesse essergli concessa attraverso la poesia, attraverso lo bello stile. A proposito di questo, c’è da chiarire un concetto che di primo acchito può stupire, ma che in realtà ha una sua logica: perché un’opera di contenuto tragico ai nostri occhi come questa è stata intitolata Commedia? La commedia come noi la intendiamo e come la intendevano gli antichi era qualcosa di ben diverso. Eppure Dante sceglie di chiamare così la sua opera per via di una schema che prevedeva che la tragedia avesse un inizio lieto e un finale tragico, mentre che la commedia avesse un inizio tragico ed un finale lieto. Dal momento che Dante parte tragicamente attraversando l’Inferno e finisce felicemente salendo in Paradiso, l’opera è stata giustamente classificata Commedia.
Durante il suo discorso, Virgilio, oltre a presentarsi, accenna all’interessante figura del veltro, facendo una profezia. Il veltro sarebbe arrivato e avrebbe ucciso la lupa che tanto faceva penare Dante, e sarebbe nato tra feltro e feltro, cioè da umili origini o comunque la sua vita sarebbe in qualche modo legata alla povertà e alla semplicità. Che cosa rappresenti questo veltro ancora non è chiaro. Potrebbe simboleggiare qualche figura politica importante, provvidenziale, qualche imperatore, ad esempio. Oppure, visto che il veltro è un cane da caccia, forse Dante con un gioco di parole alludeva a Cangrande della Scala.
Virgilio persuade Dante ad abbandonare la scalata del colle, sbarratagli dalla lupa e dalle fiere, per ripiegare su un altro cammino in cui lui gli avrebbe fatto da guida, attraversando l’oltretomba per avere coscienza della colpa e della pena. Una volta acquisite queste conoscenza, Dante avrebbe ottenuto la salvezza. Se poi a Dante fosse venuto il desiderio di visitare anche il Paradiso, allora avrebbe dovuto lasciarlo ad una guida più degna di lui (Beatrice).