La cultura dei primi del Novecento 

La cultura dei primi del Novecento 

La cultura dei primi del Novecento è assai ricca e complessa: tutto il pensiero filosofico e scientifico classico viene messo in discussione. Lo stesso modo di esercitare la ratio viene messa sotto accusa fino a dubitare della capacità di pensare. Si parla di crisi della ragione e in questo contesto nascono le avanguardie storiche, che sono movimenti che si prefissero come obiettivo quello di sperimentare nuove vie nei vari campi del sapere, dalla fisica fino alle scienze umane (filosofia, arti figurative).

Per la fisica: Plunck (teoria dei quanti); Eisemberg (principio di indeterminazione); Einstein (teoria della relatività): ciascuno di loro mette in dubbio la razionalità ed ecco che cadono tutta una serie di certezze e a partire da ciò si fa strada la convinzione del carattere non più oggettivo del sapere: l’indagine scientifica volge a una valutazione dei limiti della stessa.

Per le scienze umane: i problemi del linguaggio; dobbiamo ricordare “La linguistica moderna” di NON SO CHI e ricevono impulso nuove discipline come l’antropologia, la psicologia, la sociologia e la psicanalisi di Freud, che rivela che l’uomo non è ciò che sembra: l’uomo per i classici è una persona dotata di coscienza, mentre per Freud l’uomo ha 3 parti: il superego, l’ego cosciente e l’io inconscio. L’Es è una struttura inconscia e molto forte, che si manifesta tramite il sogno ed è un’energia istintiva, uno spirito vitale profondo che rimane incosciente. Il superego è la parte morale e sociale imposta dalla famiglia e dall’ambiente, una sovrastruttura che tende a reprimere l’Es. L’io cosciente è premuto dal basso dall’Es e dall’alto dal superego. Normale è chi riesce ad armonizzare questi tre aspetti: chi non ci riesce è nevrotico. Freud dice che l’inconscio è misterioso ma vale la pena indagarla; egli influenzerà Svevo e Pirandello e altri autori e con lui quindi abbiamo una nuova dimensione dell’uomo. Ogni nostro comportamento ha una sua logica. Per conoscere una persona non è più sufficiente fermarsi alle apparenze: quindi le dottrine psicanalitiche modificano il lavoro letterario; acquisiscono importanza questioni come il dinamismo dell’inconscio, le libere associazioni interiori illogiche, il complesso di Edipo, le patologie quotidiane (lapsus); in Italia la teoria fatica a farsi strada: bisognerà aspettare il secondo dopoguerra. La chiesa e il fascismo si oppongono alla psicanalisi. Autori del tempo da ricordare sono: Svevo, Saba, Pirandello, Gadda, Moravia, Pavese, Brancati, Buzzati, Bassani.

Per la filosofia: reazione al positivismo che in Italia si realizza con il Neoidealismo di Croce e Gentile; da ricordare le differenti posizioni politiche dei due: Croce è antifascista mentre Gentile è fascista. L’opera di Usserl è importante perché interpreta come ricerca fenomenologica la ricerca filosofica. Da qui si sviluppa la filosofia esistenzialistica di Heidegger. 

Avanguardie artistiche e letterarie 

Tra i movimenti di avanguardia si ricordano: l’espressionismo, caratterizzato da fortissima rottura di ogni rapporto con la natura e da una ricerca di espressione del proprio malessere interiore; il cubismo, in cui le immagini sono ridotte a figure geometriche: si tende cioè a scomporre lo spazio per cogliere ciò che è al di là della realtà; il futurismo, che esalta gli aspetti più nuovi della modernità, dal mito della macchina al mito della velocità (vitalismo dinamico). Nell’ambito della letteratura è famoso Marinetti con il suo manifesto del futurismo. Il dadaismo riguarda la negazione radicale dei valori della tradizione e si esalta la libertà anarchica. Poi c’è il surrealismo: superamento della realtà attraverso la liberazione dell’inconscio. Questi movimenti si sono caratterizzati per vasta elaborazione di programmi letterari e artistici, che hanno portato alla realizzazione di capolavori. Questi movimenti insieme hanno cambiato l’interpretazione di un’opera d’arte che non può essere rappresentata in modo oggettivo. 

Letteratura della crisi 

Se l’Ottocento è stato l’epoca della pienezza del sentimento e della realtà e di una visione ordinata della realtà e dell’io cosciente, con il Novecento l’uomo è caratterizzato da smarrimento della coscienza di fronte al non senso della vita e l’uomo non è più un’unità ordinata ma come un essere disgregato in più parti. Gli autori che si fecero portavoce sono Kafka (“Processo”), Woolf (“Gita al faro” e “Le onde”), Joyce (“L’Ulisse”), Proust (“A la recherche du temps perdu”), Mann (“Badenbruck”). 

La reazione antidannunziana 

Come il decennio 1890-1900 è occupato dalle esperienze decadenti di Pascoli e D’Annunzio, così il 1900-1910 vede una ricerca nuova volta a superare questi due orientamenti. Nonostante la moda di D’Annunzio e gli entusiastici consensi, si può dire che la cultura si sia orientata contro D’Annunzio perché rappresentò le velleità della piccola borghesia e più tardi si fece portavoce della cultura fascista. Nonostante la moda dannunziana e i consensi che egli aveva ottenuto la cultura del 900 si orienta in direzione contraria:

Benedetto Croce, teorico della filosofia neoidealista, accusò D’Annunzio per il suo estetismo materialistico;

La poesia crepuscolare che contrappone al mito della decadenza i toni languidi della quotidianità, della vita provinciale amata e ironizzata allo stesso tempo;

La poesia futurista respinge tutte le forme classiche ed è caratterizzata da una forte tendenza alla sperimentazione (le avanguardie);

Inoltre sempre antidannunziani sono alcuni poeti isolati tra cui Dino Campana, Umberto Saba e Giuseppe Ungaretti. Infine si ricordano gli scrittori della rivista “La Voce” come Scipio Slapater e Pietro Jahier.

Anche se l’eredità di D’Annunzio è così contrastata, tutti gli autori del 900 si trovano inevitabilmente costretti a confrontarsi con lui e la sua poetica riconoscendone il contributo letterario. 

La poesia crepuscolare 

Il termine “crepuscolare” fu introdotto da Giuseppe Antonio Borghese il quale lo adottò in un articolo apparso sulla stampa per caratterizzare la poesia di Moretti e Martini al fine di sottolinearne  il clima di penombra e declino rispetto alla luce dei grandi poeti (Pascoli D’Annunzio e Carducci). Si tratta di una poesia dimessa, semplice, volutamente di tono basso  in cui si verifica un vero e proprio rovesciamento dei motivi dannunziani legati al simbolismo. I poeti crepuscolari contrappongono al vitalismo superomistico di D’Annunzio una visione prosaica(volgare), borghese, monotona del mondo. A questo si aggiunge il rovesciamento dell’ossessione dannunziana per la moda e la bellezza a favore delle “piccole cose di cattivo gusto” dell’esaltazione di tutte le cose senza colore. Questo comporta una revisione della figura del poeta vate insistendo particolarmente sulla marginalità dell’intellettuale che ormai ha perso la sua presa sul pubblico e la sua capacità d’influenzare la società. I crepuscolari sono caratterizzati da un atteggiamento d esplicita rinuncia, da sfiducia, tristezza contrariamente a D’Annunzio. Interessanti sono inoltre le innovazioni che tale movimento introduce in ambito linguistico: i toni sono tra l’ironico e il patetico combinati al rifiuto del Sublime e di qualsiasi concezione estetizzante dell’arte.  Nella dissacrazione della figura del poeta si ricorre ad un linguaggio umile, quasi parlato, dai toni narrativi e prosaici. 

Le riviste tra gli anni 10 e 20 

Il bisogno degli intellettuali piccolo-borghesi di recuperare un attivo ruolo sociale si manifesta, in età giolittiana, nel fenomeno delle riviste politico-culturali. Esse hanno dei tratti comuni: 

1)sono generazionali, cioè espressione delle esigenze dei giovani spesso in polemica con le istituzioni e fondate su di una ideologia irrazionalistica, idealistica e vitalistica; 

2)non si limitano ad affrontare problematiche culturali, ma prendono posizioni politiche decise; 

3) nascono a Firenze, città centrale della cultura italiana di inizio secolo.  

Un primo gruppo di riviste è costituito da “Leonardo” (1903-1907), diretta da Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, “Il Regno” (1904-1906), fondata da Enrico Corradini, ed “Hermes”(1903-1906) fondata da Giuseppe Antonio Borgese. In tutte si riconosce un debito nei confronti di D’Annunzio  e soprattutto un’ideologia di destra. E’ soprattutto “Il Regno” a farsi portavoce di una propaganda naturalista e di un disprezzo nei confronti per la democrazia.  Ha invece un impianto più moderno e coerente la rivista “La Voce”(1908), fondata poco dopo la chiusura di “Leonardo” di cui rifiuta i presupposti. Il titolo indica espressamente l’intento di dar voce alla nuova generazione di intellettuali, perché possa affermarsi come nuova classe dirigente. Con la Voce si afferma per la prima volta in Italia un linguaggio saggistico e giornalistico semplice e incisivo, adeguato a una moderna società di massa. “La Voce” nasce per iniziativa di Prezzolini che la dirige fino al 1914. Dal 1914 al 1916 è invece diretta da Giuseppe De Robertis, italianista che le da un taglio più letterario. E’ la cosiddetta “Voce” bianca (dal colore della copertina). Fra il 1908 re il1911  la Voce subisce l’influenza democratica e riformatrice di Salvemini,. Fra il 1911 e il 1913 la rivista assume un carattere letterario e artistico grazie a Giovanni Papini tanto da provocare l’allontanamento di autori più politicamente impegnati(Slapater e Jahier). “La Voce”, esercita un’azione di rinnovamento culturale e politico. Propone il decentramento amministrativo, la riforma del codice della famiglia, il divorzio, il suffragio universale maschile ( ma aprì anche una discussione sulla possibilità di allargare il diritto di voto anche alle donne); si interessa alla questione meridionale, dell’irredentismo, di femminismo e scuola. E’ contemporanea alla Voce la rivista “Lacerba” (1913-1915), fondata da Papini e Soffici (pittore). Il suo orientamento è del tutto diverso: al centro dell’interesse sta la letteratura in sé, considerata come massima espressione. Solo con l’avvicinarsi del conflitto mondiale assumerà posizioni politiche a favorire dell’interventismo di destra. Un fenomeno distinto è quello delle riviste propriamente politiche: “l’Unità” (fondata da Salvemini nel 1911, che la diresse sino al 1920); “Energie nuove”(1918-1920) e “Rivoluzione liberale” (1922-1925); l’”Ordine nuovo” fondato nel 1919 come settimanale da Antonio Gramsci. Con il fascismo s’intensifica l’aspetto letterario dati i limiti imposti dalla censura. E’ questo l’esito (rifugio letterario) anche dell’ultima rivista di Gobetti “Il Baretti”(1924-1928). Un atteggiamento simile è quello di un’altra rivista romana “La Ronda” che interpreta il nuovo clima culturale del dopoguerra schierandosi contro D’Annunzio e Pascoli e contro lo sperimentalismo e le avanguardie. I punti programmatici sono tre:1)culto dell’Umanesimo e ritorno ai classici , da Petrarca e Leopardi;2)richiamo al mestiere del letterato e all’eleganza dello stile;3)proposta di un classicismo radicato nella tradizione ma allo stesso tempo capace d’interpretare le nuove esigenze della modernità. E’ quest’ultimo il punto più interessante ripreso da un’altra rivista, “Solaria”, e da Montale.