LA COLONIZZAZIONE DELL’AFRICA E DELL’ASIA L’IMPERIALISMO

LA COLONIZZAZIONE DELL’AFRICA E DELL’ASIA L’IMPERIALISMO


Vari fattori determinarono, negli ultimi decenni dell’800, quella corsa alla conquista coloniale che costituì il più caratteristico tratto dell’imperialismo europeo. Vi fu certamente la spinta esercitata dagli interessi economici (ricerca di materie prime a basso costo e di sbocchi per i prodotti industriali e i capitali d’investimento), ma non meno importante fu l’affermarsi di tendenze politico-ideologiche che affiancavano a un acceso nazionalismo la fede nella superiorità della civiltà europea e nella missione civilizzatrice dell’uomo bianco; inoltre il darwinismo sociale, vale a dire l’applicazione delle teorie darwiniane alla società umana, interpretava le differenze culturali tra i popoli in termini di evoluzione e giustificava (in base al principio della selezione naturale) la competizione tra i popoli e il dominio dei popoli più forti ed evoluti su quelli più deboli, meno evoluti. Va segnalato che il fenomeno della colonizzazione, inteso come strumento del progresso dell’umanità, fu giustificato anche da molti esponenti del movimento socialista (tra i quali lo stesso Marx).

Il dibattito storiografico sulle cause del colonialismo

Riguardo alle cause economiche va segnalata la tesi sostenuta all’inizio del Novecento dall’economista inglese John Hobson, nel saggio “L’imperialismo” (1902): secondo Hobson la colonizzazione che aveva permesso ai maggiori Stati europei di costituire degli imperi coloniali era collegata alla Great Depression ed era stata voluta dai capitalisti che pensavano di poter risolvere il problema della sovrapproduzione e della concorrenza internazionale acquisendo il controllo di grandi aree commerciali protette: quindi per Hobson i governanti avevano colonizzato rispondendo alle esigenze e alle pressioni dei capitalisti: per i capitalisti le colonie erano nuovi mercati dove essi potevano vendere i prodotti in eccesso, dove potevano investire con profitto i loro capitali, dove potevano comprare materie prime a basso prezzo. La tesi di Hobson era stata fatta propria anche da Lenin nel suo saggio “L’imperialismo fase suprema del capitalismo”. L’interpretazione economicista del colonialismo sostenuta da Hobson e Lenin (e in genere dagli storici marxisti), fu poi contestata da storici di orientamento liberale (Joseph Schumpeter, D. Fieldhouse, R. Cameron ecc.) i quali osservarono che le conquiste coloniali molto spesso erano imprese anti-economiche, realizzate per motivi di politica estera ed interna; il sociologo Schumpeter, p.e., sostenne che il capitalismo (orientato al perseguimento dell’interesse attraverso la concorrenza e il libero gioco della domanda e dell’offerta) era un sistema economico essenzialmente razionale e pacifico, mentre l’imperialismo di fine Ottocento nasceva dalle forze irrazionali, passionali e istintive dell’uomo (“l’assurda tendenza di uno stato a perseguire un’espansione illimitata e violenta”). Altri studiosi hanno invece attribuito un carattere irrazionale, egoistico e antisociale al capitalismo, e hanno quindi evidenziato un’aggressività connaturata al capitalismo fin dalle sue origini.

Il dibattito storiografico sul colonialismo è tutt’altro che risolto, anche se oggi generalmente gli storici ammettono il concorso di cause molteplici: essi ritengono che le cause economiche della colonizzazione siano state importanti, ma che i governi siano stati spinti alla colonizzazione anche da altre motivazioni, tra le quali la politica di potenza, che spingeva gli Stati alla conquista di colonie in vista di un rafforzamento della propria posizione internazionale; un altro movente della colonizzazione era l’esigenza dei governi di consolidare il proprio potere e di ottenere consensi popolari per mezzo di conquiste che generalmente erano accolte con grande favore dall’opinione pubblica; e l’orientamento favorevole dell’opinione pubblica era determinato dalle tendenze culturali e ideologiche già menzionate: nazionalismo, razzismo, darwinismo sociale, bellicismo estetizzante ecc.

Le modalità e le tappe delle conquiste

Le potenze conquistatrici fecero generalmente un uso indiscriminato della forza contro le popolazioni indigene; sconvolsero l’economia dei paesi afroasiatici sottoponendola a un sistematico sfruttamento; colpirono, spesso irrime-diabilmente, antiche culture. Tuttavia gli effetti della conquista non furono sempre e solo negativi: sul piano economico, essa significò anche, in molti casi, un inizio di modernizzazione, sia pure finalizzata agli interessi dei dominatori; su quello culturale, alcuni paesi con tradizioni e strutture politico-sociali più solide riuscirono a difendere la loro identità ovvero ad assimilare aspetti della cultura dei dominatori; sul piano politico, infine, la colonizzazione,

più o meno a lunga scadenza, favorì il formarsi di nazionalismi locali che successivamente avrebbero alimentato la lotta per l’indipendenza.

Agli inizi dell’età dell’imperialismo, gli europei avevano già numerosi possedimenti in Asia. Più importante di tutti, l’India, soggetta dal ‘700 alla dominazione della Gran Bretagna e affidata al controllo della Compagnia delle Indie. I tentativi inglesi di introdurre elementi di modernizzazione nell’arcaica società indiana suscitarono violente reazioni (rivolta dei sepoys, 1857), cui il governo britannico rispose con una sanguinosa repressione e con la riorganizzazione della colonia sotto la diretta amministrazione della corona. L’apertura del canale di Suez, nel 1869, diede nuovo impulso alla penetrazione europea in Asia. In questo periodo si ebbero la conquista francese dell’Indocina e lo sviluppo della colonizzazione russa della Siberia (fino all’Oceano Pacifico). L’altra direttrice dell’espansionismo russo

quella verso l’Asia centrale – portò l’Impero zarista ad un duro contrasto con l’Inghilterra (l’espansione verso sud della Russia si arrestò di fronte all’Afghanistan, sottoposto all’inflenza inglese).

Una novità, sul piano della competizione imperialistica, fu l’improvviso emergere del Giappone che, dopo una guerra con la Cina (1894), le strappò vari territori. La Cina (che era già stata costretta ad accettare la penetrazione commerciale inglese in seguito alle Guerre dell’Oppio) dovette inoltre concedere alle potenze europee delle zone d’influenza da sfruttare economicamente. La trasformazione di queste zone d’influenza (chiamate “concessioni”) in veri e propri domini coloniali fu impedita dagli Stati Uniti che fecero valere il principio delle “porta aperte”: in base a tale principio la Cina doveva essere aperta al commercio di tutti i paesi con pari diritti.

La presenza invadente degli occidentali e dei giapponesi nell’Impero cinese favorì la nascita del movimento xenofobo dei boxers che si batteva per la restaurazione delle antiche tradizioni imperiali e per l’espulsione degli stranieri e dei loro costumi . La rivolta dei boxers provocò l’intervento militare delle grandi potenze (1900-1902): la rivolta fu soffocata e l’impero cinese fu mantenuto in vita, ma sempre più privato della sua sovranità e sottoposto al controllo economico e politico degli occidentali (p.e. le navi da guerra europee furono autorizzate a navigare i grandi fiumi cinesi, e l’istruzione fu in gran parte affidata ai missionari cristiani).

Fu in Africa che l’espansione coloniale si verificò con la velocità più sorprendente, portando nel giro di pochi decenni alla conquista quasi completa – sotto forma di colonie o protettorati – di tutto il continente. Francia e Inghilterra occuparono rispettivamente Tunisia (1881) ed Egitto (1882). Poco dopo (1884-85), la conferenza di Berlino, convocata per risolvere i contrasti internazionali suscitati dall’espansione belga nel Congo, stabiliva i principi della spartizione dell’Africa e riconosceva il possesso di vari territori a Belgio, Francia, Germania e Inghilterra. La Francia e l’Inghilterra ebbero i più vasti possedimenti coloniali in Africa: la Francia conquistò tutta l’Africa Nord-occidentale, l’Inghilterra quasi tutta l’Africa orientale (dall’Egitto al Sud-Africa); la Germania ebbe possedimenti coloniali meno estesi e più dispersi; l’Italia si impadronì dell’Eritrea, della Somalia e della Libia, fallì invece nel tentativo di conquista dell’Etiopia, che rimase indipendente fino al 1936. Altre colonie europee furono il Congo belga, l’Angola e il Mozambico portoghesi.

In Sud Africa l’Inghilterra, soprattutto attraverso la politica di Cecil Rhodes, mirò ad estendere il suo dominio dalla Colonia del Capo alle due repubbliche boere dell’Orange e del Transvaal, ricche di giacimenti d’oro e di diamanti. II disegno poté realizzarsi solo dopo una lunga e sanguinosa guerra, vinta dalla Gran Bretagna contro i boeri (1899-1902). I boeri erano i discendenti degli olandesi che avevano colonizzato questa regione nel Seicento; erano quindi bianchi, europei, “civili”: pertanto in questo caso vennero meno le giustificazioni ideologiche (la missione civilizzatrice degli europei, “il fardello dell’uomo bianco” di Kipling) della guerra e della conquista.