LA CIVETTA ANALISI E COMMENTO

 

LA CIVETTA ANALISI E COMMENTO

di G. Pascoli


Stavano neri al lume della luna

gli erti cipressi, guglie di basalto,

quando tra l’ombre svolò rapida una

ombra dall’alto:

orma sognata d’un volar di piume,

orma di un soffio molle di velluto,

che passò l’ombre e scivolò nel lume

pallido e muto;

ed i cipressi sul deserto lido

stavano come un nero colonnato,

rigidi, ognuno con tra i rami un nido

addormentato.

E sopra tanta vita addormentata

dentro i cipressi, in mezzo alla brughiera

sonare, ecco, una stridula risata

di fattucchiera:

una minaccia stridula seguita,

forse, da brevi pigolii sommessi,

dal palpitar di tutta quella vita

dentro i cipressi.

Morte, che passi per il ciel profondo,

passi con ali molli come fiato,

con gli occhi aperti sopra il triste mondo

addormentato;

Morte, lo squillo acuto del tuo riso

unico muove l’ombra che ci occulta

silenzïosa, e, desta all’improvviso

squillo, sussulta;

e quando taci, e par che tutto dorma

nel cipresseto, trema ancora il nido

d’ogni vivente: ancor, nell’aria, l’orma

c’è del tuo grido.


 

ANALISI E COMMENTO

Questa poesia di Pascoli descrive in maniera quasi pittorica una civetta mentre attraversa il cielo notturno. Poi, con una metafora, l’animale diventa il simbolo della morte che terrorizza i viventi.

La poesia è formata da otto quartine; ogni quartina è costituita da tre versi endecasillabi e da un quinario. Con questa struttura, il ritmo e la tensione continua a crescere fino alla fine del terzo endecasillabo quando ha un’improvvisa ricaduta sul quinario, che quindi chiude definitivamente la strofa. Il lessico appartiene al campo semantico del buio, della morte e della natura solitaria. Le rime sono alternate con schema ABAb CDCd ecc…

Nella prima strofa c’è una rapida descrizione del paesaggio, in cui i cipressi sono “neri” e “erti” come “guglie di basalto”, dando l’impressione con questa metafora di trovarsi fra le lapidi di un cimitero; a questa immobilità si contrappone il fulmineo apparire di “un’ombra dall’alto”: una civetta, che sembra incombere in modo minaccioso. Va notata la parola “una” in fine verso, in significato partitivo, e la paronomasia di “ombra/e”, utilizzati con lo scopo di separare l’ombra dall’oscurità circostante.

Nella seconda strofa, quest’ombra viene descritta in modo più particolareggiato, anche se in maniera onirica; già con l’anafora di “orma”, l’animale perde la sua consistenza fisica per diventare solo una traccia nel cielo, paragonabile ad un’impronta che non contiene più il piede che l’ha lasciata. Anche i sostantivi “piume” e “velluto”, ma soprattutto l’aggettivo “sognata”, rendono l’idea di inconsistenza. Immediatamente dopo, l’uccello “scivolò nel lume/pallido e muto”: questa perifrasi si riferisce sicuramente alla luna, che è l’unica fonte di luce a rischiarare la scena.

Nella terza strofa l’attenzione si focalizza nuovamente sui cipressi, ma se prima era stata descritta solo la loro lapidaria figura, questa volta diventano un elemento importante perché ciascuno custodisce “tra i rami un nido/addormentato”; questa è una metafora in cui i cipressi rappresentano dei rifugi accoglienti, e i nidi delle famiglie che li abitano.

Nella quarta strofa, con la paronomasia delle parole “addormentato/a”, il poeta esprime la fiducia che gli uccelli ripongono nei loro rifugi, tanto da abbandonare la loro abituale vigilanza. Rivela però subito che la sicurezza di questi nidi è solo apparente, poiché ovunque risuona “una stridula risata/di fattucchiera”, che non è altro che lo stridire della civetta, che anch’essa nidifica nei cipressi, e il suo verso è una minaccia di morte per gli uccelli indifesi. L’importanza dell’improvvisa apparizione di questo suono inquietante è evidenziata perché preceduta da “ecco” separato dal resto del verso da due cesure, che rallenta il ritmo e concentra l’attenzione del lettore sulle parole seguenti.

Nella quinta strofa la minaccia viene esplicitata e diventa realtà: i “brevi pigolii sommessi” sono evidentemente il pianto di agonia di una preda. Questo viene descritto in modo molto intenso con le parole “dal palpitare di tutta quella vita”: infatti l’attimo prima della morte è il momento in cui più si desidera, al contrario, vivere e si è più consapevoli della propria esistenza, perché prossima a finire.

Nella sesta strofa il poeta si rivolge finalmente alla Morte in modo diretto; si passa quindi dalla metafora iniziale, in cui l‘uccello è paragonato a un’ombra, a una personificazione, in cui la Morte finisce con coincidere con l’animale. Infatti, è descritta come un essere “con ali molli come fiato”, in riferimento sia al volo silenzioso della civetta sia all’impalpabilità della Morte, e “con gli occhi aperti sopra il triste mondo/addormentato”, attento a chi colpire per primo.

Nella settima strofa con l’anastrofe della parola “Morte” viene introdotta la parte finale della poesia, in cui la similitudine assume un aspetto più astratto, reso ritmicamente con la presenza di enjambement e di cesure. Qui viene descritta “l’ombra che ci occulta”, che qui cambia significato rispetto al resto della poesia e si riferisce alla paura della morte che ci impedisce di vivere serenamente. Questo terrore viene destato solamente quando c’è una minaccia incombente, rappresentato nella poesia come “lo squillo acuto del tuo riso” in modo quasi ironico, e la paura ha un “sussulto”.

Nell’ottava strofa prosegue la similitudine e viene descritta la tranquillità apparente che scende sugli animi quando la Morte tace, mentre in realtà sono ancora tutti terrorizzati. Di nuovo un’orma diventa il simbolo di un cambiamento avvenuto “nell’aria”, come metafora dell’animo umano, di cui è già scomparsa la causa, ovvero “il tuo grido”.

Questa poesia è una chiara rappresentazione in chiave simbolica della Morte; essa è paragonata a una civetta con una metafora, che nel corso della poesia diventa sempre più profonda finché i due esseri vengono a coincidere. Nella prima parte viene descritto il volo dell’uccello davanti alla luna, nella seconda una sua mortale battuta di caccia, nella terza il poeta si rivolge direttamente alla Morte. Tuttavia la civetta non viene citata nel corso della poesia, se non nel titolo, come se una volta inquadrato il soggetto animale il poeta lo lasciasse da parte per concentrarsi su quello astratto. Invece molte parole sono ripetute diverse volte, evidentemente perché sono ritenute le più importanti: i “cipressi”, alberi dei cimiteri e nido delle civette; “ombra”, simbolo di morte e di paura; “orma”, il segno lasciato da qualcosa di pesante; “addormentato”, come le coscienze degli uomini quando non sono minacciati da vicino; “vita” tutto ciò che precede la “Morte”. Il lessico ha lo scopo principale di comunicare la drammaticità della morte ed è quindi volutamente lugubre. Il ritmo contribuisce a rendere questo componimento ancor più triste, a causa della continua accumulazione di tensione nei primi tre endecasillabi di ogni quartina, che si scioglie ogni volta nel quinario conclusivo.

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