La capra di Umberto Saba

La capra di Umberto Saba

  1. Ho parlato a una capra.
  2. Era sola sul prato, era legata. (anafora)
  3. Sazia d’erba, bagnata
  4. dalla pioggia, belava.
  5. Quell’uguale belato era fraterno
  6. al mio dolore. Ed io risposi, prima
  7. per celia, poi perché il dolore è eterno,
  8. ha una voce e non varia.
  9. Questa voce sentiva
  10. gemere in una capra solitaria.
  11. In una capra dal viso semita (personificazione)
  12. sentiva querelarsi ogni altro male,
  13. ogni altra vita. (anafora)

Commento:

Questa lirica è nota soprattutto per un verso:” in una capra dal viso semita”. Questo non ha nessuna implicazione razziale positiva o negativa, ma è solo un verso visivo. L’animale richiama la situazione degli Ebrei, le persecuzioni, il lamento di tutta una razza.

La capra è legata, sola su un prato, bela, ma è sazia d’erba, quindi non ha bisogno di cibo. Il poeta avverte nel lamento triste dell’animale, lo stesso suo dolore.

La capra è una creatura che nel suo dolore soffre simbolicamente il dolore di tutti; il significato della lirica è dunque il dolore che accomuna uomini e animali.

L’adesione al mondo animale è esclusivamente in una dimensione dolorosa: nel lamento di una capra sola sul prato il poeta rinviene la legge di dolore che regola ogni altra vita e sente fraterna quella voce che testimonia il male di vivere. Proprio in questa fraternità, in questo legame che si instaura tra tutte le creature, perché soggette alla comune eterna legge del dolore, si basa la poesia di Saba.

METRO: versi liberi raggruppati in tre strofe di lunghezza diseguale.

In questa breve poesia Saba esprime in modo oggettivo, cioè senza erompere in lamenti e gridi suscitati da dolorose vicende private, la propria pessimistica concezione della vita, che ricorda sia il pessimismo cosmico leopardiano sia il montaliano “male di vivere”.

Lo spunto alla meditazione sul dolore e sul male è infatti offerto da una capra solitaria, colta in un momento di disagio (“sazia” sì, ma “legata” e “bagnata dalla pioggia”), alla quale il poeta si sente vicino perché accomunato ad essa, come a tutti gli altri esseri viventi, da un’identica ed eterna legge di dolore. Perciò la risposta del poeta (dapprima scherzosa) a “quell’uguale belato” non sembra più ridicola o buffa (come al primo verso), ma profondamente seria e partecipe.

Nella strofa finale, dopo il progressivo allargamento d’orizzonte dall’animale all’umano, la dimensione del dolore si estende all’universale. E l’anafora finale lega in modo indissolubile i due termini “male ” “vita”, con una considerazione che può dirsi ancor più pessimistica di quella espressa da Leopardi nel Canto notturno: “a me la vita è male” (v. 104).

Analizziamo ora, in dettaglio, la lirica.

  1. 1 “Ho parlato a una capra”: inizio forzato ed insieme naturalissimo. In effetti parlare a una capra è un’azione a dir poco insolita; eppure la semplicità e l’immediatezza dell’enunciato fa sembrare il fatto del tutto ovvio. Per questo il lettore è, insieme, attratto e incuriosito, sorpreso e divertito.
  2. 2 “uguale”: sempre uguale a se stesso, cioè uniforme e monotono.
  3. 3 “fraterno”: simile, affine.
  4. 4 “celia”: scherzo.
  5. 5 “il dolore… non varia”: il dolore è uguale per tutte le creature (è indubbiamente l’affermazione centrale della poesia.
  6. 6 “sentiva”: sentivo (come al v. 12).
  7. 7 “viso semita”: il muso della capra, incorniciato dalla barbetta, ricorda al poeta i tratti tipici di un volto ebraico. La critica ritiene che qui Saba alluda alla condizione di sofferenza e persecuzione degli ebrei; ma il poeta ha negato questa allusione, sostenendo che si tratta di “un verso prevalentemente visivo… Un colpo di pollice impresso nella creta per modellare una figura”.
  8. 8 “querelarsi”: lamentarsi.
  9. 9 “ogni… vita”: la ripresa anaforica serve ad accomunare i termini “male” e “vita” (nel senso di “essere vivente”), sottolineando la sconsolata visione dell’esistenza espressa dal poeta.