LA BATTAGLIA DI BENEVENTO DEL 275 AC

LA BATTAGLIA DI BENEVENTO DEL 275 AC

LA BATTAGLIA DI BENEVENTO DEL 275 AC


Battaglia di Benevento
All’inizio del III secolo a.C., terminate vittoriosamente le guerre sannitiche, la politica espansionistica romana premeva sulle città della Magna Grecia ed in particolare Taranto, per la sua importante posizione strategica. Ben consapevoli ce difficilmente avrebbero potuto contrastare a lungo la potenza di Roma, i Tarantini, a nome anche delle colonie della Magna Grecia, invocarono l’intervento di Pirro in loro favore. Quest’ultimo, già desideroso di vittorie, vide la possibilità di ampliare il proprio regno in Italia, nonchè quella di conquistare la Sicilia per espandersi poi in Africa, ed accettò di buon grado. Il suo esercito passò nella penisola nel 280 a.C.e nello stesso anno inferse una prima sconfitta all’esercito romano, nella battaglia di Heraclea, in cui la carta vincente fu costituita dalla presenza degli elefanti, sconosciuti ai Romani.
Acquisiti rinforzi da altre popolazioni greco-italiche che si unirono alla coalizione, Pirro ottenne un’altra vittoria nella battaglia di Ascoli Satriano nell’anno seguente, ma le perdite furono talmente ingenti che dovette riparare in Sicilia per ricostruire gli effettivi e provvedere ai rifornimenti.
Accantonata momentaneamente la campagna antiromana si dedicò alla conquista dell’isola, da cui doveva però scacciare i Cartaginesi. Dopo una serie di eventi favorevoli fu costretto ad abbandonare anche la Sicilia e nel 275 a.C. tornò in Italia, dove si pose nuovamente alla testa di un’alleanza antiromana, che comprendeva anche i Sanniti. Ma l’esercito di Roma, che nel frattempo aveva riconquistato tutte le posizioni nell’Italia meridionale e minacciava nuovamente Taranto, lo aspettava in campania, a Maleventum. I Romani avevano infatti compreso che Pirro, anzichè affrontarli direttamente, avrebbe tentato di costringerli a togliere l’assedio a Taranto marciando direttamente su Roma.
L’esercito romano era comandato dal console Manio Curio Dentato, che si era accampato su un’altura e contava su una forza di quasi 20.000 uomini. Pirro disponeva invece di quasi 40.000 soldati, oltre ad alcuni elefanti da guerra. Nello schieramento del suo esercitano erano presenti reparti di cavalleria macedone, greca ed orientale, mentre la fanteria era organizzata, secondo il modello della falange macedone e comprendeva anche opliti greci, oltre a frombolieri, lanciatori di giavellotto e arcieri.
I Romani avevano ormai imparato a conoscere gli elefanti da guerra, che nello scontro di Heraclea erano stati una delle principali cause della sconfitta, ed ebbero la meglio sulle truppe epirote e tarantine, grazie anche alla tattica attuata dagli arcieri, i quali, scagliando frecce infuocate, riuscirono a far imbizzarrire i pachidermi che crearono lo scompiglio nelle truppe di Pirro. Continui attacchi indebolirono e sfiancarono la cavalleria, mentre la fanteria riuscì a sopraffare la falange con fitti lanci ravvicinati di giavellotti, che aprivano dei varchi entro i quali i legionari, con il corto gladio, riuscivano a colpire il nemico armato di lance, assolutamente inutili nel corpo a corpo. Così aggredita, la falange venne definitivamente annientata dagli attacchi laterali della seconda e terza linea delle legioni.
La tradizione romana (la cui attendibilità però è dubbia) parla di 23.000 nemici uccisi e di 1.300 prigionieri, ma tace sulle proprie perdite. Furono abbattuti anche due elefanti da guerra, mentre altri 8 furono catturati. 4 furono portati vivi a Roma, dove suscitarono grande curiosità tra il popolo che non ne aveva mai visti.
Tatticamente la battaglia di Benevento può essere considerata uno stallo, ma strategicamente è stata un’indiscutibile vittoria dei Romani. Una spiegazione dell’esito negativo dello scontro per Pirro, che in precedenza aveva battuto le legioni romane nella battaglia di Heraclea e ad Ascoli Satriano, può essere ricercata nel fato che il re dell’Epiro a Beneventum non aveva più a piena disposizione, come all’inizio della campagna in Italia, le sue forze migliori, in particolare gli esperti falangiti, che avevano subito perdite pesanti non solo nelle campagne del 280 a.C. e 279 a.C. nella penisola, ma anche durante l’attraversamento dello stretto di Messina nel ritorno dalla campagna di Sicilia. A causa della sconfitta Pirro fu costretto a tornare in Epiro, dove morirà di lì a poco mentre tentava di conquistare il Peloponneso. Taranto rimase sotto assedio altri tre anni, capitolando nel 272 a.C.: Roma aveva completato la sottomissione della Magna Grecia e la conquista di tutta l’Italia meridionale.

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