LA 1 RIVOLUZIONE INDUSTRIALE INGLESE

LA 1 RIVOLUZIONE INDUSTRIALE INGLESE

LA PRIMA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE INGLESE

Gli storici hanno raccolto sotto il nome di “rivoluzione industriale” l’insieme dei mutamenti di carattere economico e sociale avvenuti in Inghilterra nell’arco di tempo compreso tra gli ultimi decenni del Settecento e la prima metà dell’Ottocento.
Si parla di rivoluzione industriale perché avviene un profondo cambiamento delle strutture produttive ed economiche. Il lavoro viene in parte eseguito dalle macchine, ma ciò che ha un carattere più rivoluzionario è sicuramente il nuovo modo di concepire il lavoro stesso
La data simbolica che si fissa per l’inizio del cambiamento è il 1760, una data che identifica un periodo parallelo a quello dei dibattiti illuministi in Francia, ma mentre in Francia la fonte della ricchezza era ancora la terra (Fisiocratici), in Inghilterra con le recinzioni (1500) era nata una nuova classe borghese, che aumenterà sempre di più.
La rivoluzione industriale cominciò proprio in Inghilterra perché vi era già da tempo stata attuata una riforma dell’agricoltura e viveva una situazione economica molto agevole.
C’erano anche dei presupposti politici favorevoli come il parlamentarismo che era l’espressione di una classe dirigente favorevole all’iniziativa privata.
L’Inghilterra era inoltre un impero coloniale molto vasto e ricco che le permetteva di avere materie prime in gran quantità e di avere grandi capitali, assolutamente necessari per l’industrializzazione.Oltre alle materie prime gli imperi coloniali fornivano di conseguenza una reale possibilità di commercio. La flotta navale della Gran Bretagna era infatti la più forte ed esperta del mediterraneo e riuscì a sostenere quest’improvvisa richiesta d’esportazioni. La colonizzazione di zone dell’America settentrionale aveva permesso di importare tabacco e cotone, quest’ultimo utilizzato nell’industria tessile. La prosperità inglese era espressa anche culturalmente; nello stato in cui regnava la monarchia costituzionale erano straordinariamente presenti libertà e tolleranza.
Un ruolo decisivo ebbero quindi la “rivoluzione agricola” e il primato dell’Inghilterra nei commerci internazionali che portarono a tutta una serie di conseguenze facilmente intuibili:

1. Introduzione di macchine nella produzione
2. Crescita delle dimensioni delle unità produttive non più basate sul nucleo familiare, ma su nuclei di operai salariati
3. Allargamento del mercato nazionale ed internazionale
4. Spostamento di molti lavoratori dall’agricoltura all’industria
5. Massiccio trasferimento di popolazioni rurali nelle città (Londra diventa una delle città europee più grandi)
6. Nascita di nuove classi sociali come la borghesia industriale ed il proletariato
7. Si diffondono molti canali navigabili per collegare i centri di produzione e rendere più facile la comunicazione
8. Aumento dell’uso del carbon fossile.
9. Nascita del modo di produzione capitalistico.

Quindi:
Con le trasformazioni dell’agricoltura si formò un surplus di risorse che favorirono il decollo industriale, sia perché furono resi disponibili capitali per l’investimento, sia perché permisero di mantenere basso il livello dei salari operai, agevolando la formazione del profitto industriale. Inoltre, la rapida dissoluzione dell’agricoltura comunitaria di villaggio, accompagnata dalla crescita demografica, liberò progressivamente forza-lavoro dalla terra, garantendo alla nascente industria inglese manodopera a basso costo.
Il commercio internazionale giocò un ruolo importante per più ragioni: per la formazione di capitali di investimento; perché garantì il rifornimento di materie prime, come il cotone greggio;perché aprì ampi mercati internazionali ai manufatti inglesi.
Quanto alle risorse naturali, la Gran Bretagna era ben dotata di carbone e di ferro, due fattori produttivi destinati a rivelarsi strategici.
Il processo di rivoluzione fu amplificato dall’applicazione delle scoperte scientifiche nel sistema produttivo. Furono costruite macchine utensili per il settore tessile, le quali consentirono la meccanizzazione della filatura. Fu perfezionata la tecnica per lo sfruttamento del vapore come forza motrice. La nuova tecnologia, che utilizzava il carbone, sostanza di cui il sottosuolo inglese è molto ricco, fu decisiva per lo sviluppo dell’industria siderurgica. Successivamente la macchina a vapore fu utilizzata per costruire i primi mezzi di locomozione. Con la realizzazione di strade ferrate si poterono trasportare merci e uomini.

Ben presto il treno sarebbe diventato il mezzo terrestre più veloce a disposizione dell’uomo. Alla costruzione delle ferrovie, seguirono le nuove pavimentazioni dei manti stradali ed il miglioramento dei canali fluviali. Lo scorrere delle acque si rilevò importante per il trasporto di materiali particolarmente pesanti. Nel corso del ’700 le strutture produttive dell’agricoltura inglese ebbero cambiamenti tanto profondi da generare una vera rivoluzione agricola. Il possesso delle terre passò dalle mani di piccoli agricoltori a grossi proprietari terrieri. L’agricoltura era diventata imprenditoriale, il piccolo contadino diventò bracciante alle dipendenze di un fittavolo. Nuove tecniche di coltivazione migliorarono il prodotto agricolo: la rotazione agraria; metodologia che consiste nel coltivare ciclicamente un terreno per non impoverirne la fertilità, le scoperte chimiche,che consentirono raccolti più abbondanti ed inoltre l’introduzione di macchine per la trebbiatura alleggerì il lavoro dei braccianti. L’Inghliterra fu uno dei primi paesi a migliorare la produzione agricola. L’aumento produttivo fu favorito dall’introduzione di Nuove coltivazioni (rapa,patata,erba medica,trifoglio) e da un nuovo sistema di rotazione delle colture,già adottato in Olanda,che permetteva di lasciare a riposo il terreno soltanto ogni 6-7 anni.ma l’innovazione più significativa fu l’alternanza fra i campi coltivati e pascoli temporanei,spesso seminati con piante foraggere.

Questo per impedire di impoverire troppo il terreno coltivandoci sempre lo stesso tipo di alimento(cereali),ma anzi di ripristinare la fertilità del solo e di ottenere un maggior raccolto di foraggio che a sua volta incrementava l’allevamento del bestiame e quindi la produzione di concime per i campi.
Un altro fattore che favorì lo sviluppo dell’agricoltura inglese fu la recinzione delle terre comuni (enclosures) ,che in questo modo impedivano a chiunque di farvi pascolare il bestiame che si mangiava tutto il raccolto. Coloro che erano stati autorizzati ad appropriarsi delle terre comuni investirono parte dei propri capitali per migliorare i terreni, per selezionare le sementi migliori,per compiere lavori irrigui e di prosciugamento nei campi e per acquistare nuove attrezzature.Questa Borghesia agraria cominciò poi ad investire parte dei profitti ricavati dalle terre nell’industria tessile.
L’aumento del lavoro, della ricchezza e di maggiori risorse alimentari portò ad un imponente aumento demografico ed al cambiamento della società. L’incremento demografico ampliò il mercato dei consumatori e rese disponibile una grande quantità di manodopera superiore alla necessità degli imprenditori che così,grazie all’abbondante offerta di lavoro,potevano mantenere bassi i salari degli operai.Molte famiglie lasciarono le campagne per recarsi nelle città dove le imprese artigiane furono sostituite con le fabbriche.

Come abbiamo detto prima ebbero quindi molta importanza soprattutto le innovazioni nel campo dei trasporti.
Il paese conobbe un gran miglioramento in questo settore, con la costruzione di una fitta rete di nuove strade e soprattutto, di canali navigabili. Il primo grande canale inglese , che collegava le miniere di carbone di Worsley con Manchester e Liverpool, ridusse a un sesto i costi di trasporto del carbone. Ben prima della ferrovia, furono dunque strade e canali a rendere possibile il decollo industriale, collegando miniere, fabbriche e mercati anche lontani.
La superiorità del nuovo sistema che concentrava lavoratori e macchine in una stessa unità produttiva condusse rapidamente ad una crisi dell’industria domestica: ciò diede un ulteriore impulso allo sgretolamento dell’economia familiare agricola e al trasferimento di forza-lavoro dalle campagne alle fabbriche.
Il fattore dell’innovazione tecnologica può essere chiarito descrivendo concretamente il “meccanismo” della rivoluzione industriale.Prendiamo in considerazione i tre settori fondamentali: tessile, siderurgico, estrattivo, dalla cui iterazione si è sviluppato l’intero processo. Partiamo dal settore tessile, all’interno del quale l’industria più importante, prima della rivoluzione industriale, era quella della lana favorita dall’ampia disponibilità di materia prima grezza. I cambiamenti rivoluzionari, posero in primo piano la lavorazione del cotone. Il cotone presentava caratteristiche più favorevoli a un processo di industrializzazione: esso rispondeva a un bisogno primario, quello di vestirsi, a costi molto inferiori rispetto a quelli della lana, e godeva perciò di una domanda potenziale ben più ampia; mentre la lana doveva essere filata a mano per ottenere un prodotto di buona qualità, il cotone più resistente, si prestava assai meglio alla meccanizzazione della filatura. Nel 1773 John Kay,orologiaio del lancashire,aveva introdotto nella tessitura della lana la “navetta volante”,una spoletta che veniva introdotta attraverso l’ordito da martelli azionati dal tessitore, che permetteva di quadruplicarne la produzione, ma questa innovazione si era diffusa con estrema lentezza nell’industria laniera.

Quando nel 1750-60 venne applicata al cotone, si mise in evidenza la lentezza delle operazioni di foratura. Questa strozzatura incentivò una serie di innovazioni tecniche: il filatoio meccanico intermittente di Hargreaves ( jenny o Giannetta filatrice),che permise a una sola persona di lavorare contemporaneamente con sei-sette fusi; il filatoio idraulico di Arkwright,azionato dalla forza motrice dell’acqua; il filatoio di Crompton, detto mule, che riusciva a produrre un filato ritorto forte e fine al tempo stesso.
La meccanizzazione della filatura portò con sé un sensibile aumento della produttività per ora lavorata e, nonostante l’aumento dell’investimento di capitale, una forte diminuzione di costi di produzione e dei prezzi. Di qui un ulteriore stimolo alla domanda, interna ed estera, e uno sviluppo delle esportazioni: in capo al 1816 il cotone lavorato costituiva il quaranta per cento delle esportazioni inglesi e aveva soppiantato definitivamente le cotonate indiane sui mercati internazionali. A valle del processo produttivo, la tessitura divenne inadeguata a fronteggiare l’enorme aumento di produzione dei filati. Fu il telaio meccanico di Cartwright a risolvere questa strozzatura, anche se in tempi piuttosto lunghi. Il telaio meccanico faticò a imporsi sia perché ebbe bisogno di aggiustamenti e perfezionamenti per divenire realmente competitivo con quello a mano, sia per le resistenze degli artigiani tessitori indipendenti, che ingaggiarono una dura lotta contro la nuova macchina e il sistema di fabbrica che essa portava con sé. Solo negli anni ’30-40 i tessitori si arresero al telaio.
Un analogo andamento, in cui la situazione di un problema tecnologico crea squilibrio, si ebbe nel settore siderurgico e, in particolare, in quel rapporto ferro-carbone che costituì il centro della rivoluzione industriale inglese. Benché non fosse povera di miniere di ferro, l’Inghilterra per buona parte del Settecento, fu costretta a importare ghisa a barre della Svezia.

La fusione avveniva in altiforni alimentati a carbone di legna: ma il rapido esaurimento delle riserve di legname, l’alto costo dei trasporti e la scarsa purezza della ghisa prodotta rendevano poco economica la siderurgia nazionale. Fin dal 1709 Abraham Darby, nella sua fonderia di Coalbrookdale, aveva individuato un procedimento per utilizzare come combustibile di fusione il coke, carbon fossile sottoposto a una speciale cottura che ne riduceva le impurità. Ma solo nel 1784 Henry Cort mise a punto una tecnica che permetteva di produrre ghisa di buona qualità in altiforni a coke. La siderurgia inglese si metteva così in condizione di rispondere alla crescente domanda di prodotti ferrosi riuscendo a raddoppiare la produzione di lingotti di ghisa. Si venne a creare un circolo economicamente propulsivo fra il carbone e il ferro, la rete era adeguata a sopportare questo sviluppo.
Tuttavia si presentò una nuova strozzatura: per soddisfare la crescente domanda di carbon fossile la profondità dei pozzi venne aumentata fino al punto in cui l’acqua impediva di proseguire. Bisognava trovare un modo per prosciugare l’acqua dai pozzi.
La soluzione fu trovata da James Watt, che nel 1775 brevettò una macchina che consentiva di azionare pompe capaci di prosciugare i pozzi in profondità. La macchina a vapore, fece molto di più che permettere lo sfruttamento su scala gigantesca del carbone e, quindi, l’ascesa verticale della produzione di ghisa. Essa fornì all’industria una forza motrice molto più potente, costante e flessibile di quella umana o idraulica: l’intero processo di meccanizzazione ne ricevette un’enorme impulso. Anche la macchina a vapore, per gli alti costi e i difetti di funzionamento iniziali, impiegò tempo per affermarsi: ma quando ciò avvenne, il ciclo pionieristico delle rivoluzione industriale poté dirsi concluso. La rivoluzione industriale può essere suddivisa in tre fasi: la prima va dal 1760-90, caratterizzata da meccanizzazione della filatura e dall’introduzione dei nuovi metodi in siderurgia.
La seconda fase dal 1790 al 1820-30, in cui si assiste all’esplosione della tessitura meccanica e della macchina a vapore; e infine una terza fase, sino al 1850, dominata dalla ferrovia.
Fu certamente la ferrovia la più straordinaria applicazione della macchina a vapore, sin dal 1814, quando il minatore Gorge Stephenson costruì la prima locomotiva montandone una su un carrello da miniera.Con la ferrovia, l’economia inglese trovò non solo un mezzo che abbatteva in modo drastico tempi e costi di trasporto, ma un nuovo potente stimolo alla domanda interna, capace di sostituirsi rapidamente al settore tessile come settore trainante dell’economia.
Come dicevamo prima ci furono tutta una serie di fattori che determinarono il cambiamento nell’economia,nella produzione,nei trasporti etc etc.
Cambiamenti si verificarono anche nella società: nacquero quindi nuove classi sociali.Il proletariato, vale a dire il lavoratore salariato,fu una di queste, che si contrappose al borghese proprietario dei mezzi di produzione.
Nell’ottocento la borghesia si affermò come classe dirigente sia sul piano economico che su quello politico,grazie alla diffusione dei governi liberali.Sebbene minoritaria rispetto alle masse operaie e contadine,la borghesia si rese subito conto di essere la forza decisiva delle trasformazioni che avvenivano nella società ottocentesca.Accanto a questa sorse anche la classe operaia,che nei primi anni della società industriale rappresentava solo una ristretta minoranza,ma che via via divenne sempre più numerosa. Fra queste due classi era poi possibile trovare il CETO MEDIO,poco rilevante agli inizi dell’Ottocento,ma che assunse via via un’importanza sempre maggiore. Costituito da funzionari,impiegati,commercianti,piccoli imprenditori e liberi professionisti, il ceto medio non si identificava ne con la Borghesia ne con la classe operaia,della quale anzi rifiutava lo stile di vita e i valori.Presso il ceto medio era infatti molto forte lo spirito individualistico tipico della borghesia ed era assente invece il senso di solidarietà di classe che caratterizzava il movimento operaio.

Conseguenze sociali

Le conseguenze sociali della Rivoluzione Industriale furono inizialmente negative.Le città si erano ingrandite enormemente senza tenere conto dei bisogni della popolazione.Sorsero così squallidi quartieri dormitorio, senza acqua corrente né fognatura, in cui le persone (bambini, donne e uomini) vi andavano solo la sera per dormire. Infatti, i turni in fabbrica erano uguali per tutti ed erano in media di quindici ore al giorno. L’operaio entrava in fabbrica la mattina e ne usciva distrutto la sera e molto spesso il pranzo e la cena avvenivano in fabbrica, mancando il tempo per tornare a casa.
Il cambiamento del passaggio determinato dal sorgere della fabbrica presupponeva un più profondo cambiamento della struttura della società.Artigiani e contadini espropriati,che avevano perduto la possibilità di continuare la loro attività in modo indipendente,costruirono la massa nella quale furono reclutati gli operai delle nuove fabbriche. Alla formazione di una classe di capitalisti industriali,corrispose dunque lo sviluppo di una nuova classe d’operai salariati che non possedevano altro che le loro braccia ed i loro figli (proletariato).
La sostituzione del vapore alla forza muscolare rese possibile un larghissimo impiego di donne e fanciulli,che offrivano il vantaggio di poter essere pagati molto meno degli adulti.
Aumentando i beni di consumo ed i prodotti alimentari,l’avvento del capitalismo nell’agricoltura e nell’industria rese possibile un intenso incremento demografico.I Grandi concentramenti di popolazione urbana divennero più frequenti e assunsero dimensioni mai conosciute.Le masse dei lavoratori trovarono nuove possibilità di lavoro,ma le condizioni in cui furono costrette a vivere costituiscono uno dei capitoli più tristi della storia umana. L’orario normale di lavoro era dalle 12 alle 16 ore giornaliere, ed i salari erano appena sufficienti ad assicurare la vita dell’operaio e la riproduzione della sua forza lavoro.In pratica tutta la vita dell’operaio era assorbita da dove il ritmo dell’operaio era automaticamente imposto dalla macchina. L’educazione degli operai a questo tipo di vita fu un problema di non facile soluzione per i primi capitani d’industria.In parte esso fu risolto con l’assunzione di manodopera infantile,più facilmente disciplinabile.Lo stato contribuì a rendere più agevole lo sfruttamento dei salariati vietando nel 1799,con i Combinations Acts,l’associazione tra gli operai.Il divieto non impedì però che le associazioni di mestiere (trade Unions) si sviluppassero clandestinamente.la protesta operaia assunse forme violente nel 1811,allorché il luddismo (movimento che prese il nome dal mitico capo Ned Ludd) si sviluppò nel Nottinghamshire per dilagare poi nelle altre regioni industriali.La manifestazione più vistosa e importante del Luddismo fu quindi per un aspetto l’espressione di una mentalità preindustriale che difendeva un’organizzazione arcaica della produzione e del lavoro;ma,di fatto,o nelle intenzioni dei suoi promotori,esso cominciò a porre una serie di problemi che in seguito sarebbero stati oggetto della cosiddetta legislazione sociale:minimo salariale,tutela del lavoro infantile e femminile,diritto d’associazione,impegno sociale contro la disoccupazione.
L’incapacità del luddismo di superare la forma primitiva della lotta contro le macchine,di porre con chiarezza determinate rivendicazioni e di collegarsi con l’azione politica,condusse rapidamente al suo declino.Nel 1812,dopo che già alcuni imprenditori avevano cominciato ad organizzare privatamente la resistenza contro i luddisti,fu votata una legge che prevedeva la pena di morte contro i distruttori di macchine. Cominciò allora una nuova fase della lotta per il riconoscimento dei diritti politici agli operai. Al loro fianco si pose,infatti,il movimento radicale che sorse in Inghilterra subito dopo la Rivoluzione Francese. In questa fase il ricorso da parte del governo alla repressione più intransigente suscitò una tensione tale che raggiunse la sua punta massima,con la rivolta di Pentridge ed il massacro di Peterloo,negli anni tra il 1817 ed il 1820.La battaglia radicale ottenne un primo parziale risultato nel 1824,quando una legge riconobbe agli operai il diritto di associarsi per motivi economici ed assistenziali,mantenendo però il divieto allo sciopero e all’associazione per fini politici.


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