ITALO CALVINO Il barone rampante Analisi

ITALO CALVINO Il barone rampante Analisi


-Secondo romanzo di una trilogia che comprende anche “Il visconte dimezzato” ed “Il cavaliere inesistente”, “Il barone rampante” di Calvino segue lo stesso filone storico e fantastico degli altri due libri, ambientando in un passato appena evocato vicende surreali dal tono morale: in questo caso particolare si tratta della vita di Cosimo Rondò, un nobilotto ligure che un giorno decide di salire sugli alberi e di non scenderne più.

Tale gesto ha il valore metaforico di un allontanamento e di un distacco dalla società degli uomini e della possibilità di guardarli dall’alto, ovvero da una posizione oggettiva, ed il protagonista assume quindi le caratteristiche necessarie al raggiungimento di questa elevata quanto ideale condizione.

Innanzitutto, egli ci appare, o meglio viene esplicitamente definito un “ribelle”, qualità questa che si delinea soprattutto nel conflitto coi genitori e che ha l’aspetto non di irriverente sceneggiata, ma del consapevole rifiuto del loro mondo decadente; padre e madre, infatti sono entrambi ignari dell’irreversibile fine cui l’Ancien Règime è stato condannato in quegli anni dalla rivoluzione in Francia, ed esprimono una sorta di insofferenza ed indifferenza nei confronti del loro presente, il primo ostentando una passione viscerale per l’albero genealogico della propria famiglia e per i propri diritti feudali sui terreni che da secoli non sono più sotto il giogo della nobiltà, la seconda interessandosi a guerre e battaglie, soprattutto se di vecchia data.

Se il coraggio a non accettare tutte le imposizioni attuate da un’autorità o dalla società, che si manifesta in Cosimo quando, durante il pranzo, rifiuta una portata a suo giudizio disgustosa, portano il protagonista a salire sugli alberi con un vero e proprio atto di ribellione, sono l’ingenuità e la caparbietà a indurlo al completo distacco da un mondo malizioso e volubile; egli decide infatti di non scendere più dai rami in seguito all’incontro con la ragazza della tenuta vicina, Violante d’Ondariva e d’Ombrosa (che incarna appunto malizia e voluttà), la quale gli cede per gioco il “regno” arboricolo tenendo per sé quello meno puro e certo non incontaminato della terra.

Lo stile di vita spartano e precario sono la prima occasione per mettere in luce alcuni dei migliori aspetti della personalità del protagonista, quali il coraggio (non più solo quello a ribellarsi) ed il senso pratico: quest’ultimo in particolare si rivela molto utile, in quanto, oltre che ad aiutarlo nel rendere più confortevole la propria esistenza, lo spinge ad occuparsi della comunità del villaggio e a salvarla da pericoli quali un enorme e distruttivo incendio o lo sbarco dei pirati saraceni, pericoli questi che gli uomini non potrebbero fronteggiare a dovere sotto il mero controllo autoritario di un qualunque “terrestre”.

La parte centrale del libro è, inoltre, dedicata ad una serie d’incontri con personaggi, nuovi o già presentati all’interno del romanzo, con cui mai il barone avrebbe avuto a che fare o di cui non avrebbe scoperto i segreti rimanendo a terra. E’, infatti, spiandone le mosse dall’alto che comprende la vera natura del misterioso e riservato zio, fratellastro del barone, il quale fu prigioniero dei mussulmani, dai quali imparò la tecnica idraulica e l’arte dell’apicoltura, ed il quale, mascherandosi con la timidezza, cela un’indifferenza nei confronti degli occidentali che lo spingerà a favorire i pirati saraceni. Le circostanze della sua morte, note solo a Cosimo, ed il modo in cui queste possono essere interpretate dalla gente mostrano nuovamente la simbolica condizione di oggettività raggiunta dal barone.

Sempre dall’alto degli alberi, il protagonista fa la conoscenza di un altro personaggio, ovvero il capo dei briganti Gian dei Brughi, il quale, oltre a non corrispondere alla propria fama di ladro temerario, contro ogni aspettativa si appassiona di letture al punto da preferirle alla sua solita occupazione; persino sul patibolo (al quale sarà condannato per esser stato maldestro proprio per aver perso la dimestichezza nelle rapine) il suo primo pensiero sarà il finale di un romanzo, a dimostrare come le persone celino in se stesse un carattere o una personalità ignota ai più.
Molti altri incontri di Cosimo avvengono con ragazzi poveri, contadini o boscaioli, il che dimostra, nuovamente, la totale oggettività della sua situazione, che gli ha fatto dimenticare d’essere un barone e gli ha permesso di andare oltre le regole tra le classi sociali. Questo si delinea anche, seppur in senso inverso, dall’incontro con i nobili spagnoli i quali, con la loro alterigia e mancanza di senso pratico, mostrano tutta la distanza che ormai v’è tra loro ed il protagonista.


1) Riassunto esteso

“Il barone rampante” narra le avventure del giovane Cosimo, figlio secondogenito del barone di Rondò, che, stanco di dover obbedire alle pretese dei genitori e di dover sopportare le cattiverie della sorella Battista, decide di fuggire dalla solita routine quotidiana per rifugiarsi sugli alberi. Come spiega il fratello Biagio, all’inizio si credeva che presto Cosimo si sarebbe stancato di questo genere di vita e sarebbe sceso, ma in realtà non fu così. Anzi, dopo aver trascorso un periodo di scoperta e di esplorazione dei territori circostanti ad Ombrosa, affinando le tecniche di caccia e di sopravvivenza, il futuro baronetto diventa il protagonista di una serie di ardimentose imprese che vengono pazientemente raccolte dal fratello minore. Ad esempio, si racconta della sua strana amicizia con Viola D’Ondariva, la figlia dei suoi ricchissimi vicini di casa, attraverso la quale aveva potuto fare anche la conoscenza con la famosa banda dei ladri di frutta, composta da alcuni ragazzini che organizzavano scorribande per tutta la regione. All’epoca, Cosimo aveva appena dodici anni, ma quello che maturò per Viola fu un vero sentimento d’amore, che si spezzò per lui quando quest’ultima dovette trasferirsi da Ombrosa in un altro paese con la sua famiglia. Purtroppo, durante il trasloco accadde che uno dei cani della bambina, un bassotto, fu dimenticato alla villa, e Cosimo approfittò dell’occasione per adottare il cucciolo e ribattezzarlo Ottimo Massimo. In questi tempi, la stima che la gente provava per questo nuovo eroe cresceva sempre di più, anche perché Cosimo cercava di rendersi utile ai contadini, magari con mansioni di ‘coordinatore dall’alto’, oppure barattava la sua cacciagione con frutta e verdura, giusto per ampliare la sua dieta. Nonostante se ne stesse sempre sugli alberi, egli non mancava mai di partecipare alle vicende familiari; appollaiandosi su qualche ramo che sporgeva verso la casa poteva assistere ai ricevimenti, oppure, sedendosi sul grande olmo vicino alla chiesa poteva addirittura ascoltare la messa.

Un altro episodio interessante della vita di Cosimo, riguarda anche il suo stranissimo incontro col brigante Gian dei Brughi che, all’epoca, si diceva fosse il ladro più spietato di tutta la contea. Il neo-barone di Rondò (suo padre aveva infatti deciso di cedergli comunque il titolo nobiliare, nonostante le sue assurde abitudini) desiderava tanto conoscere questo personaggio, finché un giorno gli capitò di avere la possibilità di aiutarlo a scappare da un inseguimento della polizia locale. Così iniziò la sua amicizia con Gian dei Brughi, che si scoprì poi essere un brigante ormai tramontato, che voleva solamente trascorrere la sua vecchiaia in pace. Cosimo gli insegnò a leggere e ad apprezzare alcuni classici della letteratura, al punto che il criminale trascorreva le giornate chiuso nel suo nascondiglio a scorrere pagine e a fantasticare. Un giorno, però, alcuni suoi vecchi colleghi di furto convinsero Gian dei Brughi a compiere l’ultimo colpo della sua carriera, che gli fu fatale per essere arrestato. Condannato all’impiccagione, durante i giorni trascorsi in galera, l’ex-brigante pregava l’amico di portargli ugualmente dei libri da leggere con cui ingannare il tempo, e quando fu il momento dell’esecuzione, Cosimo ne fu così addolorato che vegliò sul cadavere per tutta la notte.

Un’altra avventura interessante de “Il barone rampante” fa sicuramente riferimento allo zio di Cosimo, il cavalier avvocato Enea Silvio Carrega, che tra l’altro era fratello illegittimo del padre e sul cui passato non si sapeva molto. Una notte, Cosimo lo vide uscire dall’abitazione e, incuriosito, lo seguì fino al porto. Qui, dopo una serie di segnali con le lanterne, sbarcò da una nave ancorata al molo una frotta di pirati arabi, con i quali sicuramente il cavalier avvocato aveva fatto un patto per fare in modo che questi potessero nascondere il bottino. Cosimo decise di andare a chiamare i suoi amici carbonai che vivevano sulle colline, non solo perché potevano aiutarlo a scacciare i Mori, ma anche perché, essendo i più bisognosi e indigenti di tutta Ombrosa, avrebbero potuto trarre profitto dal ricco bottino di quei predoni. Sventato l’attacco dei pirati, Cosimo prese ad inseguirli per mare abbarbicato sull’albero maestro di una barchetta. Intanto, suo zio cercava a tutti i costi di raggiungere la nave araba, ma il capitano, considerandolo evidentemente responsabile dell’imboscata, lo decapitò con un colpo di sciabola. Una volta tornato a terra, Cosimo passava le sue giornate sui rami più bassi di un albero in piazza, raccontando alla gente le avventure di quella notte, e per non tradire il segreto dello zio naturale, imbastì una storia talmente bella e appassionante (nella quale Enea Silvio Carrega appariva addirittura come un eroe) che tutti ci credettero nonostante i particolari discordanti.

Dopo questo episodio, Cosimo si dedicò ancora anima e corpo all’esplorazione dei territori circostanti ad Ombrosa, finché un giorno giunse nei pressi di Olivabassa, dove si diceva che un’intera colonia di Spagnoli vivesse sugli alberi. Costoro erano dei nobilotti spagnoli ribellatisi al re Carlos III per motivi di privilegi feudali, che erano stati esiliati; per protesta essi non andarono via da Olivabassa, ma si stabilirono semplicemente sugli alberi, fino ad aspettare il momento in cui il sovrano li avrebbe richiamati giù. Qui Cosimo conobbe alcuni personaggi importanti, come Don Sulpicio o Don Frederico, con la cui figlia, Ursula, sperimentò le prime gioie amorose. Accadde però che arrivò il tanto anelato decreto reale con il quale queste famiglie potevano ritornare ai propri possedimenti: nonostante Ursula avesse chiesto a Cosimo di sposarla, questi rifiutò perché altrimenti sarebbe stato costretto a mancare alla promessa fatta ormai tanti anni prima di non scendere mai dagli alberi.

Da questo momento, il nuovo barone di Rondò poteva vantare di avere come amanti tutte le più belle donne di Ombrosa che, attratte dal fascino di stare sugli alberi, cedevano immediatamente alle profferte amorose di Cosimo.

Alcuni anni più tardi, mori il padre di Cosimo e Biagio, seguito a breve distanza dalla moglie, soprannominata la Generalessa. Così Cosimo divenne ufficialmente barone di Rondò, e grazie all’aiuto del fratello nella gestione economica e familiare, nessun abitante di Ombrosa si lamentò mai del suo operato. La sua felicità fu ancora più completa quando scoprì che anche Viola era tornata nella casa paterna, dal momento che l’uomo che aveva sposato da poco, un nobile ottantenne, era morto. Viola fu anch’ella contentissima di rivedere l’amore della sua infanzia, e si mostrò disponibilissima a salire con lui sugli alberi per occupare i numerosi giacigli che Cosimo aveva costruito per le sue precedenti amanti. Tuttavia, la devozione che egli provava per Viola non era del tutto ricambiata, poiché lei ad ogni occasione si ingraziava sempre nuovi spasimanti, e faceva la civetta con chiunque la degnasse di qualche attenzione. Stanca delle scenate di gelosia di Cosimo, la marchesa Viola decise di ripartire, lasciando nella più completa disperazione e in uno stato di pazzia acuta lo sventurato barone.

Un altro evento importante al quale Cosimo partecipò fu la guerra in corso fra gli Austro-Sardi e i Francesi in seguito alla Rivoluzione. Ad Ombrosa, infatti,  erano penetrate sia le truppe francesi per proclamare l’annessione alla ‘Grande Nazione Universale’ tanto sostenuta dai Giacobini, sia le truppe austriache, convocate per assicurare la neutralità della Repubblica di Genova.

Cosimo, dall’alto dei suoi alberi, poteva scrutare tutti questi movimenti, e come raccontò agli Ombrosoli, in più occasioni boicottò i battaglioni austriaci per aiutare invece nei modi più inconsueti quelli francesi. Alla fine, furono le Armate Repubblicane ad avere la meglio sugli Austriaci, in occasione degli scontri di Dego e di Millesimo, e ad Ombrosa fu finalmente sancita la totale appartenenza alla Francia. Cosimo fu trattato come un vero eroe, al punto che lo stesso Napoleone decise di degnarlo di una propria visita. Tuttavia, egli non era più quello d’un tempo, e cominciava a diventare vecchio; passava le sue giornate su un albero della piazza, mendicando qua e là qualcosa di caldo da mandare giù. Il fratello fece in modo che negli ultimi giorni della sua vita, Cosimo potesse avere tutte le comodità possibili, e quando arrivò il momento fatale, mandò a chiamare un prete per la benedizione. Ma Cosimo, come preso da una smania inspiegabile, saltò sui rami più alti dell’albero. Proprio in quel momento, passò nel cielo una mongolfiera che aveva problemi nel prendere quota; Cosimo si aggrappò alla fune dell’ancora, e si buttò in mare non appena il velivolo sorvolò il golfo di Genova. Così mantenne la sua promessa di non scendere mai dagli alberi.


2)  Divisione in sequenze

Cosimo litiga con i suoi genitori e si rifugia su un albero, dal quale giura di non scendere più.

Nonostante i vari tentativi di farlo scendere, Cosimo si arrampica verso il giardino dei d’Ondariva.

Là conosce una bambina di nome Viola, della quale si innamora, ma i genitori quando lo scoprono la mandano in collegio.

Cosimo adotta un cane, Ottimo Massimo, e tra le sue tante avventure conosce un brigante e lo istruisce sui piaceri della lettura.

Poi decide di andare in Francia e là conosce dei nobili spagnoli esiliati e quindi costretti a stare sugli alberi. Tra di essi c’è anche Ursula, il suo secondo amore. Ma la storia non dura molto perché, finito l’esilio, lei continua per la sua strada.

Cosimo vive molte altre avventure e conosce addirittura Napoleone, ma ormai è vecchio e stanco.

Passa una mongolfiera e Cosimo vi si attacca, da allora non si seppe più nulla di lui.

Dopo la sua scomparsa, l’ambiente circostante cambia; anche il paesaggio sembra più monotono senza di lui.


3) Riassunto breve

In questo romanzo si narra di un adolescente di 12 anni, Cosimo, figlio del barone di un paese della Liguria, che, stanco della vita piena di regole e costrizioni, decide, come segno di protesta, di andare a vivere sugli alberi e di non scendere mai più. Così incomincia una nuova vita ricca di avventure. Dapprima Cosimo conosce una bambina, Violante, di cui si innamora perdutamente; ma in seguito questa parte, spezzandogli il cuore. Negli anni seguenti Cosimo si adatta alla vita sugli alberi, cercando di renderla più comoda possibile, sopravvivendo grazie alla caccia e vivendo molte avventure e molti avvenimenti: lotta contro i pirati, legge molti libri diventando un filosofo conosciuto in tutta Europa , conosce un pericoloso brigante, che riesce a redimere grazie alla cultura ma che vede poi morire sulla forca…conosce Ottimo Massimo, il cane che gli tiene compagnia per molti anni: se non che un giorno Violante ritorna a casa, e tra i due nasce una grande amore, che però si conclude male e quindi la ragazza riparte. Cosimo, raccontando le sue avventure, passa tranquillamente gli ultimi anni della sua vita e alla fine muore, a sessantacinque anni, dopo essersi ammalato gravemente, attaccandosi all’ancora di una mongolfiera in volo e buttandosi lontano dal suo paese, per non dare agli abitanti la soddisfazione di vederlo alla fine toccare la terra.


4) Spazio e tempo

Le vicende narrate ne “Il barone rampante”, si svolgono in un paese immaginario, Ombrosa, che è situato in un punto imprecisato della Riviera ligure. L’autore si preoccupa di fornirci anche delle dettagliate descrizioni paesaggistiche, che derivano forse dalla sua profonda conoscenza di queste zone dove aveva trascorso l’infanzia. Il territorio di Ombrosa, oltre ad essere vicino al mare, era composto anche da ampli spazi adibiti all’agricoltura, che si alternavano a immense distese di boschi o alberi da frutto sui quali Cosimo si arrampicava e passava l’intera giornata. Calvino ci lascia immaginare che il territorio fosse gestito da alcune famiglie più o meno nobili che fungevano da piccoli proprietari terrieri costretti a pagare alla Repubblica di Genova (o Ligure, come fu chiamata in seguito all’annessione francese) tasse e decime. Infatti, l’arco temporale in cui si svolgono le vicende narrate parte dal 1767, come dichiara esplicitamente l’autore all’inizio del libro; si tratta di un’epoca molto movimentata della storia, in quanto, solo pochi anni più tardi, hanno luogo la Rivoluzione francese e la guerra condotta da Napoleone contro gli Austriaci. È proprio per questo motivo che anche la cittadina di Ombrosa si trova divisa in due fazioni politiche: da un lato vi sono i Rivoluzionari e i giacobini, tra cui lo stesso Cosimo, che sostengono l’Armata Francese e l’annessione del Genovese alla Francia; dall’altro vi sono invece i più conservatori, che chiedono di preservare la Repubblica neutrale. Anche se la vicenda si svolge principalmente ad Ombrosa, spesso però il luogo della narrazione cambia per spostarsi in altri paesi della Liguria o addirittura a Parigi, dove il fratello di Cosimo si recava per affari.

La narrazione si svolge nell’epoca direttamente successiva alla Rivoluzione Francese e vi sono comunque altri elementi che permettono di identificare l’epoca in cui si svolgono i fatti: indipendentemente dalle vicende politiche, sono le diverse citazioni di autori famosissimi che Cosimo legge. Si parla infatti dell’Enciclopedia Universale, alla cui stesura collaborarono Voltaire, Diderot, Rosseau e D’Alambert, e di altri celebri scritti dai temi innovatori che proclamavano i principi della Rivoluzione, ovvero libertà, fratellanza e uguaglianza. 

Fabula e intreccio coincidono, infatti l’ordine è cronologico.

Ritmo narrativo:

Possiamo fare una distinzione del racconto in tre parti: all’inizio il ritmo è molto lento per via delle numerose digressioni; nella seconda parte si velocizza leggermente per via delle scene espresse nei dialoghi, ma non mancano le digressioni; infine i sommari riassumono i vari eventi e velocizzano la vicenda. Non compare il tempo rallentato. Complessivamente il ritmo narrativo è lento, anche per via delle poche ellissi.


5) Personaggi

Il personaggio principale de “Il barone rampante” è senza ombra di dubbio Cosimo. Anche se del suo aspetto fisico l’autore non scrive niente, il suo comportamento e il suo carattere vengono riportati nel romanzo con estrema cura. L’autore celebra di lui il coraggio e anche la forza di volontà che l’hanno spinto a disobbedire volutamente e a lasciare la famiglia, iniziando una nuova vita di sfide contro gli altri e soprattutto contro se stesso lassù sugli alberi. L’episodio che determinerà la scelta di Cosimo di vivere sugli alberi si riferisce ad un pranzo familiare, in cui Cosimo rifiutò di mangiare le lumache, una delle tante stranezze culinarie preparate dalla sorella Battista. Questo rifiuto segnò il cambiamento totale della sua esistenza; un’esistenza adesso condotta sugli alberi, ma non per questo monotona o stancante, anzi, si potrebbe definire addirittura avventurosa. L’aspetto più importante del suo carattere è sicuramente il grande anticonformismo e la grande avversione nei confronti delle regole del suo ceto sociale: infatti questi determinano il litigio con i suoi genitori, litigio che lo porta a prendere la difficile decisione di abbandonare la terra per andare a vivere tutta la sua vita sugli alberi, già dall’età di 12 anni. Tuttavia, pur vivendo in un’altra dimensione, Cosimo non dimentica i propri obblighi familiari, partecipando dalla cima di qualche albero a feste e ricevimenti, e assistendo i propri genitori quando erano ormai in fin di vita. Cosimo ha una visione molto strana della vita: secondo lui “chi vuole guardare bene la terra deve tenersi alla distanza necessaria”,cioè chi guarda dall’alto può vedere molte più cose e vederle meglio: con questa affermazione possiamo intuire come la sua vita sia soltanto un allegoria del suo pensiero.

Lo stare sugli alberi rappresenta comunque per lui un pretesto per mantenere tra sé e i suoi simili una ‘minima ma invalicabile distanza’, come sostiene l’autore stesso. Infatti, questa immagine di un uomo che si arrampica sulle piante per sfuggire alla solita routine e alla solita gente (pur essendo portata alle estreme conseguenze e presentata da Calvino come un paradosso), rappresenta in un certo senso l’immagine dell’uomo attuale, che, oppresso molto spesso dal lavoro, dalle persone, o semplicemente dalla noiosa quotidianità, decide di trovare una via di scampo e di evadere. Anche se all’apparenza Cosimo ha un animo molto forte e deciso, in realtà si rivela alla fine del racconto un uomo molto fragile; infatti quando Violante lo abbandona, cade di uno stato di tristezza che lo spinge a rifiutare il cibo e a piangere tutto il giorno;un aspetto molto importante del carattere di Cosimo è di sicuro il fatto di voler sembrare migliore di quello che è veramente: infatti per questo ogni volta che racconta agli abitanti di Ombrosa le proprie avventure, ingigantisce enormemente i propri meriti e le proprie capacità.

Ciò che si apprezza maggiormente in Cosimo è comunque l’ostinazione, qualità (o difetto?) che l’ha fatto perseverare nel suo obiettivo iniziale dì non discendere mai dagli alberi. Infatti, persino in punto di morte, egli ha avuto la forza d’animo di non lasciarsi trasportare giù a terra, e ha preferito agganciarsi alla corda di una mongolfiera di passaggio e di buttarsi in mare, piuttosto che essere sepolto.

Un altro personaggio fondamentale del racconto è Biagio, fratello minore di Cosimo, che deve la propria importanza per il fatto di essere l’io narrante delle vicende. All’età della ribellione del fratello, questi aveva appena otto anni, e di conseguenza, nonostante avesse promesso a Cosimo di dargli manforte in qualunque situazione, non aveva avuto il coraggio di abbandonare le comodità familiari. Accusato di codardia, decise di fare il possibile per rendere al fratello più agevole la vita sugli alberi, procurandogli del cibo, delle coperte, degli abiti e persino dei fucili per cacciare. Nonostante avesse cercato più volte di convincerlo a scendere, Cosimo non aveva mai desistito dal suo proposito iniziale, e solo alcuni anni più tardi, Biagio capì che l’ostinazione del fratello celava qualcosa di molto più profondo di un atto di disobbedienza.

Inizialmente, quindi, le avventure de “Il barone rampante”, sono leggermente filtrate attraverso l’ottica di un bambino, ovvero Biagio, il quale ci racconta molti episodi riportando le parole, spesso incredibili, di Cosimo. Anche la figura di Biagio, però, viene messa in luce dall’autore non solo per evidenziare il contrasto e la diversità di carattere fra lui e Cosimo, ma anche per farci conoscere un ulteriore tipo d’uomo, ovvero quello che nella vita non ha mai voluto schierarsi (per paura o per convenienza) né da una parte né dall’altra, seguendo il corso degli eventi così come procede. In effetti, oltre all’episodio in cui Biagio rifiuta di seguire Cosimo sugli alberi, vi sono altre situazioni in cui questi preferisce rimanere nell’ombra piuttosto che emergere (e quindi rischiare) come il fratello. Ad esempio, durante la guerra fra Francia e Austria, a Ombrosa si erano organizzate alcune riunioni segrete della Massoneria: Cosimo prese parte a tutte per sostenere il proprio ideale, Biagio invece cercò di rimanere sempre abbastanza nascosto, non schierandosi né dalla parte dei conservatori né da quella dei rivoluzionari, proprio per non correre pericoli e rischiare di perdere i beni e la faccia.

Un altro componente della famiglia dei Rondò è la sorella di Cosimo e Biagio, la primogenita Battista. Dopo una scandalosa fuga d’amore con il marchese Della Mela, i genitori decisero di spedirla in convento, e nonostante non avesse preso i voti per la sua dubbia vocazione, Battista tornò a casa. Così ella cercò di scaricare la propria tensione e la propria malinconia dedicandosi all’arte culinaria in un modo tutto suo: pare infatti che squartasse gli animali, o comunque preparasse dei piatti assai macabri. In cantina, teneva un barilotto pieno di lumache, che cucinava in tutte le salse, e una volta che Cosimo e Biagio le liberarono per pietà, accadde il finimondo: furono puniti e stettero per più di una settimana in castigo. A dire la verità, il comportamento di Battista non si può neppure biasimare: anche la sua si può in un certo senso definire una forma di ‘evasione’ dagli obblighi impostategli dai genitori. Comunque, per lei le cose vanno a finire bene, poiché durante un ricevimento a casa, conobbe un nobilotto locale, e i genitori acconsentirono piuttosto di buon grado prima al fidanzamento e poi al matrimonio.

Un altra figura importante del romanzo è certamente il barone Arminio Piovasco di Rondò, ovvero il padre di Cosimo, Battista e Biagio. Nel libro viene certamente sottolineata la sua preoccupazione quasi morbosa per la gestione di Ombrosa: infatti, come racconta Biagio: “Il barone nostro padre era un uomo noioso, questo è certo, anche se non cattivo: noioso perché la sua vita era dominata da pensieri stonati, come spesso succede nelle epoche di trapasso. L’agitazione dei tempi a molti comunica un bisogno d’agitarsi anche loro, ma tutto all’incontrano, fuori strada: così nostro padre, con quello che bolliva allora in pentola, vantava pretese al titolo di duca d’Ombrosa, e non pensava ad altro che a genealogie e successioni e rivalità e alleanze con i potentati vicini e lontani”. Forse, queste sue preoccupazioni eccessive per la politica, ebbero delle conseguenze negative sui figli, soprattutto su Cosimo, la cui disobbedienza si potrebbe interpretare anche come una carenza d’affetto da parte del padre.

 Da questo punto di vista, però, non è da meno neppure la madre, Konradine von Kurtewutz, soprannominata la Generalessa per via del suo carattere estremamente autoritario. Konradine era figlia di un generale tedesco, e dopo la morte della madre, fu costretta a seguire il padre da un accampamento all’altro, acquisendo quella sicurezza di sé e quel modo di comandare che si possono coltivare solamente in un ambiente militare. Anche dopo il matrimonio, forse per protesta nei confronti del marito, le era comunque rimasta la paterna passione militare, al punto che si racconta realizzasse degli splendidi ricami al tombolo che rappresentavano mappe di zone in cui si era svolta una qualche guerra, e che venivano poi addirittura ornati con delle bandierine che segnalavano i vari appostamenti e la posizione delle truppe nemiche. Lo stesso rigore che la Generalessa aveva nell’ esercito, lo portò quindi anche nella famiglia, scaricandolo in modo particolare sui figli, cui dedicava sicuramente poche attenzioni.: dopo la decisione di Cosimo di rimanere sugli alberi, ella non si preoccupò più di tanto; anzi era addirittura contenta perché così poteva seguire tutto il giorno gli spostamenti del figlio col binocolo, segnalandoli poi su una cartina, e risvegliando in sé la passione militare che si era un po’ affievolita con la morte del padre.

Un altro personaggio che appartiene alla famiglia dei Rondò è il cavalier avvocato Enea Silvio Carrega, fratello naturale del barone. Del suo passato si sa poco o niente: pare che fosse stato addirittura in Turchia, come testimonia la sua conoscenza della lingua e il suo sfoggio di abiti tipicamente orientali. Ci viene immediatamente presentato come un tipo piuttosto riservato, e poiché era stato salvato dal fratello da una sicura condanna a morte, cercava di dimostrarsi a tutti i costi docile e servizievole nei suoi confronti, occupandosi dei problemi di irrigazione e di idraulica dei territori di Ombrosa. In realtà, questo personaggio nasconde una doppia vita, che viene scoperta da Cosimo una notte in cui il cavalier avvocato doveva sigillare la propria alleanza coi pirati musulmani permettendo loro di nascondere la refurtiva nei pressi del porto di Ombrosa. Anche questo personaggio non ha però una fine felice: accusato di tradimento dal capitano della nave araba, viene decapitato e gettato in mare.

L’ultimo personaggio che fa parte della famiglia di Cosimo è l’abate Fauchelafleur, un vecchietto secco e grinzoso di cui la gente lodava il carattere rigoroso e la severità interiore. Era stato ingaggiato come precettore di Cosimo e Biagio, anche se, in realtà, era una persona totalmente diversa da quello che si credeva: si perdeva in lunghe meditazioni con gli occhi fissi nel vuoto, quasi stesse ripensando alla fonte della sua vocazione, ed era così disinteressato a ciò che accadeva ai ragazzi, che questi se la svignavano senza che lui nemmeno se ne accorgesse. La cosa assurda è che, quando Cosimo sugli alberi decise di dedicarsi alla letteratura, pregò il povero vecchio di salire con lui per essere illuminato su alcuni autori di cui, a dire la verità, conosceva più lui che non quello che sarebbe dovuto essere il suo maestro.

Tra i personaggi minori, bisogna ricordare poi il grande amore di Cosimo: Viola. Il suo incontro con lei risaliva a molti anni prima, quando, esplorando i dintorni ‘arborei’ della propria villa, Cosimo notò una bambina che si dondolava sull’altalena: “Era una bambina bionda, con un’alta pettinatura un po’ buffa per una bimba, un vestito azzurro anche quello troppo da grande, la gonna che ora, sollevata sull’altalena, traboccava di trine. La bambina guardava a occhi socchiusi e naso in su, come per un suo vezzo di far la dama, e mangiava una mela a morsi, piegando il capo ogni volta verso la mano che doveva insieme reggere la mela e reggersi alla fune dell’altalena, e si dava spinte colpendo con la punta degli scarpini il terreno (…)”. Già da queste poche righe, si profila il carattere di Viola che, nobile di nascita, o stenta forse un’eleganza e una pomposità un po’ eccessive. Dal momento che i suoi genitori erano molto impegnati e non potevano badare a lei, Viola si comportava da ‘spirito libero’: poteva uscire dalla sua proprietà quando voleva, e poteva persino frequentare la gente che voleva, come i ragazzini della famosa banda dei ladri di frutta, che la consideravano alla stregua di una principessa da proteggere e di cui contendersi le attenzioni. A dire il vero, Viola era ben contenta di stare a questo gioco, e spesso si comportava da vera e propria tiranna miei confronti dei suoi amici. Lo stesso trattamento era stato riservato anche allo sventurato Cosimo, che alla prima occasione veniva preso in giro e ferito nel suo orgoglio per l’abbigliamento inadeguato o per la sua strana abitudine di spostarsi sugli alberi. Tuttavia Cosimo rimase addirittura colpito da questo atteggiamento di sfida della ragazzina, e forse se ne innamorò già dal primo incontro. Una volta cresciuto, il destino volle che la stessa Viola ritornasse ad Ombrosa come vedova di un ricco ottantenne, e si prestasse molto volentieri alle attenzioni dedicatele da Cosimo. Ma fu proprio l’atteggiamento volubile di Viola (che la spingeva a cercare sempre nuovi amanti fra i numerosi pretendenti), che condusse il povero barone di Rondò alla pazzia, pazzia che trovò un sfogo solamente in occasione della guerra contro gli Austriaci.

Un altro personaggio, che forse ricopre un ruolo solamente secondario, è il brigante Gian dei Brughi, famoso bandito che, si diceva, depredava le campagne circostanti ad Ombrosa. Come già raccontato, Cosimo lo conobbe in un’occasione molto strana, ma capì fin dall’inizio che era inoffensivo. Decise così di iniziarlo alla lettura di alcuni libri e testi all’epoca molto famosi, e Gian dei Brughi, completamente preso da questa nuova occupazione, finì per abbandonare il furto per dedicarsi anima e corpo alla lettura. Cosimo si prodigava per procurargli sempre nuove testi, e rimase sconcertato quando, su ricatto, l’ex-brigante fu costretto a compiere un ultimo colpo e fu colto in flagrante. Nonostante fosse imprigionato in attesa dell’impiccagione, Gian dei Brughi continuò a leggere di nascosto fino alla fine.


6) Linguaggio

Tutti e tre i libri (Il barone rampante, Il cavaliere inesistente, Il visconte dimezzato) sono scritti in un modo semplice, con un linguaggio lineare e perciò accessibile a tutti; tale caratteristica li fa sembrare come libri alla portata di qualsiasi pubblico, anche perché lo stile adottato per raccontare le tre storie è indubbiamente quello fiabesco. La trilogia è stata invece paragonata a un mare che è in superficie azzurro, liscio e illuminato dal sole, ma molto profondo; immergendosi in esso vi si possono vedere animali strani e un mondo complicato, e lo si percepisce freddo e buio. Allo stesso modo i tre racconti ci appaiono gradevoli e divertenti ad una prima lettura, ma ci mostrano ad un’analisi più profonda tutte le difficoltà e perversità della vita.

Il linguaggio del Barone è estremamente lineare e semplice, scorrevole e rapido: non si sofferma infatti troppo sui particolari, pur descrivendoli minuziosamente e realisticamente, i periodi sono brevi e poco complessi sintatticamente. Tutti questi racconti rispecchiano l’idea della rapidità nella scrittura. Sono presenti parecchi dialoghi, ma tutti costituiti da battute piuttosto brevi. Nei dialoghi spesso ciascun personaggio usa espressioni in lingua straniera o dialettali, marcando così la divisione tra gli uomini e la spesso frequente mancanza di comprensione.

 7) Narratore

Il narratore è Biagio, il fratello di Cosimo, (perciò si può dire che è interno testimone), il che permette all’autore di illustrare vari punti di vista, quale, oltre a quello dello stesso personaggio, anche quello della comunità paesana, sempre pronta a sentenziare sulle strane abitudini del barone; tale espediente, mescolando affetti a giudizi, smorza di poco il tono farsesco di taluni episodi. Ma, nonostante ciò e, soprattutto, nonostante i diversi spunti morali, il romanzo si presta ad una lettura anche di solo intrattenimento, venendo a collocarsi a metà strada fra “Il visconte dimezzato”, estremamente pedante, ed “Il cavaliere inesistente”, forse troppo burlesco, e risultando essere certamente il più memorabile della trilogia.


8) APPROFONDIMENTI

I temi: I temi che si intrecciano ne “Il barone rampante” sono molteplici e possono essere interpretati in vari modi. Forse il filone attorno al quale gravitano tutti gli eventi di Cosimo è quello della fuga; fuga che qui viene concretizzata come una reale sparizione dalla vita quotidiana per rifugiarsi sugli alberi, ma che allude teoricamente alla fuga o al desiderio di evasione che ciascuna persona porta insita nel proprio carattere. Cosimo è stanco di essere rimproverato dai genitori e di dover subire le angherie della sorella, e così fugge, promettendo di non tornare più; allo stesso modo l’uomo, pressato dalla routine quotidiana, dal lavoro o semplicemente dalla noia, spesso decide di fuggire per ritirarsi in un mondo tutto suo. Un commento dell’autore della presentazione del libro dice che “La prima lezione che potremmo trarre dal libro è che la disobbedienza acquista un senso solo quando diventa una disciplina morale più ardua e rigorosa di quella a cui ci si ribella.”. Questo è vero, perché Cosimo ha anche il coraggio e la perseveranza di rimanere coerente con gli impegni presi, e alla fine, quello che inizia come un semplice atteggiamento di sfida nei confronti dei genitori, diventa una vera e propria dottrina di vita, con delle scadenze che forse sono ancora più difficili da mantenere rispetto a quelle date dai genitori. Ancora, il comportamento di Cosimo, oltre che come un atto di esplicita disobbedienza, potrebbe anche essere considerato come un vero e proprio atto di pazzia, come dichiarano tutti gli stessi compaesani di Ombrosa. Quindi, da questo punto dì vista, Cosimo potrebbe addirittura incarnare la figura dell’ ‘alienato mentale’ che viene decantato, ad esempio, in molte delle novelle di Pirandello. Tuttavia, se si considerano le motivazioni per cui Cosimo ha raggiunto la follia, il suo atteggiamento di fronte alla vita diventa immediatamente comprensibile e tollerabile agli occhi degli altri, e addirittura in molti personaggi del romanzo si possono cogliere delle note di pietà e compassione per il protagonista. In fin dei conti, questa stessa tematica si ripercuote anche sugli altri personaggi de “Il barone rampante”, anche se magari con minore incisività rispetto a Cosimo. Ad esempio, non si può dire che i genitori di Cosimo si comportino in modo normale: basti pensare, ad esempio, al loro comportamento di fronte alla decisione del figlio di vivere sugli alberi e alla facilità con cui hanno accettato questa situazione. Anche la stessa Battista, sorella di Cosimo, potrebbe essere considerata ‘un’alienata’, vedendo le sue strane abitudini culinarie e il suo istinto di impallinare qualcuno ogni qual volta si contestasse una sua pietanza. D’altro canto, però, bisogna osservare anche il motivo di questa sua follia, che deriva certamente dall’imposizione da parte dei genitori di farsi monaca per riparare alla sua ingiustificata fuga d’amore col marchese.

Quindi, all’interno di questo libro non bisogna concentrare l’attenzione solo sul personaggio di Cosimo, perché si intrecciano molteplici altre vicende interessanti che rispecchiano le stesse motivazioni e lo stesso desiderio di fuga dalla realtà che ha il protagonista.


Il messaggio

Ribellione e rifiuto convinto di una realtà che impone convenzioni e rapporti non sentiti, elogio dell’indipendenza di pensiero e satira di una classe sociale imbalsamata, bigotta, conformista. In più l’autore ha voluto raccontare il suo stato d’animo e specialmente la condizione propria di ogni uomo; infatti, come già molti altri poeti e scrittori hanno fatto , vuole mettere in evidenza la condizione di estrema solitudine di ogni uomo durante la sua breve vita. Quindi, con questo racconto, Calvino vuole affermare che, nonostante la vita di un uomo possa essere felice e ricca di avvenimenti, ognuno è comunque solo e chiuso in se stesso, come Cosimo, che, nonostante conservi un gran numero di amicizie ed una vita avventurosa e ricca di movimento, è comunque distaccato dalla realtà perché vive sugli alberi, lontano da tutto e da tutti.

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