INVESTITURE

INVESTITURE

Dalla fine dell’impero carolingio all’impero degli Ottoni

Nei due secoli seguenti la morte di Carlo Magno, la storia europea fu caratterizzata da una serie di sconvolgimenti che trasformarono la carta politica del continente. Gli eredi di Carlo Magno, infatti, si divisero l’impero già nel 843 (vedi appunti precedenti), mentre tra il IX e il X secolo nuove popolazioni si riversavano in Europa: Saraceni (pirati musulmani che razziavano le coste italiane e francesi in cerca soprattutto di schiavi), Magiari (o Ungari, di origine mongolica, abili cavalieri che misero a ferro e fuoco l’Europa centrale fino all’Italia e si stanziarono poi in Ungheria) e Vichinghi (o Normanni, grandi navigatori e feroci guerrieri che si spinsero fino all’America settentrionale, alla Russia e spinsero le loro scorrerie sino all’Italia, la Spagna, la Francia).

In particolare, tra il 902 e il 1091 gli Arabi riuscirono a strappare la Sicilia ai Bizantini, mentre nel secolo XI alcuen tribù normanne si stanziarono nella regione francese che si affaccia sul canale della Manica e che da loro prese il nome di Normandia; partendo da lì invasero l’Inghilterra e nel 1066 il loro capo – Guglielmo il Conquistatore – vi fondò una dinastia regnante. Altri Normanni, guidati da Roberto il Guiscardo (=“l’astuto”) si impadronirono dell’Italia meridionale prima e poi della Sicilia, fondandovi un regno, scacciandone gli Arabi e entrando in contrasto con l’impero per salvare papa Gregorio VII.

Lo sconvolgimento della carta politica europea si accompagnò ad una profonda trasformazione del sistema vassallatico-beneficiario concepito da Carlo Magno, al punto che i vassalli più potenti riuscirono a garantirsi l’ereditarietà dei benefici. Le ultime invasioni determinarono la fine dei re carolingi, sostituiti da una numerosa serie di poteri locali (“età del particolarismo”) spesso incentrati sul possesso di fortezze o castelli.  Per rispondere localmente alle invasioni, si verificava infatti il processo di fortificazione di villaggi e residenze signorili (“incastellamento”). Le fortificazioni furono spesso una risposta alle incursioni operate da saraceni e ungari, ma anche ai pericoli dovuti a un endemico stato di disordine politico-militare. I castelli furono sempre centri di attrazione demografica, e furono quindi utilizzati in alcune regioni come strumenti per indirizzare o favorire movimenti di popolazione, stimolando o sostenendo la creazione di nuovi centri abitati, ma furono numerose anche le fortificazioni poste attorno o a fianco di insediamenti già formati. Più rari e di minore durata furono in genere i castelli separati dai centri abitati, con finalità di controllo di punti stradali di particolare interesse. I centri fortificati, oltre a difendere i patrimoni signorili e i contadini che vi abitavano, divennero, in quei secoli in crescita, centri di snodo per il commercio.  Il sistema concepito da Carlo Magno fu quindi sostituito da un nuovo modello, formato da nuclei signorili indipendenti, appartenenti a nobili spesso più ricchi e potenti degli stessi sovrani.

Questo processo, molto precoce in Francia, si fece sentire con più ritardo in Germania anche grazie all’attività di sovrani energici come Enrico I e del figlio Ottone I di Sassonia. In particolare, Ottone, duca di Sassonia (936-961), re di Germania (936-973) e infine imperatore (962-973), fu incoronato re di Germania ad Aquisgrana nel 936. Dopo aver domato una pericolosa rivolta principesca guidata dal fratello Enrico e dal duca di Franconia (939), strappò il controllo della Lorena al carolingio Ludovico IV. Per assicurare meglio le basi del proprio potere in Germania distribuì i ducati più importanti (Lorena, Baviera e Svevia) a membri del proprio lignaggio. Nel 951 scese in Italia dove sconfisse Berengario e si fece incoronare a Pavia. Tornato in Germania, dovette contrastare la ribellione di suo figlio Liudolfo (953). Con Ottone cominciò il Drang nach Osten (la spinta verso est) politico e non solo economico-insediativo dei tedeschi: sconfitti duramente gli ungari nella battaglia di Lechfeld (955) il re si spinse verso l’Elba dove riportò numerose vittorie sulle autoctone popolazioni slave. Nel frattempo, appoggiandosi ai grandi signori laici e soprattutto ecclesiastici (vescovi e abati d’impero, ai quali venivano conferiti tramite investitura benefici e poteri pubblici = “vescovi-conti”), consolidava il proprio potere in Germania. Nel 961 discese nuovamente in Italia ove sconfisse definitivamente e depose Berengario d’Ivrea. Quindi si diresse, come alleato, alla volta di Roma dove, all’inizio dell’962 si fece incoronare imperatore d’Occidente. Rimasto in Italia, due anni dopo depose il papa Giovanni XII, giudicato troppo favorevole a Berengario II. Nel 967 tornò ancora in Italia sia per far incoronare suo figlio Ottone II sia in vista di azioni militari contro longobardi e bizantini dell’Italia meridionale. Tali azioni, pur non ottenendo alcun successo sul campo, gli permisero di contrattare il matrimonio del figlio con la principessa bizantina Teofane. Nel corso del suo regno Ottone si sforzò sempre d’intensificare i legami con tutti i vertici dell’apparato ecclesiastico, sviluppandone anche la potenza territoriale. Solido al proprio interno, il regno ottoniano riuscì anche a organizzare un’efficace difesa del confine orientale contro slavi e ungari, al punto che il figlio e successore Ottone II (955 – Roma 983), dopo aver sposato la principessa bizantina Teofane (972), poté sottomettere il ribelle duca di Baviera (976), scendere in Italia (980) e  sedare a Roma le violenze dell’importante famiglia dei Crescenzi, che di fatto monopolizzava la carica papale. Egli inoltre sottomise formalmente i longobardi duchi di Benevento e Capua, ma fu duramente sconfitto dai musulmani di Sicilia (982) e morì sulla via del ritorno in patria. Gli successe il figlioletto Ottone III,  sotto la reggenza di madre e nonna.

L’educazione di Ottone III venne effettuata da due dei più importanti e più colti uomini di chiesa del tempo, Bernoardo di Hildesheim e Gerberto d’Aurillac. Questi, insieme alla madre Teofano, principessa bizantina, impartirono al giovane Ottone un’educazione caratterizzata dal culto dei fasti dell’antica Roma e dall’idea di impero come depositario del potere universale. Aveva ricevuto un’educazione più accurata di quella che solevano allora ricevere i principi: parlava latino e greco e non si curava di nascondere il suo disprezzo per i rozzi ed incolti costumi sassoni, cui preferiva di gran lunga le raffinatezze della vita bizantina.

Giunto in Italia, nel 996 Ottone venne incoronato imperatore a Monza. I romani gli mandarono un’ambasceria per dargli il benvenuto e lo accolsero nell’Urbe imbandierata a festa. Nel suo seguito c’era il cugino Bruno di Carinzia, che ne era anche il confessore e che, alla morte di Giovanni XV, fu nominato pontefice con il nome di Papa Gregorio V. La prima visita dell’Imperatore a Roma durò poco ma non fece in tempo a ritornare in Germania che la nobiltà romana, sotto la guida di Giovanni Crescenzio, depose papa Gregorio e ne insediò uno di suo gradimento, l’antipapa Giovanni XVI. Ottone III fu costretto a lasciare il paese, sotto la minaccia degli eserciti slavi e nel 997 ripiombò in Italia in cui Gregorio V lo aspettava a Pavia. Arrivato a Roma, sconfisse i suoi avversari, tranne Giovanni Crescenzio che si barricò in Castel Sant’Angelo. Solo il 29 aprile 998, Giovanni Crescenzio capitolò e subito dopo venne condannato a morte.

Circa un anno dopo, Gregorio V moriva, probabilmente per un infarto, e Roma cominciava di nuovo a tumultuare. L’imperatore rientrò nella città dopo aver compiuto un pellegrinaggio al monastero di San Michele al Gargano, ed impose sul soglio pontificio Gerberto di Aurillac, uno degli uomini più colti del tempo e suo precettore in età adolescenziale (da lui posto sull’importante cattedra vescovile della città imperiale di Ravenna) che assunse il nome di Silvestro II. La scelta del nome pontificale rifletteva la politica di recupero imperiale di Ottone, essendo Silvestro I il papa che tradizionalmente aveva affiancato e battezzato Costantino.

Sotto il suo influsso e a causa dell’influenza bizantina sulla corte che aveva esercitato la madre, l’Imperatore cominciò a concepire l’idea di ristrutturare il vecchio e glorioso Impero Romano. Il greco e il latino vennero imposte come lingue ufficiali dell’Impero, sostituendo così il tedesco. Ottone III trasferì la capitale del regno a Roma, facendosi chiamare console, senatore e imperatore dei Romani, ma l’insurrezione del popolo romano del 1001 lo costrinse a fuggire da Roma, insieme a papa Silvestro II, dove non poté più tornare. La sua idea di “ripristino del regno romano” (Renovatio Imperii) fallì a causa dell’opposizione interna, ma anche di Roma, è attualmente controverso cosa intendesse per ripristino e, a causa della sua prematura morte (1002), è difficile comprendere quale fosse il suo progetto e quale sarebbe stato lo sviluppo delle sue azioni future: nonostante il fallimento delle sue politiche di riforma della Chiesa, esse seppero spargere i germi che presto sarebbero germogliati in una nuova azione riformatrice del papato.

 

La lotta per le investiture

Per “investitura” si intende in particolare quella cerimonia con cui, nel sistema feudale, si trasmetteva ad altri un diritto. Fu utilizzata soprattutto per dare in beneficio un bene, in cambio del giuramento di fedeltà vassallatica, e per assegnare un incarico pubblico. Questo tipo di cerimonia, diversamente articolata, aveva grande rilievo ideologico, con un complesso simbolismo tendente a far conoscere con forza alla comunità la trasmissione di diritti in oggetto. Lo stretto sodalizio politico tra regni e gerarchie episcopali permise il consolidamento nel corso dei secoli di un’investitura da parte del re a favore dei vescovi al momento della loro elezione. La volontà di riforma e di autonomia della Chiesa nell’XI secolo diede vita al tentativo di abolire l’investitura laica di vescovi e abati, e di escludere l’intervento imperiale nell’elezione papale. Conseguenza di questo fu la cosiddetta “lotta delle investiture”, che coinvolse impero e papato per quarant’anni, a cavallo tra l’XI e il XII secolo. Il contrasto si accese soprattutto sotto il pontificato di papa Gregorio VII. Egli, da semplice monaco, iniziò la sua opera di riforma della Chiesa. Fu valido collaboratore di molti pontefici, per i quali fu ambasciatore in Francia e in Germania. Divenuto papa si dedicò alla riforma della Chiesa (Riforma romana): il desolante quadro di corruzione, decadenza e abbandono della Chiesa non scoraggiarono il suo rigorismo morale, ma lo spinsero ad agire, come affermò nel discorso inaugurale del suo pontificato. Prese alcune importanti misure per riportare la pace nella diocesi di Milano sconvolta dalla pataria (movimento religioso a prevalenza laicale e popolare, sorto a Milano nella seconda metà dell’XI secolo, contro la simonia e il concubinato di larga parte dei chierici) e intervenne con severità contro quei vescovi e abati accusati di corruzione. Gregorio VII si occupò della riconquista della Spagna e delle relazioni con i normanni, dirigendo le loro mire espansionistiche verso Oriente, dove Bisanzio necessitava di aiuto contro i turchi, nella vana speranza di ricostruire l’unione con la Chiesa bizantina. Nel 1074 convocò in Laterano un grande concilio riformatore nel quale si tese al recupero di nuove forze alla causa della riforma, decretando la condanna della simonia ( = compravendita di cariche ecclesiastiche e, di conseguenza, dei sacramenti o sacramentali) e del concubinato dei preti ( = nicolaismo). L’applicazione di questi decreti trovò molte resistenze poiché sconvolsero nel profondo una realtà considerata, ormai per tradizione secolare, legittima. Nel 1075 un nuovo concilio si mosse per colpire coloro che non si fossero adeguati al nuovo corso e con il decreto contro l’investitura laica si aprì una nuova controversia con l’impero, nota come “lotta per le investiture”, che contrappose Gregorio all’imperatore Enrico IV. Quest’ultimo, raggiunta la maggiore età (1065), tentò di restaurare il potere centrale, indebolitosi durante la reggenza. Entrato in contrasto con papa Gregorio VII, lo fece deporre (1076). Il pontefice reagì scomunicandolo e sciogliendo i sudditi dall’obbligo di fedeltà: temendo una rivolta generale Enrico capitolò, recandosi a chiedere perdono al papa a Canossa dove questi lo ricevette dopo tre giorni di attesa penitente e lo perdonò (25 gennaio 1077) grazie anche alla mediazione della contessa Matilde di Canossa. Libero dalla scomunica, Enrico fronteggiò allora i ribelli e li sconfisse, seppur non in modo definitivo; né si placarono i contrasti con Gregorio che lo scomunicò nuovamente (1080): Enrico creò allora antipapa l’arcivescovo Guiberto di Ravenna (Clemente III), da cui fu incoronato imperatore nel 1084 dopo la presa di Roma. Gregorio VII – rinchiuso nella fortezza di Castel S. Angelo –  fu liberato dal duca normanno Roberto il Guiscardo, presso cui morì, in pratica suo ostaggio, poco dopo. Gregorio, solo apparentemente sconfitto, morì presso i normanni a Salerno, lasciando i primi germi del potere temporale pontificio.

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