INTRODUZIONE A D’ANNUNZIO

INTRODUZIONE A D’ANNUNZIO

introduzione a D’Annunzio


D’Annunzio riprende l’interpretazione del mondo di Verga. Anche per lo scrittore pescarese la legge fondamentale della vita è la selezione naturale, ma al contrario di Verga, D’Annunzio sfrutta a proprio vantaggio questa condizione non solo nei suoi scritti, ma soprattutto nella sua vita. Ricordiamo che D’Annunzio proviene da un piccolo e povero paese dell’Abruzzo, e anche se la sua famiglia stava ai vertici di questa società, D’Annunzio sa che si deve confrontare con l’Italia: emerge così in lui la voglia di distinguersi dalla massa. Ma si trova in un mondo nel quale i grandi ideali risorgimentali sembrano finiti, finita è anche la funzione dello scrittore che con la sua arte indica la nuova via. Egli però sfrutta a proprio vantaggio sia l’ultimo percorso che l’Italia deve compiere per la sua più completa unità (la prima guerra mondiale), sia la nuova massa di possibili lettori che, non conoscendo la grandezza della letteratura italiana, possono essere affascinati più dalla musicalità della parola che dal suo contenuto. D’altronde vive in un’epoca dove i grandi ideali storici e artistici sembrano compiuti, così egli, si sostituisce ad essi, diventando lui stesso un opera d’arte con il suo vivere inimitabile. Il poeta conquisterà a poco a poco il posto di poeta vate, ma deve prima farsi conoscere, e allora crea ad arte scandali che lo portano sulle prime pagine dei giornali. In un primo tempo si rivolge ad un pubblico colto, raffinato, ma vuoto di ideali. Questo è il periodo estetico. Infine, dopo la scoperta di Nietzsche, sfrutta a proprio vantaggio la nuova società di massa, sia sfruttando un nuovo target di lettori (curerà personalmente le edizioni tascabili delle sue opere), sia cercando di convertire le lotte di emancipazione del quarto stato, in lotta per affermare la sua grandezza: è il superuomo che, non rinunciando al culto del bello, trasforma ciò che considerava il diluvio democratico che tutto sommerge in un esercito che esalta la sua grandezza.

Ma facciamo un passo indietro ed analizziamo i due periodi principali, cercando di cogliere, attraverso delle frasi, dei versi-chiave, il momento centrale del suo pensiero e il suo successivo superamento. Abbiamo detto che il periodo estetico dà avvio alla poetica dannunziana, ma anche al decadentismo italiano. Abbiamo già accennato che il poeta decadente non comprende i processi storici in atto, cioè l’ascesa del quarto stato. Egli è ancora immerso in un mondo ottocentesco, eppure proprio D’Annunzio creerà quelle categorie artistiche e di pensiero che caratterizzeranno il primo Novecento. La scrittura dannunziana è ormai lontanissima da quella verista: la parola diventa ricercata, anzi nella parola a poco a poco verrà racchiuso lo stesso discorso poetico; la sintassi, nei componimenti poetici a prima vista sembra semplice, ma proprio la ricercatezza delle parole conferiscono al periodo una retorica elegante, musicale, elegiaca. La sensualità, elemento distintivo di D’Annunzio scrittore, è presente in ogni verso. Sembra che i sensi debbano essere immersi nei versi, per poi uscire risvegliati. E allora le figure retoriche hanno la funzione proprio di ridestare la sensualità: il fruscio che fan le foglieil croscio che varia, il gioco analogico fra elementi naturali e umani (volto/foglia, chiome/ginestre) immergono il lettore in questo mondo fatto di sensi, nel quale la storia che corre perde il suo significato, la ragione la sua forza, la scienza la sua verità. È un uomo nuovo che ne esce fuori. Esteta o superuomo, ma nuovo, non ancora conscio della sua malattia, ma ormai disadattato in un mondo che sta aprendo la sua storia a tutta l’umanità, con tutte le sue esigenze. Ed ecco quindi che il taci e ascolta ne Il piacere e ne La pioggia nel pineto rappresentano in realtà la doppia sconfitta dell’uomo che nega i cambiamenti, in Andrea più evidente, in D’Annunzio stesso celata in un mondo virtuale, lontano dalla storia, ma che quando essa si ripresenta, allora l’illusione della vittoria resta confinata nella virtualità della pineta (ieri m’illuse). La tragicità del Novecento è stata proprio questa: non aver compreso i processi storici, ma averli incatenati in società ad una dimensione, nelle dittature palesi o nascoste.

L’intellettuale ancora con lo sguardo all’Ottocento non si rende conto che un’epoca è ormai finita: ecco la sua malattia, voler vivere con le categorie vecchie una società in cui la modernità si sta compiendo definitivamente. Non è più l’intellettuale che anticipa un’epoca come nel Settecento, o che la fotografa, come nell’Ottocento, è un intellettuale che ha perso il contatto con il cambiamento, non indica più la via, non la fotografa, la subisce non avendo il coraggio di confrontarsi con lei. L’estetail superuomoil poeta vate, la vita inimitabile non sono altro che la febbre di questa malattia che verrà riconosciuta da Pirandello e accettata da Svevo.