INFERNO CANTO XXXIV LUCIFERO VV 16-56

INFERNO CANTO XXXIV LUCIFERO VV 16-56

DIVINA COMMEDIA INFERNO CANTO 34 LUCIFERO VV 16-56

Inferno canto XXXIV


Lucifero – vv. 16-56

Quando i due sono abbastanza vicini per vedere la creatura ch’ebbe il bel sembiante, Virgilio si toglie di davanti e lascia la visuale libera a Dante dicendo: “Ecco Dite, ecco il luogo dove conviene armarsi di coraggio”.

Dante aspetta ancora un attimo a descrivere la visione culminante dell’Inferno e per creare aspettativa nel lettore interpone prima alcune sue sensazioni: divenne gelato e fioco, ma il lettore è meglio che non domandi, ch’ogne parlar sarebbe poco, cioè che qualsiasi parola sarebbe insufficiente; Dante dice che non mori’ e non rimasi vivo (si direbbe oggi “mezzo morto”), e che il lettore può ormai immaginare da sé che vuol dire restare senza vita e morte.

A questo punto inizia senza mezze misure la descrizione dell’apparizione vera e propria:

Dante vede Lucifero come un imperatore decaduto, con una sua regalità, che sta conficcato nel ghiaccio fino al petto. É uno sconfitto reso impotente da Dio, quindi è anche ridicolizzabile dagli uomini: Giotto lo dipinse obeso nella Cappella degli Scrovegni (1306), mentre Dante lo userà come scala. La sua immobile enormità richiama a memoria i Giganti del Canto XXXI, infatti proprio con essi Dante fa un confronto, usando sé stesso anche come termine di paragone: c’è più proporzione tra un gigante e lui, che tra un gigante e le braccia di Lucifero, calcolando quindi con approssimazione un’altezza totale di Satana di un chilometro e mezzo.

Se egli fosse stato bello (prima di ribellarsi) quanto ora è brutto e alzò le ciglia (cioè si ribellò) contro il suo Creatore (fattore), allora è ben naturale che da lui proceda ogni male (ogni lutto).

Grande stupore generano in Dante le tre facce mostruose del demonio: una centrale rossa, le altre due bianco-giallo (destra) e nera (sinistra) (come quella di coloro che vengono dalla valle del Nilo, cioè degli etiopi) si ricongiungevano sul dietro della nuca, dove alcuni animali hanno la cresta. A parte la connotazione dei colori, non pienamente decifrata (forse un’antitesi al bianco, verde e rosso delle tre virtù teologali, fede, speranza e carità), le tre facce sarebbero la punizione di Lucifero: come egli aspirava a diventare Dio, adesso è una mostruosa parodia all’opposto della Trinità; se le caratteristiche divine sono la divina podestate, / la somma sapïenza e ‘l primo amore (Inf. III, vv. 5-6), quelle di Belzebù sarebbero quindi, per contrasto, impotenza, ignoranza e odio.

Sotto ciascuna delle facce escono tre grandi ali proporzionate con l’immane uccello (metafora del corpo di Lucifero). Dante confessa di non averne mai viste di tali e che erano prive di penne, simili a quelle di vispistrello (pipistrello più influenzato del termine odierno dal latino vespertilio. Le tre coppie di ali sono anche caratteristica degli angeli Serafini, i più vicini a Dio, dei quali faceva parte anche Lucifero. Da queste ali hanno origine tre venti che gelano tutto il Cocito. Il particolare delle ali e delle tre facce (antitesi della Trinità) sono le uniche concessioni al mostruoso in questo Satana di Dante: sono assenti tutti gli elementi grotteschi (corna, code di serpente, zampe artigliate, e quant’altro) tipici delle coeve raffigurazioni letterarie e iconografiche (si pensi al diavolo dei mosaici del Battistero di Firenze che Dante conosceva molto bene).

Alle tre facce corrispondono sei occhi lacrimanti e tre menti che gocciolano pianto e sanguinosa bava: sì perché da ogni bocca maciulla una dannato, per un totale di tre.