INFERNO CANTO 10 LA CONDIZIONE DEI DANNATI

INFERNO CANTO 10 LA CONDIZIONE DEI DANNATI

INFERNO CANTO 10 LA CONDIZIONE DEI DANNATI


Dopo aver augurato che i discendenti di Farinata trovino un giorno riposo in patria (il se del v. 94 ha valore augurativo), Dante chiede al magnanimo come mai gli spiriti dell’Inferno, pur dimostrando di conoscere così bene il futuro, non abbiano notizia del presente. Farinata disse che essi vedono “come quei c’ha mala luce” (v. 100), cioè come i presbiti che vedono le cose lontane, ma ne perdono conoscenza man mano che si appressano loro, finché “tutta morta│ fia nostra conoscenza da quel punto│che del futuro fia chiusa la porta” (vv. 106-8), ovvero finché la loro cecità sarà totale. Secondo alcuni commentatori tale difetto è proprio di tutti i dannati, secondo altri è proprio solo degli epicurei, con funzione di contrappasso, colpendoli sull’essenza  del loro peccato, che fu di credere solo nel presente. Notevole l’insistenza sulla condizione di ignoranza  e cecità: “tutto è vano│nostro intelletto” (vv. 103-4); “nulla sapem” (v. 105); “tutta morta” (v. 106).

Risolto il proprio dubbio, Dante chiede a Farinata di informare “quel caduto” (v. 109) che il figlio Guido “è co’ vivi ancor congiunto” (v. 110).

Da ultimo Dante prega Farinata di dirgli chi siano i suoi compagni di pena. Due sono i nomi riferiti: “’l secondo Federico” e “’l Cardinale” (vv. 119-120). Federico II di Svevia, imperatore e re di Napoli (1194-1250), fu personaggio molto ammirato da Dante (cfr. V.E. I, XII, 4; Conv. IV, X, 6; Inf. XIII, 75); la Chiesa e tutti i guelfi lo accusarono di eresia per ragioni politiche, ma il suo modo di vita contribuì a rafforzare tale accusa. Ottaviano Ubaldini fu detto Cardinale per antonomasia, appartenete a illustre famiglia ghibellina, fu arcivescovo di Bologna dal 1240 al 1244, cardinale nel 1244. Zio dell’arcivescovo Ruggeri (cfr. Inf. XXXIII), viene descritto come feroce ghibellino.

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