INCONTRO FRA ANDROMACA ED ELENO

INCONTRO FRA ANDROMACA ED ELENO

INCONTRO FRA ANDROMACA ED ELENO


A dominare in questo libro è il tema dell’incertezza riguardo al futuro.Enea riceve numerose profezie che però si rivelano spesso male interpretate.Il lungo peregrinare dell’eroe troiano è scandito da vari approdi: la Tracia, l’isola di Delo, Creta, tutti luoghi in cui si sono manifestati prodigi divini.
In generale dunque si respira un’atmosfera completamente diversa da quella del viaggio di Ulisse;l’eroe omerico rappresenta il gusto dell’avventura e la capacità dell’intelligenza umana nell’affrontare le situazioni più difficili,al contrario di Enea,l’eroe pius che accetta la volontà divina con un sentimento di stanchezza e rassegnazione.Enea e i suoi compagni sono fondamentalmente passivi, non reagiscono immediatamente al pericolo e alle situazioni, ma si lasciano perlopiù attraversare da una malinconia e una tristezza molto forti nel ricordo della patria distrutta.Questi sentimenti sono palesi soprattutto nel commiato da Eleno e Andromaca; Enea si lascia completamente andare ai suoi ricordi e alla tristezza che lo pervade vedendo come altri troiani siano riusciti a fondare una nuova Troia, Butroto.
La conformazione, la struttura di questa piccola Ilio, fa riflettere profondamente Enea sul suo obiettivo e sulla méta che ancora stenta a trovare;egli sogna di poter fare altrettanto per la sua gente.Indicativo è inoltre il fatto che durante i preparativi per lasciare Butroto, sia il padre Anchise ad occuparsi del necessario, mentre Enea rimane passivo essendo egli un eroe prometeico,non agisce ma si lascia dominare daala commozione e dal rimpianto per una felicità che sente ancora lontana.Per quanto riguarda la funzione del padre Anchise,questo è un altro elemento distintivo dell’Eneide rispetto al modello omerico.Anchise è ormai vicino alla morte,conosce le tradizioni del suo popolo e sa interpretare i segni divini:questo significa che il regno di Enea mira a trasferire il passato nel futuro della grande Roma.Per conseguire questo scopo,Enea deve consultare più volte la volontà divina e adeguarsi ad essa.
. Ed ecco una notizia incredibile m’empie l’orecchio
che il Priàmide Eleno su città greche regnava,
dell’Eàcide Pirro la moglie e lo scettro tenendo,
e che di nuovo Andromaca aveva troiano marito.
Ne stupii, il mio cuore s’accese d’un gran desiderio
di parlare all’eroe e di udire lui sì gran caso.
M’allontano dal porto, lasciando le navi e la spiaggia:
proprio allora le annuali offerte d’un mesto tributo
fuori città in un bosco, alla fine d’un finto Simoenta,
Andromaca libava all’estinto, i Mani invocando,
presso il vuoto sepolcro di Ettore, di verdi zolle,
e due aree da lei consacrate, occasione di pianto.
Quando mi vide arrivare e scorse dintorno le armi
Troiane, fuori de sé, atterrita dal grande prodigio,
s’irrigidì nel guardarmi, il calore lasciò le sue ossa;
vacilla e solo dopo grande intervallo dice a fatica:
“Sei tu vera persona, a me vero nunzio tu giungi,
figlio di dea? Vivi tu? O, se a te l’alma luce fu tolta,
Ettore ov’è?”, mi chiese, e proruppe in lacrime e tutto
empì il luogo di gemiti.A stento, com’era sconvolta,
rispondoqualcosa, e turbato con rotti accenti le parlo:
“Sì, son io vivo, balbetto, per casi estremi conduco
la mia vita; ma ora sii certa, ché il vero tu vedi.
Ah, in quale sorte venisti, orbata d’un tale marito?
O qual buona fortuna è tornata che si convenga
ad Andromaca d’Ettore? Unita a Pirro ancora sei?”
Ella il volto abbassò e con voce sommessa rispose:
“O più d’altra felice la vergine figlia di Priamo
tratta morire presso una tomba nemica, vicino
all’alte mura di Troia, e non ebbe a patire sorteggi
né il letto schiava tocco del suo vittorioso padrone!
Noi, com’arse la patria, portate qua e là per mare,
la superbia e gli affronti del giovane, razza Achillea,
subimmo, in servitù partorendo; egli poi se ne andò
dietro Ermione Ledèa e i Lacedemoni Imenei
e ad Eleno schiavo me schiava passò, che con sé mi tenesse.
Ma Oreste, infiammato dal grande amore della sposa
a lui rapita e agitato da un delittuoso furore,
come incauto lo coglie, ai patrii altari lo uccide.
Neottolemo spento, ad Eleno parte del regno
per diritto toccò, ch’egli disse campi Caoni
e tutta denominò Caonia da Caone Troiano,
Pergamo su queste alture indi pose e l’Iliaca rocca
. Ma quali venti a te, quali fati drizzarono il corso?
O quale dio te ignaro sospinse te alle nostre contrade?
Che fa il piccolo Ascanio? E’ vivo e god’egli dell’aura,
egli che a te già in Troia..?
Ha pur qualche pensiero il ragazzo alla madre perduta?
Gli sono sprone all’antico valore e al coraggio virile
il padre suo Enea ed Ettore ch’era suo zio?”
Tali voci spandeva piangendo ed invano mandava
lunghi gemiti; ed ecco avanzare dalle mura l’eroe
figlio di Priamo, Eleno, in mezzo a molti compagni.
Riconosce egli i suoi, li conduce lieto alle case
e tra parola e parola copiose lacrime versa.
Vado avanti: rivedo una piccola Troia e una Pergamo
che arieggia la grande e, col nome di Xanto uno stento
ruscello, e ancor d’una porta Scea m’apprendo alla soglia.
Anche i Teucri si godono intanto l’amica città.
Il re gli accoglieva nei portici vasti: nel mezzo
della corte libavano coppe di vino, e sui cibi
serviti in piatti d’oro tenevano alte le tazze…

ORESTE: figlio di Agamennone e Clitemnestra, fratello di Ifigenia ed Elettra.In lui s’identifica il vendicatore del padre, uccisore della madre e di Egisto il suo amante, entrambi assassini del padre.Il popolo di Argo perciò decise di giudicare il matricidio mediante un voto popolare e venne così condannato a morte ma si salvò grazie all’aiuto del dio Apollo. Il dio lo esiliò per due anni in Arcadia dove divenne l’eroe eponimo della città di Oresteo.
Oreste sposò sua cugina Ermione, figlia di Menelao ed Elena.

ERMIONE: figlia di menelao ed Elena, promessa ad Oreste, fu poi concessa dai genitori a Pirro (o Neottolemo), figlio di Achille.Ma Oreste rapì la donna al marito dopo averlo ucciso.
ELENO: figlio di Priamo ed Ecuba.Possedeva il dono della profezia come la sorella Cassandra.Predice ad Enea la fondazione in Italia di una nuova Troia.
Enea dunque sorprende Andromaca mentre sta offrendo sacrifici in onore del suo compianto marito Ettore; la donna è straziata dal dolore ela visione di Enea non fa altro che acuirlo.Andromaca ha dovuto sopportare le prepotenze dei vincitori, del figlio di colui che ha ucciso suo marito, senza poter mai replicare.
Nel passo virgiliano cogliamo in lei un’amara rassegnazione, una mera esistenza, quasi meccanica, continuamente memore della distruzione della sua amata patria.Notiamo, infatti, un attaccamento morboso ad essa, tanto da voler una “copia” della gloriosa Ilio.Adromaca è passiva, intuiamo che trascorre le sue giornate in balìa del ricordo di Ettore e leggiamo in lei quante disgrazie e sciagure si sono abbattute sui troiani dopo la caduta di Troia.
Alle donne soprattutto è, infatti, affidato il compito, da Virgilio così come da Seneca o Euripide, di trasmettere gli orrori della guerra; in questo contesto non ci sono vincitori o vinti, ma soltanto l’illusione di ciò che accade.
Nell’Andromaca di Euripide, fatta prigioniera da Neottolemo, ritroviamo un’Andromaca saggia, forte e determinata, consapevole del suo destino e della disgrazia che le si è abbattuta addosso.Dal suo padrone ha un figlio, Molosso, che sente comunque il dovere di difendere quando questi è minacciato da Ermione, donna volubile e capricciosa.Nella tragedia di Euripide, essa è l’antagonista di Andromaca, si contrappone a lei sotto tutti i punti di vista.Ermione è viziata, immatura, incapace di adattarsi alle circostanze mentre Andromaca ha sempre saputo “rialzare la testa”.
La caratterizzazione negativa che Euripide fa di Ermione è dovuta probabilmente alla politica antispartana che anima tutta la tragedia.
Andromaca è sempre stata considerata dagli antichi, l’emblema della sofferenza umana dovuta agli eccessi degli uomini che, sentendosi favoriti dagli dei, o comunque, generalizzando, dalla Fortuna, dal Fato, non hanno saputo individuare i limiti da non oltrepassare.Greci e Troiani non hanno mai capito che la guerra non avrebbe risolto la loro conflittualità vecchia di anni, non hanno pensato alle sorti dei loro cari e Seneca in particolare ha voluto dare voce alle donne che hanno dovuto subire le decisioni non solo dei loro padroni, ma in primo luogo dei loro stessi mariti e padri.Ne Le Troiane di Seneca, l’argomento delle donne in periodo di guerra è ampliamente sviluppato e trattato sotto diversi punti di vista.Agamennone stesso cerca di spiegare le conseguenze della guerra ad un Pirro capriccioso e ottuso non meno del padre Achille e altrettanto sanguinario, in quanto vuole lavare il sangue del padre con altro sangue.Seneca ci presenta delle donne forti, estremamente materne e protettive nei confronti dei figli, ai quali dovranno un giorno spiegare cosa è successo alla loro patria, ed esse stesse si augurano di non arrivare a quel giorno, si augurano una morte prematura per concedere la giusta libertà e dignità alla loro anima, per potersi inoltre ricongiungere ai loro cari.Seneca è consapevole di come Troia viene vista dalle donne che vengono condotte per mare lontano da essa: Ilio appare solo come una nuvola di fumo,simbolo di quella che a quel tempo era la concezione della vita; l’esistenza è effimera,è sofferenza,tutti i tentativi di fuga dalla Furtuna sono vani E l’uomo non può far altro che sottostare ad essa,imparando a cogliere i segni propizi e quelli infausti.
Il tema del destino capriccioso e della fatalità degli eventi che inevitabilmente travolge la vita degli esseri umani,lo ritroviamo anche nella composizionepoetica di Beaudelaire (Parigi 1821-1867). Nella raccolta di poesie “I fiori del male” è compresa anche “Il cigno”,senza dubbio di ispirazione classica,venne pubblicata il 22 gennaio 1860 sulla rivista “Causerie”.Beaudelaire insiste come Virgilio, sull’umanità dell’infelice vedova di Ettore e ciò è occasione per un’intensa meditazione sulla condizione esistenziale dell’uomo.

Penso a te,Andromaca! –Quel piccolo fiume,
povero e triste specchio d’acqua dove risplendeva
l’immensa maestà del tuo dolore di vedova,
quel bugiardo Simoenta,che ingrossò con le tue lacrime

ha fecondato a un tratto la mia fertile memoria,
mentre attraversavo il nuovo Carrousel.
-La vecchia Parigi non esiste più:come muta
più rapido d’un cuore mortale il volto d’una città!

Solo in spirito vedo quel campo di baracche,
quell’ammasso di fusti e sbozzati capitelli,
le erbe,i grossi massi inverditi d’acqua di pozzanghere,
e anticaglie brillanti alla rinfusa dietro le vetrine.

Là,un tempo,un serraglio si stendeva;
là un mattino,vidi un cigno evaso da una gabbia:
era quell’ora in cui il Lavoro si ridesta
sotto i cieli freddi e chiari lo spazzino

sprigiona un uragano oscuro nell’aria silenziosa.
La bestia sfregava il selciato con i piedi palmati
e trascinava sul suolo secco le sue bianche piume;
presso un rigagnolo asciutto aprendo il becco,

bagnava nervosa le sue ali nella polvere
e diceva col cuore pieno del bel lago natio:
“Acqua,quando scenderai? E tu,folgore,quando tuonerai?”
Rivedo a volte quell’infelice mito,fatale e strano,

volgere la sua testa sul collo convulso
verso il cielo come l’uomo d’Ovidio,
verso il cielo ironico e crudelmente azzurro,
come se rivolgesse rimproveri a Dio stesso!

Parigi cambia! Ma nulla nella mia malinconia
é mutato! Palazzi nuovi,impalcature,massi,
vecchi sobborghi,tutto per me diventa allegoria,
e i miei cari ricordi pesano più dei macigni.

Così davanti al Louvre un’immagine m’opprime:
penso al mio grande cigno coi suoi gesti folli,
ridicolo e sublime come un esule,
corroso da un desiderio senza tregua! E penso

a te, Andromaca,caduta dalle braccia d’un grande sposo,
vile bestia,sotto le mani del superbo Pirro,
china nell’estasi presso una tomba vuota;
vedova d’Ettore,eccoti moglie d’Eleno!

E penso alla negra tisica e smagrita
che cerca,con i piedi nel fango,l’occhio torvo,
le palme assenti dell’Africa superba
dietro la muraglia immensa della nebbia;

penso a chi ha perduto ciò che mai più
ritroverà! Penso a chi beve lacrime
e succhia dal Dolore come da una buona lupa!
Penso ai magri orfanelli appassiti come fiori!
Come suona a perdifiato il corno un vecchio Ricordo
nella foresta dove il mio spirito si esilia!
E penso ai marinai dimenticati in un’isola,
penso ai prigionieri,ai vinti…e ancora a tanti altri!

La poesia è caratterizzata da un accumulo di immagini accostate in modo inquietante e spesso senza esplicitare il nesso logico che le lega.Il perno attorno a cui ruotano è comunque il mito di Andromaca;il dolore incarnato dalla sposa di Ettore è ancora vivo ed attuale nella realtà contemporanea ed è inserito dal poeta in un paesaggio urbano soffocante.E’ infelice l’uomo che cerca la libertà,così come il cigno che riesce a fuggire dalla gabbia in cui è stato rinchiuso ma che non trova più il lago nel quale era nato,bensì solo un paesaggio arido di polvere e fango.Per il poeta questa smbra essere l’unica strada per riscattare un’esistenza altrimenti insopportabile.Ma se il cigno può illudersi di essersi liberato,ciò non può accadere per l’uomo.L’unica fuga concessa è quella della fantasia.Ma essa,producendo immagini di dolore,ne accresce in realtà l’affanno.
È allora vana l’illusione di trovare la felicità nel ricordo,proprio come tentava di fare Andromaca,poiché anch’esso è fonte di dolore esistenziale a cui non si sfugge.