ILIADE TRAMA GENERALE

ILIADE TRAMA GENERALE

ILIADE TRAMA GENERALE


LIBRO PRIMO

Crise, sacerdote d’Apollo, va da Agamennone con un ricco riscatto al fine di farsi ridare indietro la figlia Criseide, che il potente re acheo teneva con sé come sua concubina; ma l’Atride, indignato dalla sfrontatezza di quel vecchio, lo tratta male e ingiuriandolo rifiuta la sua offerta, ordinandogli poi di allontanarsi e di non farsi vedere mai più presso il suo campo e le sue navi. Il sacerdote adirato, scongiura allora Apollo di dare una lezione a tutti gli Achei, per punirli del grave affronto che si è visto costretto a subire per l’arroganza di Agamennone. Il dio l’ode e, infuriatosi per il maltrattamento di un suo sacerdote, discende in fretta dall’Olimpo e comincia a colpire gli uomini presso le navi achee con l’infallibile mira del suo arco d’argento e dei suoi dardi avvelenati, gettando una nera pestilenza su tutto l’accampamento dei Danai.


Al decimo giorno dell’ecatombe Achille indice un’assemblea di tutti gli Achei per discutere dell’emergenza, e interpella Calcante, un vate, di dirgli perché Apollo si è tanto adirato con gli Achei. L’indovino spiega allora che il motivo è stato il maltrattamento del sacerdote di Apollo Crise da parte di Agamennone: questi se la prende con Calcante, accusandolo di dargli sempre e solo vaticini funesti riguardo le sue imprese, ma Achille interviene e dopo un breve scambio di parole tra i due nasce subito un attrito e comincia un vero e proprio litigio. Alla fine, dopo molti insulti e ingiuriose parole, l’Atride acconsente per logica a lasciar andare Criseide, ma per non restare senza una donna come dono decide di prendere quella del Pelide, Briseide. Achille se ne duole e irato nell’animo sfodera la sua daga e fa per lanciarla contro Agamennone, ma Atena, inviata da Era, che ha a cuore tutti e due gli eroi, lo afferra per i capelli appena in tempo e lo fa ragionare, dicendogli che un giorno molto vicino per fare ammenda a quella grave offesa gli avrebbero offerto doni tre volte superiori al maltolto. Achille, seppur a malincuore, obbedisce e, rinfoderata la spada, offende pesantemente Agamennone, annunciando inoltre che finché non gli avesse riparato quel torto, lui non avrebbe combattuto più al suo fianco, e che allora si sarebbe presto pentito, quando Ettore avrebbe fatto strage di Achei e lui sarebbe stato costretto ad assistervi, debole e impotente, lacerato nel cuore dal dolore.


Dopo di che la seduta è sciolta e Agamennone dà ordine che Odisseo riporti Criseide dal padre, mentre ordina a due dei suoi araldi di andare a prendere Briseide nella tenda del Pelide e di portarla nella sua. I due, seppur a malincuore, compiono l’operazione, e Achille, vedendo che la sua donna viene condotta via a forza, scoppia a piangere e invoca la madre Teti, che accorre dalle profondità degli abissi dove dimora per consolare il figlio, che le fa un breve sunto della vicenda e le chiede di andare da Zeus perché gli venga reso l’onore dovuto.


La madre si duole delle pene del figlio e gli promette che quando gli dei torneranno all’Olimpo da presso gli Etiopi, verso l’Oceano, dove erano andati per pranzo, lei andrà direttamente da Zeus e lo pregherà di esaudire la sua preghiera. Intanto parte la spedizione di Odisseo presso Crise, per riportargli la figlia; dopo molti sacrifici per deliziare e placare il dio Apollo, banchetteranno fino a sera con le carni dei sacrifici, e Crise, rasserenato nell’animo dal ritorno della figlia, pregherà il dio di cessare la sua strage sui Danai. Nel frattempo, dopo dodici giorni, gli dei sono finalmente tornati all’Olimpo e Teti, memore della promessa fatta al figlio, sale su fino al signore dei numi e dei mortali e, cingendogli le ginocchia, lo prega di dare vittoria ai Troiani fino a quando gli Achei non avessero fatto ammenda al torto subito da suo figlio e non gli avessero reso il giusto onore. Il dio della folgore, seppur a malincuore, acconsente, ma sua moglie, Era, che ha cara la sorte degli Achei, ha visto tutto e chiede irata al marito quali piani abbia mai ordito con Teti alle sue spalle. Il dio tuttavia la mette a tacere con brusche parole e il banchetto pare prender e una piega infelice, ma interviene Efesto che con le sue parole rasserena gli animi inquieti di tutti, specie della madre Era, facendo così tornare il banchetto gioioso e i numi immortali festeggeranno fino a sera, per poi tornare ognuno alla sua casa.


LIBRO SECONDO

Zeus invia il Sogno ingannatore ad Agamennone. Nelle sembianze di Nestore egli fa credere al re che il giorno fatale di ***** sia arrivato. Al risveglio Agamennone convoca i duci achei e li istruisce sul suo piano. Vuol far credere all’esercito di voler tornare in patria: i soldati però accettano la proposta e si apprestano a lasciare la costa quando Ulisse, ispirato da Atena, li convince a rinnovare la battaglia contro troia.Segue il cosiddetto Catalogo delle navi, cioè l’elenco di tutti i contingenti achei giunti a troia;

LIBRO TERZO

Durante uno scontro tra Troiani e Achei, Menelao intravede Paride nella mischia e lo insegue per fronteggiarsi con lui, ma il giovane se ne accorge e atterrito fugge via. Ettore tuttavia lo vede e lo rimprovera con dure parole: Paride prendendo coscienza della sua viltà propone di porvi rimedio con un duello in cui lui e Menelao si sarebbero sfidati per il possesso di Elena e delle sue ricchezze, e da cui sarebbe dipeso l’esito della guerra. Ettore ne è entusiasta e, dopo aver preso accordi con gli Achei e dopo aver fatto molti sacrifici, i due contendenti si ritrovano a duellare: sembra quasi che sia Menelao ad avere la meglio, ma proprio quando stava per uccidere il suo avversario, dall’Olimpo discende Afrodite che salva Paride nascondendolo in un’improvvisa nebbia e portandolo in salvo a troia, dove riceverà anche il biasimo di Elena. Nel frattempo Menelao è furente, ma si arrabbia invano: alla fin fine Agamennone lo proclama vincitore del duello.

LIBRO QUARTO

Gli dei sono radunati attorno a Zeus che vorrebbe salvare troia, ma Era si oppone e vuole che i Troiani rompano i patti: Zeus allora invia Atena tra i Teucri; ella invita Pandaro a scagliare una freccia contro Menelao. La freccia ferisce l’Atride e la battaglia per questo si rianima.

LIBRO QUINTO

Pandaro ferisce Diomede con una freccia, ma questi, aiutato da Atena, riesce a uccidere il troiano; sta per uccidere anche Enea quando interviene Afrodite che salva il figlio e viene a sua volta ferita da Diomede. Intanto i Troiani, guidati da Ares, stanno avendo la meglio. Diomede, sempre con l’aiuto di Minerva, si scontra con Ares e lo ferisce.

LIBRO SESTO

Le sorti della battaglia volgono a favore dei Greci, pertanto l’indovino Eleno consiglia ad Ettore di tornare in città per invitare la madre Ecuba e le matrone ad offrire i loro pepli ad Atena. Intanto si scontrano in battaglia Glauco e Diomede, ma venuti a conoscenza delle rispettive stirpi, si risparmiano a causa dell’amicizia tra i nonni. Ettore, dopo aver portato a termine la sua missione, riprende Paride che si era fermato a riposare nei suoi appartamenti, quindi si reca a salutare la moglie Andromaca e il figlio Astianatte.

LIBRO SETTIMO

Per volere di Apollo e di Atena, Ettore sfida a duello uno degli Achei. Raccoglie la sfida Menelao, ma Agamennone lo trattiene perché soccomberebbe contro Ettore. Tra i volontari la viene estratto il nome di Aiace Telamonio: lo scontro si protrae senza vincitori fino al calare delle tenebre, quando viene sospeso. Paride offre di terminare la guerra cedendo tesori ai Greci, ma senza restituire Elena. Gli Achei rifiutano, ma acconsentono a una tregua per recuperare i cadaveri. Durante il giorno di tregua i Greci costruiscono un muro a difesa delle navi con tale abilità da far invidia agli dei.

LIBRO OTTAVO

Zeus vieta agli altri dei di intervenire nella battaglia ed accorda il proprio favore ai Troiani. Ettore fa strage di Greci e sta per avventarsi su Nestore in difficoltà, ma in difesa di quest’ultimo interviene Diomede: egli vorrebbe sfidare Ettore, ma un fulmine scagliato da Zeus lo fa desistere. I Troiani costringono i Greci a ripararsi all’interno delle mura costruite a difesa delle navi. Era ed Atena intervengono ad aiutare gli Achei, ma Zeus, accortosene, invia Iride a fermarle. Cala la notte e i Teucri si accampano davanti alle mura greche.
Nel campo acheo i duci si riuniscono e Agamennone propone il ritorno in patria, ma Diomede si oppone con fermezza. Quindi Agamennone compie un ultimo tentativo di convincere Achille a combattere ed invia un gruppo di delegati, tra i quali Ulisse e Fenice, vecchio tutore di Achille. L’ambasceria viene accolta dal Pelide nella sua tenda, ma l’offerta di Agamennone viene sdegnosamente rifiutata e, anzi, Achille aggiunge che il giorno dopo farà ritorno a Ftia.

LIBRO NONO

I Troiani sono speranzosi ed i Greci angosciati, dunque Agamennone dice di voler ritornare in patria, poiché secondo egli quest’assedio è un’impresa vana. Diomede si oppone, invece Nestore dice di richiamare Achille. Tutti sono d’accordo con la proposta di Nestore, compreso Agamennone che decide di restituire Briseide con altri doni in aggiunta. Vengono mandati Odisseo, Aiace e Fenice. Nessuno convince Achille, ma Diomede al campo dice che domani si combatterà anche senza Achille.

LIBRO DECIMO

Agamennone non riesce a prendere sonno pensando alla sorte del suo esercito: convoca dunque i capi greci e, su consiglio di Nestore, invia Diomede a spiare il campo nemico. Diomede sceglie Ulisse come compagno nell’impresa. Intanto nel campo troiano Dolone si offre di compiere la stessa sortita: avviatosi dunque verso le navi greche viene sopraffatto dai due nemici che lo interrogano sulla sua missione: egli, per aver salva la vita, tradisce i compagni, ma Diomede lo uccide per punirlo. I due greci, grazie alle informazioni ottenute, fanno strage tra i Traci e riescono a fuggire illesi.

LIBRO UNDICESIMO

La battaglia è incerta; Agamennone si batte furioso, ma viene ferito da una freccia. Ettore allora incita i suoi a combattere, viene affrontato da Diomede che riesce solo a stordirlo e viene a sua volta ferito da Paride. Poco dopo la stessa sorte capita anche ad Ulisse e Zeus infonde il terrore di Ettore nell’animo di Aiace che indietreggia. Intanto Nestore conduce Macaone ferito alla sua tenda e Achille, desideroso di notizie, manda Patroclo alla tenda di Nestore. Quest’ultimo descrive il disastro dei Greci e invita Patroclo, se proprio Achille non vuol combattere, a scendere lui stesso in battaglia con le armi di Achille.

LIBRO DODICESIMO

La battaglia si è spinta sotto il muro acheo. I Greci, in particolare i due Aiaci, resistono come possono e respingono più volte gli attacchi di Sarpedonte. Intanto Zeus manda un segno di dubbia interpretazione: un’aquila vola con un serpente tra gli artigli, ma questo le si ritorce contro e la morde: Polidamante lo interpreta come presagio funesto, ma Ettore decide di continuare l’assedio e, preso un macigno, lo scaglia contro la porta del muro greco e la abbatte. I Troiani entrano nel campo avverso.

LIBRO TREDICESIMO

Approfittando di un attimo di distrazione di Zeus, Poseidone scende ad aiutare i Greci: infonde nuova forza ad Aiace e incoraggia Idomeneo. Quest’ultimo, insieme a Merione, assale l’ala destra troiana e miete molte vittime. Ettore, avvisato di ciò da Polidamante, si distacca dal centro della schiera, dove stava fronteggiando gli Aiaci, e soccorre l’esercito in difficoltà. Quindi torna nuovamente al centro per un corpo a corpo con Aiace Telamonio.

LIBRO QUATTORDICESIMO

Nestore, vedendo l’esercito acheo in grave difficoltà, si reca da Agamennone e trova i maggiori tra i capi feriti e indecisi sul da farsi: Agamennone propone nuovamente la fuga, ma Ulisse si ribella. Decidono perciò, impossibilitati a scendere in battaglia, di incoraggiare i compagni con la voce. Intanto Era architetta un inganno contro Zeus: convince il Sonno a calare sul dio, in modo che Poseidone abbia campo libero nell’aiutare i Greci. Ciò avviene ed Aiace Telamonio riesce a colpire Ettore con un macigno, facendolo cadere a terra privo di sensi. I compagni lo traggono fuori dal combattimento, salvandolo dalla furia degli Achei.

LIBRO QUINDICESIMO

Al risveglio, Zeus si accorge dell’inganno in cui è caduto e minaccia una punizione terribile ad Era la quale, terrorizzata, risale all’Olimpo. Zeus intanto manda Iride ad intimare a Poseidone di abbandonare la battaglia se non vuole scontrarsi col più potente fratello: Poseidone a malincuore è costretto a ritirarsi. Apollo, incaricato da Zeus di rianimare i Troiani, dà nuovo vigore ad Ettore. Sotto la sua spinta i Teucri travolgono i Greci ed arrivano fino alla nave di Protesilao, decisi ad incendiarla: l’ultima difesa è fornita da Aiace Telamonio che, armato di una trave, tenta di respingere i nemici.

LIBRO SEDICESIMO

Achille accoglie l’idea di Patroclo di fargli vestire le sue armi per guidare i Mirmidoni contro i Troiani, insieme a tutti gli altri Achei, ma gli dice di non sbilanciarsi troppo e di limitarsi a incutere timore nel nemico, facendo finta di essere Achille. Il piano funziona fino a che Patroclo non è slealmente colpito da Apollo che lo stordisce e lascia che siano prima Euforbo con un colpo non mortale, e poi Ettore col colpo di grazia, a finirlo. Il troiano si impossessa delle sue armi.

LIBRO DICIASETTESIMO

Si accende la contesa per impadronirsi del corpo di Patroclo: Menelao si pone subito a difesa delle spoglie del compagno e uccide Euforbo, ma è costretto ad invocare aiuto quando vede Ettore che gli si fa contro. Accorrono gli Aiaci, Merione e Idomeneo. Nel tumulto che segue,Ettore tenta anche, senza successo, di impossessarsi di Balio e Xanto, i divini cavalli di Achille. Menelao si reca da Antiloco, lo informa della morte di Patroclo e lo manda ad avvisare Achille; poi torna nel cuore del combattimento: insieme a Merione e difeso dagli Aiaci, che sostengono i continui assalti troiani, riesce a trasportare il corpo di Patroclo all’interno del campo acheo.

LIBRO DICIOTTESIMO

Achille, ignorando la sorte di Patroclo, si aggira inquieto davanti alla tenda quando giunge Antiloco e lo informa sui fatti: Patroclo giace e si combatte per il suo cadavere. La disperazione di Achille giunge alle orecchie di Teti che corre a rincuorare il figlio: vedendo che egli è irremovibile nel suo intento di vendetta, a costo di pagarlo con la morte, annunciata dalla profezia, si reca da Efesto per farsi forgiare armi divine. Iride esorta Achille a farsi vedere sulle mura greche per spaventare i Troiani e agevolare il trasporto della salma di Patroclo da parte dei compagni. Teti è frattanto giunta alla dimora di Efesto: il dio si mette subito al lavoro e forgia armi bellissime, tra le quali uno scudo d’oro intarsiato con figure rappresentanti le varie attività umane.

LIBRO DICIANNOVESIMO

Il desiderio di vendetta di Achille è più forte della sua ira, per cui mette da parte il suo orgoglio e si riconcilia con Agamennone. I Greci si preparano alla battaglia e riacquistano le forze con un banchetto, ma Achille non riesce a mangiare e rimane a piangere sulla salma dell’amico. Atena, impietosita, stilla nel suo cuore nettare e ambrosia per dargli forza. Ormai la battaglia è prossima: Achille, terribile nelle sue nuove armi, sprona i cavalli Balio e Xanto: quest’ultimo, ispirato da Era, gli rammenta il fato che sta per compiersi. Achille sgrida il cavallo: egli è cosciente del suo destino, ma ciò non lo distoglierà da vendicarsi su Ettore.

LIBRO VENTESIMO

I troiani e gli achei si preparano alla battaglia decisiva, mentre Zeus acconsente che gli dei prendano parte alla guerra: così Apollo, Artemide, Xanto, Afrodite, Ares e Leto scendono dall’Olimpo per schierarsi al lato di troia, mentre Hermes, Atena, Poseidone, Era ed Efesto si schierano al fianco dei Danai. Achille si batte con Enea, ma nessuno dei due morirà, perché da Enea è destinata a venire la stirpe di Dardano, che un giorno assumerà il controllo dei Troiani scampati al massacro di *****. Nel momento in cui Enea sta per essere ucciso da Achille, interverrà Poseidone a salvarlo. Dopo di che Achille ucciderà Polidoro, fratello di Ettore, che accecato dall’ira scaglia la sua lancia contro il Pelide, che viene però deviata da Atena. Achille passa al contrattacco, ma Apollo avvolge Ettore in una fitta nebbia, sottraendolo alle ire del tremendo eroe acheo, che rabbiosamente comincia a far strage degli altri Troiani intorno a lui.

LIBRO VENTUNESIMO

Achille fa una grande strage di Troiani nel fiume Scamandro, che indignato per tanta impudenza lo prega di continuare la sua strage da un’altra parte, ma il Pelide non l’ascolta e continua il massacro. Allora il dio del fiume, adirato, gli scaglia contro la vorticosa potenza delle sue acque e Achille, atterrito, fugge via, temendo di morire di una morte vergognosa. Fortunatamente interviene Efesto che col fuoco placa l’impeto delle acque, salvando l’eroe acheo. Intanto sull’Olimpo, dopo una breve scaramuccia familiare alquanto poco eroica, gli dei smettono di lottare, dato che loro vivono in un’altra dimensione, immortale e giocosa. Intanto Achille, ingannato da Apollo che ha preso le sembianze di Agenore, un giovinetto che poco prima l’aveva affrontato, si fa inseguire lontano dalle porte Scee, mentre tutti i fuggitivi troiani riescono a rientrare dentro troia.

LIBRO VENTIDUESIMO

Ettore, rimasto fuori dalle porte di troia, vedendo venirgli incontro il terribile Achille, fugge via terrorizzato e dopo vari inseguimenti attorno alle mura della città Atena con una trasformazione convince finalmente Ettore a fronteggiare Achille: dopo varie mosse il troiano cade sotto gli inesorabili colpi del Pelide, che lo uccide con un colpo letale. Intanto sulle mure i familiari si disperano e piangono senza sosta.

LIBRO VENTITREESIMO

Si tengono i solenni funerali di Patroclo: il rogo arde per tutta la notte: al mattino Achille indice i giochi funebri. Si tiene per prima la gara dei carri: Eumelo è in testa, ma Atena fracassa il suo giogo. Vince così Diomede, secondo arriva Antiloco che precede Menelao grazie ad una manovra scorretta: al traguardo però i due si riappacificano. Nella gara di lotta si affrontano Ulisse, con la sua astuzia, e Aiace, con la sua forza, e si ha un pareggio. La corsa è vinta da Ulisse che precede Aiace d’Oileo. Achille invita due guerrieri a combattere per vincere l’armatura di Sarpedonte: ed è Diomede che se ne appropria, sconfiggendo Aiace Telamonio. Seguono la gara di tiro con l’arco, vinta da Merione su Teucro, e quella di tiro della lancia, assegnata ad Agamennone senza bisogno di disputare la prova.

LIBRO VENTIQUATTRESIMO

Gli dei, raccolti in un’assemblea, alla fine deliberano che Achille restituisca il corpo di Ettore ai familiari: Teti riferisce l’ordine al figlio, che non può rifiutarsi di compiere il volere degli dei. Iride intanto avverte Priamo di andare a riprendere il corpo del figlio, il quale si mette subito in viaggio verso la tenda del Pelide, guidato e protetto dal dio Hermes. Non appena il re incontra Achille, si inginocchia e lo prega di rendergli le spoglie del figlio: Achille impietosito acconsente e nottetempo Priamo tornerà a troia, dove farà poi bruciare il corpo del figlio per rendergli le giuste onoranze funebri.

NOZZE DI PELEO E EURIDICE

Era stata Afrodite in persona a prometterglielo… Paride, figlio di Priamo Re di troia, avrebbe sposato la donna più bella del mondo se avesse donato ad Afrodite stessa la mela d’oro “alla più bella” gettata da Eris, dea della discordia al banchetto per le nozze di Peleo e Teti, volendo vendicarsi per non essere stata invitata.
Allora l’uxoriladro (neologismo) si recò in visita a Sparta dove regnava Menelao con a fianco la bellissima Elena… Onori furono riservati al principe troiano e banchetti furono preparati in suo onore.
Menelao però dovette partire improvvisamente, lasciando ahlui, la bellissima moglie alle grinfie di Paride: Con l’aiuto di Eros, Paride rapì Elena (anche se nn trovo giusto usare il verbo rapire perchè in quel momento lei era consenziente) e al suo ritorno il Re di Sparta dovette sopportare questo affronto. Ma questo fu un affronto che non toccò solamente Menelao o l’isola di Sparta… quell’azione offendeva la Grecia Omnia!
Allora Menelao convocò il fratello Agamennone, che regnava su Micene che a sua volta inviò il saggio Nestore, re di Pilo, insieme a molti emissari in tutta la Grecia per adunare un esercito con un solo obiettivo: Dichiarare guerra a troia per vendicare l’afronto subito… Tutti i principi greci accettarono l’invito, chi dovette sacrificare la figlia all’altare, chi sapeva di andare in contro ad una morte sicura… nessuno si tirò per vendicare il torto e l’umiliazione subiti da uno di loro… uno… del gruppo…

IL POMO DELLA DISCORDIA

La Discordia (Eris, per i greci), divinità minore e malefica associata al culto di Marte. Per vendicarsi dell’insulto fattole da Giove che non l’aveva invitata alle nozze di Pelèo e Teti, essa vi intervenne ugualmente e, per gettare lo scompiglio tra le invitate, lanciò fra loro una mela d’oro (il Pomo della Discordia), con incisa la scritta: alla più bella! Gesto che scatenò fra le dèe Giunone, Minerva e Venere una tumultuosa contesa per il possesso del simbolico frutto. Il compito di assegnare l’ambìto riconoscimento fu affidato a Paride, principe-pastore troiano, fratello dell’eroe omerico Ettore. Il premio fu assegnato a Venere, che aveva promesso al giovane l’amore della più bella donna del mondo: la dea dell’amore, infatti, aiutò poi Paride a rapire Elena, l’infedele moglie di Menelao, altro eroe omerico, in tal modo assecondando inconsapevolmente le intenzioni della Discordia e dando quindi origine alla decennale guerra di troia. La temibile dea era sempre rappresentata insieme ai suoi terribili figli, lo Spavento e il Terrore, i quali nelle battaglie eccitavano gli animi dei combattenti alla crudeltà ed alla strage.

IL RAPIMENTO DI ELENA

E’ molto probabile che i veri motivi che spinsero gli achei ad attaccare ***** fossero legati ad una questione di supremazia politica ed economica nella regione, ma qui si tratteranno principalmente i motivi legati al mito.

Dietro la guerra c’è notoriamente il rapimento di una donna. Elena era figlia di Zeus e di Leda ed era la più bella donna del mondo. Andò in sposa a Menelao e da lì iniziarono i guai, perché si sa, l’invidia era molto in auge a quei tempi in Peloponneso e nell’Olimpo (e forse anche oggi, nel mondo).

Accadde che Paride fu ospitato da Menelao, e che l’ospite, incantato dalla bellezza di Elena, decidesse di rapirla e di portarsela a casa. Sulle modalità del rapimento molte sono le versioni, chi dice che Elena fu costretta con la forza, altri che Afrodite l’avesse fatta impazzire d’amore per Paride, altri che Elena non fu mai rapita e che gli Achei avessero assediato troia inseguendo uno spettro. Per la versione di Gorgia si veda il capitolo sui sofisti.

Gli Achei, vista anche una promessa fatta a Tindaro, il padre mortale di Elena, non ci pensarono due volte ad organizzare una spedizione per riportare il “bottino” in patria.

LA POTENZA DEGLI ACHEI

L’Egeo, è un mare che si estende tra le coste della Grecia e dell’Asia minore. Un mare che accoglie tante isole, che lambisce tante coste… In queste isole e in queste terre nacquero civiltà, che ancora oggi ci affascinano per le testimonianze pervenute. Le civiltà pre-elleniche, che ebbero nelle isole Cicladi la loro culla.
La civiltà cicladica nacque circa tra il 3000 ed il 2500 a. C., il mare Egeo costituì per esse una ricchezza, una difesa, una via di comunicazione e infine, una minaccia. I piccoli stati che si svilupparono nell’area Egea, contribuirono alla formazione di una cultura unica, dove il mito si confonde con la storia. Dal mitico Re Minosse, il Re che fece costruire il noto labirinto da Dedalo, prende il nome la civiltà minoica, il cui centro è Creta, dove si sviluppa una cultura che dominerà tutto il II e il III millennio a. C. e tra il 2000 e il 1400 tocca il momento più alto. Fu Arthur Evans, autore dei primi scavi che misero in luce i resti del palazzo di Knosso, a proporre la suddivisione della civiltà cretese o minoica in tre periodi: antico, dall’epoca dei primi insediamenti nel IV millennio fino al 2100, medio dal 2100 al 1580, recente dal 1580 al 1200.
Successivamente il fulcro della civiltà egea passerà nel Peloponneso, dove fiorirà Micene, città principale del popolo degli Achei, e l’arte micenea. L’arte cicladica denota dei collegamenti avuti con gente dell’Anatolia, che importano alle Cicladi la civiltà del Bronzo. Gli scambi commerciali si estendono sino al Mediterraneo occidentale.
L’espressione più autentica dell’arte cicladica è anche quella più nota risulta essere quella che condusse alla realizzazione di piccole statuette marmoree, stilizzate e geometrizzate, secondo schemi ricorrenti. Fra queste le tipologie più diffuse furono alcune figure di suonatori. Chi non ricorda il “suonatore di lira”, che è seduto su una sedia e che sembra una realizzazione ben più vicina all’arte prodotta nella nostra epoca, più che un reperto archeologico. Non mancano però le consuete figure femminili, comuni a tutta l’area mediterranea, – vedi le Veneri e i culti legati alla propiziazione della fertilità della terra-, che richiamano la Dea Madre, e con gli attributi femminili sottolineati, pur nella estrema stilizzazione complessiva.
L’arte minoica, perlopiù famosa per la pittura, si ricollega alle realizzazioni fatte ad affresco nel palazzo di Cnosso 1500 a.C. circa-. Punto di collegamento fra l’Europa, l’Egitto e l’Oriente, Creta diviene il centro di un’arte raffinata, che rimanda alla vita di corte. Intorno al 1750 a.C. i palazzi di Cnosso e Festo furono distrutti, forse da un terremoto, e successivamente riedificati. Le pareti interne dei palazzi erano affrescate. Il vivace gusto per le composizioni e i colori, hanno contribuito a dare l’idea di come fosse l’intera civiltà cretese. Da quelle immagini infatti è derivata l’idea di una civiltà felice, allegra, prospera e ottimista. Sull’intonaco bianco spiccano figure eleganti, di profilo, diversi per atteggiamento e postura e i colori sono l’ocra, il rosso, l’azzurro; le linee disegnate in modo libero e sinuoso, denotano sicurezza e libertà espressiva.
La descrizione di particolari naturalistici, realizzati con audace fantasia descrittiva e le notazioni ambientali concorrono a riaffermare l’idea di spensieratezza di questa civiltà.
Famosissimo il “salto del toro”, uno degli affreschi più belli del palazzo di Cnosso rappresenta una tauromachia (dal greco tâuros = toro e mache = lotta), esercizio che consisteva in volteggi che un atleta compiva sulla schiena di un toro lanciato al galoppo, tale descrizione di gioco acrobatico si ricollega al culto del toro (nel toro e nella colomba si riconoscono infatti i principi maschile e femminile. Il toro è simbolo di forza insieme celeste e tellurica ed è anche simbolo di fecondità). L’arte cretese risulta meno monumentale e solenne di quella ad es. Egizia ed i soggetti rappresentati hanno un significato più profano che religioso. L’arte è legata alla decorazione o a scopi pratici: terrecotte e manufatti in metallo hanno valore soprattutto perché costituiscono una merce di scambio.
Al minoico medio risalgono le splendide ceramiche di Kamares con motivo decorativi lineari ispirati al mondo vegetale, caratterizzati da una audace policromia su fondo scuro. Sempre al minoico medio appartiene una fase di bicromia, che porta figure scure su sfondo chiaro. Lo stile è naturalistico –noto il vaso di Gurnià, che riporta con estrema naturalezza di composizione il disegno di un polpo-. Intorno al 1400 a.C. l’invasione da parte degli Achei declina la potenza cretese e si afferma, la supremazia di Micene, che governerà sul territorio del Peloponneso fino al 1100 a.C. circa. A contatto con le popolazioni conquistate, gli Achei, acquisiranno elementi di raffinata cultura e col tempo diventeranno in grado di avventurarsi su rotte anche lontane per commerciare con l’Egitto, con l’Asia minore, con località del Mediterraneo occidentale. Tracce minoiche e achee si sono trovate persino nella Britannia. Possiamo individuare diverse fasi di sviluppo dell’arte micenea.
I reperti fra il XVIII e il XVI secolo a.C. denotano la presenza di una cultura ancora fatta di ceramiche molto semplici, a forma di globo, con fondi rosso lucidi oppure con fondi chiari ed elementari decorazioni rosso brune. Sul finire del XV secolo si afferma lo stile efireo, da Efira, la moderna Korakou presso Corinto, luogo dei ritrovamenti: si tratta di coppe con una decorazione floreale stilizzata.

I reperti del secolo XIV a.C. attestano una situazione di benessere del mondo acheo. I motivi della caccia e della guerra prevalgono nella pittura. E’ possibile che parecchie di queste opere si dovessero ad artisti venuti da Creta. Un tema nettamente minoico per esempio si osserva nelle due splendide tazze auree rinvenute in una tomba a tholos di Vaphiò: la cattura e la doma di tori. I manufatti artistici achei utilizzano molto l’oro. A Micene è stata ritrovata una serie di oggetti d’oro fra cui le maschere in lamina d’oro destinate a ricoprire il volto dei sovrani.
Nota l’ipotesi di Schliemann, del volto di Agamennone in una di queste. – Gli scavi di questo strordinario archeologo a Micene risalgono al 1874 – Con la fine del XIV secolo a.C. si nota un ripiegamento, che corrisponde a un declino sul piano politico e militare, in arte si passa a produzioni dal carattere meno articolato e si diffondono ornamentazioni più spiccatamente lineari.

IL SACRIFICIO DI IFIGENIA

La leggenda, nella sua versione più diffusa, racconta che Agamennone, per aver accidentalmente ucciso durante una battuta di caccia una cerva sacra a Artemide, aveva provocato la dea, la quale perciò impediva alla flotta achea di salpare dall’Aulide alla volta di troia. Calcante, l’indovino al seguito della spedizione, aveva decretato la necessità di offrire in sacrificio alla dea, per placarne le ire, la figlia di Agamennone, Ifigenia.
Con uno stratagemma Agamennone ingannò la moglie Clitennestra, facendole credere che Ifigenia dovesse sposare il tessalo Achille, e fece giungere la figlia in Aulide.
Il quadro del Museo di Napoli rappresenta il drammatico momento in cui il sacrificio sta per essere compiuto: Calcante, sulla destra, impugna con aria preoccupata il pugnale sacrificale; al centro, Ulisse e Diomede trascinano a viva forza la giovane vittima, mentre il padre Agamennone, sulla sinistra, a capo coperto, nasconde il viso tra le mani. Il sacrificio non fu però compiuto, perchè Artemide sostituì sull’altare la fanciulla con un’altra cerva, portando Ifigenia in Tauride (l’odierna Crimea) per farne una sua sacerdotessa, addetta ai sacrifici umani in suo onore.
Il dipinto, piuttosto che direttamente ispirato a un famoso originale greco attribuito al pittore Timante, appare una rielaborazione romana che attinge a vari prototipi di epoca classica.

LA PAZZIA DI ODISSEO

Dopo il rapimento di Elena, Menelao giunse a Micene da Agamennone e chiese di persona di organizzare una spedizione militare contro ***** e di vendicare la Grecia; egli, infatti, riteneva il fratello degno di guidare l’esercito. Dunque il re di Micene inviò araldi alla regione della Grecia. Quando gli araldi rivelarono la causa della spedizione militare i re dichiararono di essere desiderosi di compiere una spedizione militare. Giunsero anche da Odisseo, a Itaca. Il sovrano dell’isola non voleva compiere una spedizione comune e finse di essere pazzo. Palamede, che era arrivato con i messaggeri, ritenne di essere ingannato dal re di Itaca e rivelò la follia di Odisseo….

ACHILLE TRAVESTITO DA DONNA

Il ritrovamento di Achille. Ulisse ebbe l’incarico di scoprire il nascondiglio ove Achille viveva travestito da donna in mezzo alle fanciulle. Usando come espediente lo squillo delle trombe di guerra, Ulisse vide il giovane denudare il petto villoso e gettarsi ad afferrare la lancia accostata ad una serie di gioielli ed altri doni femminili. Achille è l’incarnazione dello spirito guerriero. Il suo nome è strettamente connesso a quello di divinità fluviali che abitano le profondità delle acque, come Acheloo e Achele. Unico tra i nobili greci ad essere figlio di una dèa, da Teti fu immerso nel fiume infernale le cui acque avevano il potere di rendere immortali. Calandolo nello Stige sua madre ebbe però la disattenzione di trattenerlo per il tallone, rimasto così la sua parte vulnerabile. Il padre Peleo, invece, consacrò i capelli del figlio al fiume Spercheio che bagnava il loro regno. Questa consacrazione potrebbe servire come spunto per comprendere il gesto in apparenza casuale di Atena che afferra per i capelli il suo protetto, forse gesto rituale appartenente al culto della dea. L’eroe viene talvolta paragonato ad un enorme delfino di fronte al quale i pesci fuggono spaventati a nascondersi negli anfratti, tal altra ad un’aquila nera cacciatrice che è insieme l’uccello più forte e più rapido. L’epiteto che più caratterizza Achille è infatti piè-veloce. E scompare ogni dubbio sulle sue doti da velocista allorché, in agguato al pozzo ove le troiane attingono l’acqua, egli sbuca davanti alle fanciulle e rincorre a piedi il giovane che le scortava a cavallo, fino a raggiungerlo nella fuga e trascinarlo giù dalla groppa.