Il viaggio del sole di Mimnermo

Il viaggio del sole di Mimnermo


Il Viaggio del sole è il frammento 10 del poeta greco Mimnermo, secondo le edizioni Diehl, tradotto da Rocco Scotellaro nel 1943.


Mimnermo nacque a Colofone (o a Smirne), in Asia Minore, e visse tra la seconda metà del VII secolo e i primi decenni del successivo. Della sua vita si sa poco. Fu poeta elegiaco e cantò soprattutto la guerra e l’amore. Fu considerato il personaggio più rappresentativo dell’elegia amorosa. Della sua opera non ci rimangono però che pochi frammenti, poco più di una ottantina di versi. Non c’è chi abbia frequentato il liceo classico, che per tutta la vita non abbia ricordato il primo verso del primo frammento Tis de bios, tis de terpnon, ater kruses Afrodites (Cos’è la vita, cos’è il piacere senza la dolce Afrodite?). Mimnermo godette per questa fama anche di grande stima presso gli scrittori latini, come testimonia un giudizio di Properzio, secondo il quale plus in amore valet Mimnermi versus Homero (nella poesia amorosa un solo verso di Mimnermo vale più di tutto Omero).

Il viaggio del sole è racconto del mito greco dell’alternarsi incessante dei giorni e delle notti. Heos (la dea Aurora dei Romani), a cui Omero ed Esiodo attribuiranno l’epiteto rododaktulos (Heos dalle dita di rose) col chiarore emanato dalle sue dita accompagnato da colorazione purpurea, che appare nel cielo a oriente, annuncia il sorgere del sole. Helios suo fratello (dio del Sole) – entrambi sono figli di Iperione e fratelli di Selene (la Luna) – lascia quindi l’Oceano e sale per i sentieri del cielo, guidando un carro tirato da quattro cavalli (Etone, Flegonte, Piroe ed Eòo) spiranti fuoco dalle narici (Scotellaro i cavalli li definisce voraci). Il carro trasporta, in una coppa a forma di barca, una grande palla di fuoco, che darà luce e calore alla terra. 

Grande è la fatica di Elio e dei cavalli (Ebbe il figlio d’Iperione ogni tempo /senza una tregua / il suo luminoso travaglio così la descrive Scotellaro. Terminato il percorso di tutto l’arco del cielo, Helios intraprende il viaggio di ritorno. Si adagia su un concavo letto dorato, costruito da Efesto (il dio Vulcano dei Romani), che lo trasporta sul pelo dell’acqua dalla regione delle Esperidi alla terra d’Etiopia, per attendere l’Aurora mattutina e quindi salire di nuovo sul carro e riprendere la quotidiana fatica.

Stupendo il verso di Scotellaro che narra il viaggio notturno di Helios “lo porta a palmo d’acqua / frusciando mentre dorme / fino agli Etiopi dalle terre del Vespero”. Le Esperidi sono Ninfe figlie di Atlante e di Esperide (la Notte) che abitavano all’estremo occidentale del Mediterraneo, presso le rive dell’Oceano. Gli Etiopi erano favolose popolazioni felici, amate dagli dei, che spesso si recavano a far loro visita, all’estremo orientale della terra.

Questa traduzione porta la data del 1943. Quattro anni dopo Rocco riprende l’immagine finale di Helio che, alto sul carro, riprende la sua fatica (“che già [il figlio di Iperione] riappare su in alto”), per il padre della sua fidanzata, Isabella Santangelo, nei versi finali della poesia “Alla figlia del trainante” (“perché tuo padre sbuffa a noi vicino / e non ancora va alto sul carro / a scacciare le stelle con la frusta.” )

 

Fetonte. Il mito richiama un’altra figura della mitologia greca, Fetonte, figlio di Elio, di cui il frammento di Mimnermo non parla. Ricordo questo mito perché fa riferimento di una leggenda che riguarda la zona dove vivo.

Fetonte venne offeso da Epafo, il quale sosteneva che il giovane non fosse figlio del Sole. Fetonte, in lacrime per l’insulto subito, supplicò la madre Climene, di dar prova della sua paternità, e del suo valore, permettendogli di guidare per una volta, il carro solare.

Il Sole acconsentì alle suppliche di Climene e di Fetonte, avvertendo il figlio della grande difficoltà nel portare i maestosi cavalli. Fetonte, bramoso di dar prova del suo valore, balzò sul carro e senza ascoltare il padre, cominciò il suo volo. Ma, a causa della sua inesperienza, perse il controllo del carro, i cavalli si imbizzarrirono e corsero all’impazzata per la volta celeste: prima salirono troppo in alto, bruciando un lungo tratto del cielo, che rimase una cicatrice della volta celeste (è la Via Lattea), quindi scesero troppo vicino alla terra, devastando la Libia, resa un deserto. Gli abitanti della terra chiesero aiuto a Zeus, che intervenne per salvare la terra e, adirato, scagliò un fulmine contro Fetonte, che cadde alle foci del fiume Eridano (Po), nell’odierna Crespino sul Po. Le sue sorelle, le Eliadi, spaventate, piansero abbondanti lacrime con viso afflitto e vennero trasformate dagli dèi in pioppi biancheggianti. Le loro lacrime divennero ambra.

Secondo altra versione Fetonte precipitò nella zona termale dei  Colli Euganei, fra Abano Terme e Montegrotto. 

Crespino, paese nel rodigino a 12 chilometri da Rovigo, al di là del Po oltre Ferrara, ha raffigurato Fetonte nel gonfalone del comune e ha intitolato a questa figura mitologica la piazza principale del paese.


IL VIAGGIO DEL SOLE

Ebbe il figlio d’Iperione ogni tempo

senza una tregua

il suo luminoso travaglio.

E già rinfiora pel cielo sbiancato

dalle dita di rose l’Aurora.

Il flutto nella cuna di fin’oro

martellato da Efesto,

lo porta a palmo d’acqua

frusciando mentre dorme

fino agli Etiopi dalle terre del Vespero.

Là al cocchio attaccati

i cavalli voraci e l’immenso.

E qui giunga vispa l’Aurora

e breve sorrida

che già appare su in alto

 

(Tricarico, luglio 1943)