IL TURNO di L. Pirandello

IL TURNO di L. Pirandello

CRITICA
La scena madre di questo romanzo è data dal discorso a tre in cui due vecchi: Don Diego Alcozer e Marcantonio Rovi e un giovane, Pepè Alletto, si trovavano associati da un dolore comune per darsi conforto reciproco. I tre sono portati a socializzare dalla piega stessa degli avvenimenti che li avevano divisi e posti uno contro l’altro. La battuta rivolta dall’Alcozei al giovane Alletto: «Io, voi, il nostro ex suocero dobbiamo anzi consolarci a vicenda oramai» risolve una serie di eventi posti sotto il segno del grottesco e del paradosso. Il Rovi ha voluto dare la figlia in sposa all’Alcozei, vecchio ma ricco, puntando sulla morte che non può essere lontana, e sulla possibilità che la figlia convoli a nozze più gradite con Pepè Alletto. Il disegno è chiaro agli interessati: ma tutti fanno finta di niente. Ognuno lo accetta tacitamente è continua a recitare la sua parte trovandovi il proprio tornaconto. Ma gli avvenimenti non si conformano ai progetti: la realtà sfugge di mano ai protagonisti, i quali finiscono con l’essere travolti nella girandola degli equivoci da loro stessi provocati. Il vecchio non si decide a morire, l’amore del giovane urta contro numerosi ostacoli, e la donna annullato il matrimonio decide di sposare un terzo intruso. Così si trovano insieme ad assaporare l’amaro della sconfitta, e il padre, frustrato nei suoi piani, il marito agrodolce nella sua forzatamente saggia rassegnazione è più avvilito di tutti il giovane, sopraffatto dal corso imprevisto degli avvenimenti.
Pubblicato nel 1902, “Il Turno” è sia il romanzo breve sia il racconto lungo. L’azione si svolge in Sicilia: una localizzazione per nulla casuale che fa corpo con la vicenda, con il linguaggio e il carattere dei personaggi si situa con esattezza in quell’ambiente non per un’esigenza di colore locale ma per una precisa ragione esistenziale. In esso è già funzionante quel meccanismo del racconto pirandelliano che fa ruotare cose momenti e figure emergenti dalla memoria con un’evidenza quasi visionaria, senza tuttavia mai staccarli interamente dal loro autore. Il suo tempo narrativo si svolge a ritmi regolari, ma progredendo produce dal suo interno una dimensione nuova, un’espressività che dilata il significato del racconto e gli da come un doppio fondo. Il testo pirandelliano viene così ad assumere un aspetto bifronte, risultando composto da due momenti, dalla rappresentazione e dal ripiegamento su di essa, della cosa direttamente percepita e dalla proiezione che l’accompagna. Ne “Il Turno”, sotto l’apparente linearità del racconto, questo processo di rifrazione della realtà si trova già in atto. Il suo meccanismo è fatto scattare dal sovrapporsi della realtà sull’azione libera degli uomini. Gli atti hanno effetto impreveduti che vanno oltre e contro le premesse. L’accadimento non corrisponde al progetto. Prese nella logica inesorabile del reale che inventa soluzioni non vincolate da schemi preordinati, ma le impone, poi con ferreo rigore, i protagonisti restano chiusi come sorci in trappola e si dibattono per liberarsi senza poterci riuscire. L’individuo è visto non isolatamente ma in un insieme all’interno di una situazione. Mettendosi dal punto di vista dell’umorismo lo scrittore infatti assume una posizione critica davanti alla realtà. La sua è una visione riflessa consistente nel “sentimento del contrario”, come si esprime lo stesso Pirandello provocate dall’attività della riflessione che, “non si cela, non diventa come ordinariamente nell’arte, una forma di sentimento, ma il suo contrario pur seguendo passo passo il sentimento come l’anima segue il corpo”. Qui, ne “Il Turno” l’oggetto della riflessione è l’individuo nella società provinciale siciliana di fine secolo. Lo scrittore si incontra già con il mondo della piccola borghesia la cui presenza sarà rivelata dalla critica a proposito de “Il fu Mattia Pascal”. La visione globale dell’ambiente accompagna la rappresentazione dell’individuo. Ma il risultato di questo processo non è l’abolizione del personaggio. L’individuo non viene diluito nella totalità, classe ambiente, che sia. Pirandello mette una cura particolare nel disegnare il personaggio, nel seguirne il comportamento. La rappresentazione che ne diventa tanto più personalizzata e concreta quanto maggiormente l’individuo è visto in simbiosi con l’ambiente. Lo scrittore si addentra allora in un minuzioso lavoro di contrappunto per il quale mette a profitto quella “riflessione” generatrice di umorismo che obbietta il sentimento del contrario. Ne “Il Turno” viene ritagliato con estremo rigore nel fondo della società provinciale di Sfrigunto il ritratto del giovane Pepè Alletto. L’ambiente annulla le sue qualità di giovane colto e gentile e ne fa un inetto, un pauroso, un succube, allo stesso modo in cui soffoca le energie vitali e l’intraprendenza del suo amico, protettore e rivale in amore, l’avvocato Ciro Cappa, facendone uno stravagante e un despota, oppure inchioda Marcantonio Rovi alla mania di calcolo economico, inducendolo ad imporre alla figlia un matrimonio d’interesse, o ancora ispira al vecchio Alcozei una serie di ridicoli matrimoni per evadere dalla solitudine. Scontrandosi poi, queste passioni finiscono col distruggere i loro stessi prodotti, e col trovare nell’ambiente in cui avevano gettato le radici, la gramigna che le soffoca.. una legge, questa, che ritorna puntualmente in Pirandello, e che si applica, già dall’inizio e questo piccolo mondo de “Il Turno”, dominato dall’intrigo amoroso e dalla beffa matrimoniale. Nell’ambito di questo motivo ricorrente con frequenza in Pirandello, Trova modo di situarsi la nota del grottesco come elemento di punta della rappresentazione antica. Ad essere investito qui è soprattutto il giovane Alletto. Figurarsi che si ritiene già impegnato per la tacita stravagante intesa matrimoniale del Rovi e si persuada essere suo dovere difendere l’onorosità dell’altrui sposa a sé promessa, per cui si misura in duello e si prende una sinistra sciabolata, e subisce poi da parte del Cappa una protezione che egli accetta per garantirsi il possesso dell’amata, mentre l’altro gliela offre per potersela sposare, come debitamente fa, pensando bene poi di morirsene per lasciare finalmente al malcapitato Pepè il turno per convolare alle sospirate nozze.


TRAMA
Marcantonio Rovi, un povero uomo siciliano pensa che la felicità della sua adorata figlia si possa ottenere se questa sposasse il ricco settantenne Don Diego Alcozei, perché alla morte di questo, al massimo due o tre anni, ricca del patrimonio lasciato può sposare chi vuole. Dopo varie insistenze e sacrifici del Rovi, la figlia accetta. Intanto il Rovi promette segretamente a Pepè Alletto, un giovane buono ma povero che alla morte del vecchio le darà in sposa la figlia. Il giovane si ritiene impegnato e sente suo dovere difendere la dignità della sposa promessale inquinata da cattive voci. Sfida in duello colui che ha detto cattive cose e riceve una sinistra sciabolata. La realtà sfugge di mano ai protagonisti: il vecchio non si decide a morire, l’amore del giovane incontra notevoli ostacoli e Stellina (La figlia di Marcantonio), annullato il matrimonio, sposa l’avvocato Cappa. E se pure alla fine del romanzo s’intuisce che verrà il turno per il malcapitato Pepè, morto il secondo marito, l’elemento grottesco ha ormai avuto il sopravvento e con esso quell’umorismo scettico con cui Pirandello investe gli aspetti più assurdi e penosi dell’esistenza.
TITOLO
È la sintesi dell’argomento svolto. Dopo vicende alterne finalmente arriva “Il Turno” per Pepè di convolare a nozze con Stellina reduce da due matrimoni.


PERSONAGGI
Al centro della storia c’è il giovane Pepè Alletto, ragazzo di buone doti, il cantare, suonare il pianoforte, ballare e sa anche il francese ma a nulla servono queste qualità perché è povero e succube del destino che prepara e dispone per lui molteplici cose. Vorrebbe sposare Stellina, ma il padre Marcantonio l’ha data in sposa a Don Diego. Aspetta con impazienza la morte di questo che non avviene. Intanto Stellina annulla il matrimonio con Don Diego ma non per sposare Pepè ma l’avvocato Cappa, cognato e protettore dello stesso Pepè. Soltanto morto il Cappa può finalmente sperare che sia il suo turno. Altri personaggi sono: Stellina, che sposa Don Diego per volere del padre e poi il Cappa debitrice nei suoi confronti, Marcantonio che come ogni padre vuole il bene per la sua figlia; Don Diego, sposato per 4 volte, decide di sposare Stellina per la quinta, ben consapevole che tutti aspettano la sua morte per dividersi l’eredità, ma ben contento di nascondere la vecchiaia con giovani.

LA PARTE PIU’ INTERESSANTE

La parte più interessante è quando Stellina, dopo aver annullato il matrimonio con Don Diego non sposa Pepè ma l’avvocato Cappa con grande rammarico da parte del giovane che si rassegna al fatto avvenuto.Stellina nel prendere questa decisione è influenzata dal fatto che si sente debitrice dell’avvocato e perciò lo sposa.

CONCLUSIONE

Alla fine del romanzo s’intuisce che verrà il turno di Pepè per convolare a nozze. Il romanzo si conclude perciò con l’elemento grottesco che ha avuto il sopravvento e con un tocco di umorismo da parte di Marcantonio: <<bisogna aver occhio a tutto nella vita, ed anche a questo…>>.