IL TUONO DI GIOVANNI PASCOLI RIASSUNTO ANALISI E PARAFRASI

IL TUONO DI GIOVANNI PASCOLI RIASSUNTO ANALISI E PARAFRASI


-Ballata piccola di endecasillabi; il primo verso, staccato dagli altri, costituisce la ripresa; le rime seguono lo schema A; BCBCCA.( nella strofa la rima è incatenata: nei primi 4 vv. il primo rima col terzo e il secondo col quarto, poi baciata: il quarto rima col quinto; infine l’ultimo v. rima con la ripresa)  Il testo, scritto nel 1900, è tratto da Myircae.

La breve lirica, pur essendo stata composta a distanza di sei anni, riprende il tema e la forma metrica del Lampo e la situazione immaginata dal poeta è successiva a quella là descritta. La catastrofe è già avvenuta, tutte le cose sono immerse nell’oscurità, il mondo è precipitato nel caos e il rumore del tuono è l’ultimo atto di una rovina ormai compiuta. All’immagine minacciosa della natura, simbolo del franare dell’universo, si contrappongono però le figure rassicuranti della “madre” e della “culla”, i due elementi che stanno alla base del “nido” e sono il simbolo della vita che ritorna.

Le due liriche testimoniano la costanza del valore simbolico di aggressione, di minaccia, di male., che Pascoli attribuisce alle manifestazioni naturali del temporale; nel “Tuono” si ha la presenza di un’immagine tipicamente pascoliana, -che manca,invece, nel “Lampo”-,  quella del canto della madre e del dondolare della culla, come simbolo della vita che ritorna e più in generale come immagine di rifugio, innocenza, salvezza. Se nel “Lampo” predominano le immagini, nel “Tuono”  predominano i suoni; in modo molto scoperto il poeta cerca infatti, attraverso le scelte lessicali ed il ritmo, di ottenere un effetto di imitazione sonora: predomina l’allitterazione ad es. della “r”  (“fragor, arduo, dirupo, frana, rimbalzò, rimbombò, rotolò, rimareggiò, rinfranto)  e ancor più la sequenza delle parole tronche con la stessa terminazione in “ò”; vi sono inoltre allitterazioni in “d” (d’arduo dirupo),  e l’enjambement (“dirupo/ che frana); infine nei vv. 6/7 l’allitterazione in “c” (“canto/culla”) . I tre verbi che al v. 4 riproducono il rumore del tuono (rimbombò, rimbalzò, rotolò) si susseguono senza essere legati da congiunzione, cioè per asindeto, mentre ai vv. 5/6 gli altri tre verbi (tacque, rumareggiò, vanì) sono uniti dalla congiunzione “e”, cioè mediante polisindeto: con l’asindeto il poeta ha voluto creare un effetto di immediatezza, di sconvolgimento irrefrenabile, col polisindeto, invece, sembra che abbia voluto rallentare il ritmo  narrativo-descrittivo per poter introdurre l’immagine della madre e della culla, simboli di pace e della vita che  può ricominciare.

Nel verso iniziale, isolato per mezzo dello spazio bianco dal resto della lirica e introdotto dalla congiunzione “e” che viceversa sembra legarlo a qualche cosa di non detto, a una meditazione precedente, vi è una forte allitterazione in “n” e forte è  pure  il contrasto fra la ripresa, dove si evidenzia la parola “nulla”, simbolo dell’assenza di vita, con il v. finale della lirica , dove la “culla” è il simbolo della vita che ritorna, che rifiorisce. Il “nido” misteriosamente sfuggito alla catastrofe segna l’inizio di un nuovo ciclo cosmico nel quale esso torna ad avere le caratteristiche di un luogo caldo e protettivo, unica possibile difesa contro il male del mondo.

Nella breve lirica prevalgono i verbi sugli aggettivi (otto in sette versi), e la coordinazione prevale sulla subordinazione.; vi è inoltre l’iperbato ai vv. 6/7 “canto s’udì di madre”


parafrasi 

E nella notte buia improvvisamente  si levò un tuono con il fragore di una roccia scoscesa che frana, (“col fragor d’arduo dirupo/ che frana” ), poi tacque, poi tornò nuovamente a rumoreggiare come un mare in tempesta, provocando un’eco, un rimbombo (“rimareggiò rifranto”) e quindi svanì del tutto. Allora si poté udire il canto di una madre ed il cigolio di una culla.