IL SESTO TOMO DELL’IO E LA NOTIZIA INTORNO A DIDIMO CHIERICO

IL SESTO TOMO DELL’IO E LA NOTIZIA INTORNO A DIDIMO CHIERICO

Tra il maggio del 1799 ed il maggio del 1800, Foscolo attende alla stesura di un romanzo di cui raccoglierà invece solo pochi frammenti. Doveva trattarsi di un nuovo romanzo autobiografico, dopo l’”Ortis”, e aveva come titolo “Sesto tomo dell’io”. I precedenti cinque volumi, avverte scherzosamente Foscolo in una nota, non sono ancora stati scritti e dei successivi non si sa nulla perché appartengono al futuro, e quindi all’imperscrutabile.

Gli argomenti che doveva contenere questo romanzo, apertamente autobiografico, spaziavano da una partenza da Bologna, forse per Milano, all’amicizia con Francesco Lomonaco, all’amore per Isabella Teotochi Abrizzi.

Il significato di quest’opera incompiuta sta nel fatto che già in essa Foscolo aveva intenzione di stemperare la prosa tragica (di ispirazione tematica alfieriana) dell’”Ortis” e puntare più decisamente verso un’interpretazione ironica e maggiormente distaccata della realtà, in una stesura più brillante e mossa di quella del romanzo epistolare precedente.

Un simile tentativo riuscirà invece nella prova successiva in prosa, la “Notizia intorno a Didimo Chierico”, ovvero sedici brevi capitoli di presentazione di un personaggio (che porta questo nome e che è fortemente autobiografico) a cui viene attribuita per finta la traduzione del “Viaggio sentimentale di Yorick” di L. Sterne, che Foscolo aveva compiuto durante il suo soggiorno in Francia, sulle coste settentrionali.

Lo scritto è del 1812 e fa da premessa alla sua traduzione dell’opera inglese uscita per le stampe nel 1813. Ci consegna un Foscolo maturo, distaccato e lucido, capace di delineare le caratteristiche di un personaggio misterioso ed affascinante che non ha più la prevedibile tragicità disperata del giovane Jacopo Ortis, ma l’ironia e la posatezza di un uomo che, pur non retrocedendo circa le sue idee, riesce ad affrontare la logica delle cose in modo meno impulsivo.

Per capire la scelta del nome di questo personaggio, occorre ricordare che Didimo (in greco “doppio”, ovvero “duplice”) era un dotto di Alessandria, del IV secolo, laico ma direttore di scuola catechetica e maestro di S. Girolamo; “chierico” significa invece votato al sacerdozio, ad una missione religiosa che Foscolo riteneva di incarnare con la sua dedizione alta alla poesia, missione di profeta e di vate. In questa contrapposizione tra la laicità di Foscolo e questa tendenza alla sacralizzazione della poesia, risiede la dicotomia a cui lo stesso nome del personaggio da lui inventato allude. Ma più in generale la “doppiezza” a cui Foscolo vuole alludere è quella di essere uno Jacopo Ortis che però evita il suicidio, si rifugia nella saggezza e si fa anche “un po’ più furbo”, facendo tesoro delle esperienze, soprattutto le più negative e dolorose, e chiudendosi in un saggio riserbo

Foscolo con quest’ultima opera si stacca molto dalla sensibilità preromantica che aveva caratterizzato le sue prime opere. L’atmosfera che ci trasmette è già quella di lucidità ferma e pacata che dominerà nell’altro tentativo-abbozzo, queste volta in versi, che sono “Le Grazie”.