IL RISORGIMENTO ITALIANO
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Il risorgimento italiano: mancata rivoluzione agraria o equilibrato processo di unificazione?
Il risorgimento italiano, inteso come il periodo nel quale il nostro Paese ha iniziato, e portato avanti un cammino volto a “risorgere” dalle angherie subite sotto le dominazioni Spagnola prima, Austriaca dopo, si é visto determinare nel passato entro varie coordinate temporali, finché non si è giunti ad identificarne (è questa attualmente la tesi maggiormente accreditata) la nascita nel periodo della Rivoluzione Francese e la conclusione nel 1870, quando, presa Roma, si poteva considerare fatta l’Italia.
In un modo o nell’altro lo scopo di tanti anni di lotte e teorizzazioni politiche si era realizzato: la penisola era unificata sotto il nome del Re Carlo Alberto di Savoia.
Il periodo i cui avvenimenti hanno poi portato alla svolta effettiva del risorgimento, va identificato, in ogni caso nell’arco temporale che intercorre tra il 1848 e la Spedizione dei Mille.
Si tratta di un periodo tutt’altro che calmo per i regni della penisola, in cui si alternano alla guida delle masse, differenti esponenti, accomunati da un unico obiettivo: l’indipendenza dallo straniero e la creazione di una “nazione italiana”.
L’opposizione di Cavuor e Mazzini: due delle figure guida di questo periodo, le quali intendevano raggiungere l’Unita Nazionale con mezzi ben diversi, si è rivelata, conclusivamente necessaria e produttiva, ai fini del loro progetto comune.
Un grande lavoro di teorizzazione e burocrazia non sarebbe bastato a raggiungere la nostra unità se da qualche parte, nella penisola, non vi fosse stato anche un gruppo pronto ad agire.
Se pur il primo dei punti resi noti al re da parte del primo ministro fu proprio quello di “farla finita al più presto con Garibaldi”, il quale, in nome dei mazziniani aveva organizzato la spedizione dei mille, alla fine Cavour dovette seguire il re nella legittimazione delle sue conquiste.
Se pur dovendo divincolarsi dagli opponimenti di Cavour, Garibaldi “non esitò a ordinare che la spedizione proseguisse”, come ha detto il Mack Smith, il quale ne esalta la figura definendolo “impetuoso nell’azione”, ma “prudente del correre rischi non necessari”.
L’aspra critica che storici come il Gramsci hanno mosso nei confronti di Mazzini, il quale è stato accusato di non aver sufficientemente preso in considerazione il fatto che “la questione agraria era la molla per far entrare in moto le grandi masse” e quindi portare avanti nel modo più efficace uno sviluppo dei progetti nazionalistici cui tanto si aspirava, certo non può essere mossa nei confronti di Garibaldi il quale trovò la forza del suo movimento nella “accozzaglia” (D. M. Smith) dei mille uomini che lo seguirono nella sua spedizione e poi nelle masse contadine al prospetto delle quali si fece credere una sorta di Salvatore.
Il risorgimento italiano avrebbe sicuramente avuto una svolta più rapida se, fin dall’inizio, il Partito d’Azione non avesse tralasciato la possibilità di una partecipazione popolare al processo di unificazione, anziché paralizzarsi, come dice il Gramsci e considerare “nazionali” solo l’aristocrazia ed i ricchi borghesi. Mazzini accusa le differenze sociali vedendole come una delle maggiori opposizioni allo sviluppo italiano, ma pur rendendosi conto di ciò egli lascia in secondo piano il problema agrario, privilegiando i borghesi nel cammino della lotta per l’unità; unità che, a suo parere avrebbe poi portato ad un miglioramento anche per i ceti agricoli.
Gramsci accusa tanto Mazzini, quanto le altre forze, democratiche o moderate, che fossero al governo in quel tempo, di non aver coinvolto le masse contadine nel processo unitario italiano ritenendo che esso abbia subito un periodo di stallo proprio a causa di questa mancata alleanza.
Diverso fu invece lo sviluppo dell’azione Garibaldina:
se pur il suo non fu altro che un tradimento conclamato nei confronti delle masse contadine, nessuno come Garibaldi era mai riuscito a raggiungere altrimenti il suo stesso fine.
Certo, un uomo così fermo nel credere negli individui, come il Mazzini, che nel suo passato si era addirittura curato della crescita dei giovani patrioti, non avrebbe neanche mai potuto portare avanti una campagna come lo è stata la Spedizione dei Mille, poiché il suo azionismo non avrebbe potuto accettare in un secondo momento un volta faccia nei confronti delle masse contadine tale è stato quello del Garibaldi.
Se per assurdo il Mazzini non avesse opposto resistenza nei confronti della partecipazione del proletariato al progetto risorgimentale, si sarebbe giunti ugualmente alla nostra Italia?
Critiche anti-mazziniane hanno portato anche a considerare quest’aspetto della situazione: se il risorgimento fosse stato lasciato nelle mani delle masse, lontano da un controllo regio, ma anche solo da chi distinguesse il popolo borghese da quello proletario, probabilmente, come dice R. Romeo in risposta al Gramsci, il nostro paese adesso non sarebbe lo stesso; prima di tutto perché questo tipo di rivolta non sarebbe, a suo parere, andata in porto in quanto avrebbe causato una ferrea opposizione da parte delle altre potenze europee “ostili a quel genere di sovvertimenti”, in secondo luogo perché un tale tipo di riforma avrebbe pregiudicato negativamente anche la parte capitalista della Penisola ponendo un blocco all’evoluzione della stessa ,vanificando quindi gli sforzi di una borghesia che era riuscita ad emergere da una situazione così difficile e livellando tutti sotto una “democrazia rurale”.
In conclusione, il processo di unificazione italiana è da attribuirsi tanto all’azione burocratica e regia, quanto a quella popolare.
Il termine “equilibrato” può essere considerato esatto nell’indicare tale processo solo se per equilibrio si intende un movimento di azioni e controazioni delle due forze che, alla fine, hanno visto venir fuori il raggiungimento del loro obbiettivo comune dall’unione, se pur non volontaria dei loro sforzi.