Il rapporto con il padre

Il rapporto con il padre

LA COSCIENZA DI ZENO


La morte del padre è l’evento centrale, piscanaliticamente, perché determina un forte sentimento di colpa: Zeno si porta dietro (nel subconscio, perché al livello conscio della memoria e della scrittura difende ostinatamente la propria assoluta innocenza e buona fede) il pensiero di aver desiderato la morte del padre, ed odia il dottor Coprosich perché costui, nell’episodio delle mignatte, lo ha “smascherato”, rimproverandolo di non volere il prolungamento della vita del padre. Ed è una colpa fortemente rilevata, in conclusione, dall’episodio dello schiaffo, che Zeno sente come una meritata e terribile punizione (in obbedienza agli ordini del medico, Zeno non vuole che il padre si alzi dal letto; lo trattiene con una mano, ma il padre si alza lo stesso e, trovandosi davanti il figlio che gli toglie l’aria e la luce, alza il braccio forse solo per scansarlo; ma il braccio ricade pesantemente sulla guancia del figlio e sembra uno schiaffo intenzionale).

Ma più che sulla morte, l’accento va messo sul motivo della incomprensione fra padre e figlio, incomprensione che si manifesta in varie occasioni, particolarmente in quella della cena la sera precedente l’entrata in coma. La morte chiude definitivamente la possibilità di sanare quella incomprensione, quella mancanza di comunicazione. Il padre vorrebbe il figlio forte e sicuro, costui si rivela invece debole e insicuro (inetto, lo dimostrano i continui cambiamenti di facoltà universitaria); pensa che il figlio sia “pazzo”, perché non sa prendere sul serio le cose concrete della vita, e costui, con poca serietà, gli porta un certificato medico di sanità mentale; il padre ha pensieri sulla morte e sul dopo, chiede un parere al figlio, e questi gli paragona la morte al piacere sessuale; il padre, infine, pensa al conforto della religione, e cerca l’appoggio del figlio, ma questi gli dice che per lui la religione è solo un oggetto di studio. La sera che precede la catastrofe, il padre vorrebbe dire al figlio una parola decisiva, ma quella parola non gli viene e non gli verrà mai più: resta dunque un non detto fra di loro, un fallimento di comunicazione. E’ questa la vera colpa che Zeno sente, e la volontà di espiarla si rivela alla fine, laddove ammette di essere tornato alla religione (intesa come pratica interiore e non pubblica), di far pregare per il padre e di pregare anche lui qualche volta (adesso, ma è troppo tardi, potrebbe intendersi con il padre).