Il pomo della discordia e il giudizio di Paride

Il pomo della discordia e il giudizio di Paride

La scrittrice Elisabetta Chicco Vitzizzai, Storie di dei e di eroi, Mursia


Doveva essere un giorno felice. Si celebravano le nozze di una dea del mare, Teti, con un uomo bellissimo,
Peleo, e tutti gli dei erano venuti a festeggiare gli sposi portando loro una grande quantità di doni. La sala
del banchetto splendeva di mille luci e sulla grande tavola brillavano le caraffe e le coppe preziose, colme di
nettare e ambrosia; dei e dee chiacchieravano gaiamente. Volevano starsene tutti in pace e contenti; perciò
al banchetto non era stata invitata Eris, l’imbronciata dea della discordia. Se compariva lei scoppiavano litigi
furiosi e più nessuno aveva voglia di ridere e scherzare.
Ma quella guastafeste riuscì ugualmente a rovinare ogni cosa. Nel bel mezzo del pranzo arrivò di corsa e
fece rotolare sulla tavola una mela d’oro. Poi, ridendo malignamente, scappò via.
Tutti – dei e dee – cercarono di afferrare la mela preziosa, se la strappavano di mano l’un l’altro, gridavano,
litigavano.
– Attenzione! – gridò a un certo punto qualcuno – Sul pomo c’è una scritta.
– Cosa?
– Dove?
– Fate vedere.
– Avanti, qualcuno legga cosa c’è scritto.
– C’è scritto: “Alla più bella”.
Allora Era, Atena e Afrodite si buttarono sulla mela d’oro.
– A me, a me – gridavano dandosi gomitate e spintoni.
– Spetta a me la mela d’oro. Sono io la più bella! – strillavano furiose pestandosi i piedi.
– Sia Zeus, il padre di noi tutti, a decidere chi tra voi tre meriti il pomo d’oro – proposero gli altri dei.
Ma Zeus, sentendo aria di grane a non finire, declinò l’incarico di giudice con un discorsetto che fu un
capolavoro di diplomazia:
– Non voglio essere io arbitro tra voi, perché voglio bene a tutte e tre e, se fosse possibile, vorrei vedervi
tutte e tre vincitrici. Ma il pomo è uno solo, perciò una sola può ricevere il premio di bellezza. Io però non
me la sento di giudicare, perché per me siete tutte e tre ugualmente belle. È meglio allora che Ermes vada
sul monte Ida, in Asia Minore, a cercare il figliolo del re di Troia, e gli dica: “O Pàride, Zeus comanda che tu,
che sei molto bello e ti intendi assai delle cose d’amore, giudichi tra queste dee qual è bellissima”. La
prescelta avrà il pomo. Pàride vive come un montanaro, in una capanna, e porta al pascolo capre e buoi, ma
è un ragazzo ammodo, è di sangue reale, e parente del nostro coppiere Ganimede: nessuno lo riterrebbe
indegno di esaminarvi e di giudicare. […] Andate dunque, e le vinte non se la prendano con il giudice, non si
sdegnino, non facciano del male a quel ragazzo. Bisogna che tra voi ne scelga una e non può sottrarsi a
questo compito.
Ermes, sempre impaziente, tagliò corto: – Su forza, andiamo subito dritto filato sul monte Ida in cerca di
Pàride, e state tranquille: io lo conosco, è un ragazzo molto gentile e un vero intenditore di bellezza.
Un’ingiustizia non la farebbe mai.
– Ma vedo che siamo quasi arrivati: ecco là il monte Ida e anche il vostro giudice. – Era, aguzzando lo
sguardo: – Sì, sì, lo vedo anch’io. Non è quello che esce dalla grotta spingendo i buoi dinanzi a sé?
– È lui. Adesso posiamo i piedi a terra e camminiamo verso di lui per non spaventarlo volandogli addosso
all’improvviso. Salve, mandriano. – Pàride rispose subito al saluto dello sconosciuto: – Salve a te, giovanotto
che hai le ali ai piedi. Chi sei? Chi sono queste donne con te? Di così belle non ne ho mai viste su per queste
montagne.
2
– Non sono donne, Pàride. Tu vedi dinanzi a te le dee Era, Atena, Afrodite, e me che sono Ermes. Ci manda
Zeus. Ma perché impallidisci? Non temere, non corri alcun rischio. Zeus ordina che tu giudichi qual è la più
bella tra loro e a essa consegni in premio questo pomo d’oro.
– O potente Ermes, ma come posso io, che sono un semplice mandriano, giudicare bellezze simili, di cui non
ho mai visto l’uguale? Forse chi vive in città tra tante cose raffinate ed eleganti potrebbe fare da giudice,
non io che so soltanto distinguere tra capra e capra qual è la più bella, o tra giovenca e giovenca. Queste tre
dee sono tutte ugualmente bellissime. Se ne guardo una la trovo meravigliosa e se stacco gli occhi da lei e li
rivolgo a un’altra, anche questa mi pare incantevole, come le altre due che le stanno vicino. Insomma,
vorrei avere cento occhi per poterle rimirare a dovere, ma non potrei mai decidere chi tra loro è la più
bella. E l’imbarazzo in cui mi trovo cresce, se penso che l’una è moglie di Zeus, l’altra è sua figlia, l’altra
ancora è addirittura figlia dell’antico Urano, il Cielo. Anche per questo motivo, ti confesso, mi sembra che
esprimere un giudizio sia cosa troppo rischiosa.
– Che vuoi che ti dica – rispose Ermes. – Io so soltanto che non si può disubbidire al comando di Zeus e che
la mela non può essere divisa.
– Ho capito, ci proverò. Non posso fare altrimenti. – E Pàride prese la mela d’oro tra le mani, pensieroso.
Allora Era gli si avvicinò e disse: – O Pàride, principe di Troia, se giudicherai me la più bella, ti renderò
padrone di tutta l’Asia e ricco più di qualsiasi altro uomo sulla terra.
Dopo Era parlò Atena: – Guardami, figlio del re Priamo, e sappi che se darai a me la mela d’oro io ti renderò
un guerriero invincibile, il più forte, ma anche il più saggio, di tutti gli uomini.
Fu quindi la volta di Afrodite, che soavemente sussurrò: – Ascoltami, bel giovane, se darai a me il pomo
della vittoria, io ti darò in moglie la più bella donna del mondo: Elena di Sparta, che è figlia di Leda e di Zeus
stesso ed è bionda, bianca e delicata, bella e amorosa quanto me, parola di dea.
– Sì, – ribatté Pàride – è la più bella donna del mondo, ma è anche moglie di Menelao! E non posso credere
che abbandonerebbe il marito e la sua reggia, a Sparta, per seguire uno sconosciuto, un forestiero.
– Ah, ah, ah! – gorgheggiò Afrodite – Come sei giovane e inesperto! So io come fare a convincerla…
– E come farai? Voglio saperlo anch’io.
– Dunque, caro ragazzo, tu andrai in Grecia e io ti darò il mio figlioletto Eros, il piccolo dio dell’amore, come
compagno di viaggio. Quando sarai a Sparta, Eros, di nascosto, colpirà la bella Elena con una delle sue
frecce facendola innamorare pazzamente di te. Io poi ti prometto la mia protezione, per sempre.
– Me lo giuri? – gridò Paride.
– Certo che sì.
Afrodite giurò e Pàride le consegnò il pomo prezioso. Ma in questo modo si attirò l’odio delle altre dee, che
si allontanarono complottando la rovina della sua città: Troia.
Tempo dopo Pàride ottenne dal padre di essere inviato come ambasciatore a Sparta, dove regnavano
Menelao ed Elena.
Il principe di Troia fu accolto con tutti gli onori da Menelao e il suo arrivo venne annunciato da un’ancella
alla regina: – Da una città lontana, di là dal mare, è giunto qui un giovane straniero. È bellissimo e indossa
vesti meravigliose intessute d’oro e d’argento. Chiede di poterti offrire i doni che porta con sé.
Elena, allora, indossò una tunica bianca e leggera, fittamente pieghettata, posò un diadema d’oro sui bei
capelli lucenti d’olio profumato e andò incontro all’ospite.
Quando la bella donna entrò nella sala del banchetto, a Pàride sembrò di vedere una dea. Non poteva
staccare gli occhi da lei e ogni suo sorriso lo riempiva di felicità.
– Non potrò mai amare altra donna che questa – pensava – e non avrò pace finché non la farò mia sposa. È
questa la donna che Afrodite ha promesso di darmi e l’avrò. A ogni costo. La porterò con me a Troia e sarò
felice con lei, per sempre.
Mentre pensava queste cose non smetteva di lanciare a Elena sguardi appassionati, sospirando.
3
Anche la regina lo guardava, di tanto in tanto, un po’ compiaciuta, un po’ imbarazzata. Quelle dolci occhiate
resero Pàride sempre più ardito. Elena aveva appena posato sulla tavola il calice d’oro in cui aveva bevuto,
che Pàride lo afferrò e se lo portò alla bocca posando le labbra dove lei aveva appena messo le sue, poi
intinse un dito nel nero vino e tracciò sulla tavola le parole: – Ti amo, Elena.
Preoccupatissima, Elena coprì la scritta con il suo tovagliolo e guardò il marito, timorosamente.
Ma Menelao non si era accorto di nulla e continuava tranquillamente a mangiare, a bere, a rivolgere
all’ospite domande sul suo Paese lontano.
L’indomani, il re distratto partì per l’isola di Creta, lasciando sola con lo straniero la giovane moglie.
Di nuovo Pàride dichiarò alla regina il suo amore: – Mai nessuno ti amerà quanto ti amo io. Parti con me e ti
farò felice.
Elena era affascinata dalla bellezza, dalla gentilezza e dalla devozione del giovane principe straniero, ma
resisteva, perché sapeva che non era giusto abbandonare la casa, il marito e la figlioletta ancora piccola che
aveva bisogno di lei.
Perciò non rispondeva agli inviti di Paride ma neppure si allontanava da lui. Soltanto quando scese la notte
si ritirò nella propria stanza, ma non riuscì a prendere sonno. Ormai Eros, il dio dell’amore, aveva acceso in
lei la fiamma della passione. Appena chiudeva gli occhi, la regina innamorata rivedeva il bel volto del
principe straniero, ne riudiva le tenere parole. La sua mente e il suo cuore non potevano staccarsi da lui.
Prima che la luce dell’alba scivolasse nella stanza, Elena aveva preso la sua decisione: quella notte stessa
avrebbe raggiunto Pàride nella sua nave e sarebbe fuggita con lui.
Così fu.
[E. Chicco Vitzizzai, Storie di dei e di eroi, Mursia]