IL POEMA EPICO CAVALLERESCO

IL POEMA EPICO CAVALLERESCO


-Il precedente più lontano di questo genere letterario è rappresentato dall’epica classica (èpos in greco significa “narrazione”), per cui qui basta ricordare i poemi attribuiti a Omero (Iliade, Odissea) e l’Eneide di Virgilio.

Nel Medioevo europeo nasce l’epopea cavalleresca, in quanto i protagonisti delle vicende sono cavalieri o comunque appartenenti alla nobiltà feudale. Questa epopea, che rappresenta le prime espressioni letterarie dei volgari neolatini e di altre lingue moderne, si ispirava ai nuovi valori del cristianesimo, primo fra tutti la difesa della fede, mescolati con i valori guerreschi della società feudale.

Esiste tuttavia anche un’epica araba dell’XI e XII sec. in cui si descrivono le guerre di liberazione dei territori occupati dai cristiani, esaltando l’astuzia e l’abilità dei combattenti musulmani e soprattutto l’umanità, la generosità e il coraggio del sovrano. Esiste anche un’epica indiana, africana, persiana, americana, oceanica ecc.

In Francia l’esempio più significativo è La Chanson de Roland, scritta intorno alla prima crociata. Essa celebra le gesta di Orlando, il famoso paladino di Carlo Magno, e la morte dell’eroe a Roncisvalle, dopo una spedizione fallimentare dei Franchi per liberare la Spagna dai musulmani. I nemici in realtà sono dei montanari baschi, che diventano saraceni in chiave propagandistica, proprio perché c’è bisogno di una mobilitazione ideologica contro i musulmani, alla vigilia della spedizione per liberare il Santo Sepolcro. Orlando diverrà comunque un personaggio ricorrente in molte opere successive, tanto da essere a volte rappresentato in chiave caricaturale (come dal toscano Pulci nel Morgante, vedi sotto). Questo ciclo carolingio, detto anche chansons de geste, fu il più conosciuto in Italia.

In Germania l’esempio più famoso è costituito dalla saga dei Nibelunghi, composta presumibilmente all’inizio del XIII secolo d. C., ma in cui confluiscono elementi di una tradizione molto più antica, risalente al IX-X secolo.

La Spagna celebra le guerre contro i Mori nei cantari del Cid campeador (sec.XII).

In Inghilterra vi è il ciclo bretone (o arturiano) del XII sec., con carattere più chiaramente magico-avventuroso ed erotico, che cantava le gesta di re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda (specialmente di Lancillotto e dei suoi amori per Ginevra, ma anche del mago Merlino, della fata Morgana ecc.). Non vi è molto interesse per la guerra contro l’infedele musulmano, ma p.es. per il Santo Graal.

Quando in Italia, sul finire del Quattrocento, il volgare, nobilitato nel secolo precedente da Dante, Petrarca e Boccaccio, poi trascurato dagli umanisti, cominciò a essere utilizzato di nuovo come lingua letteraria, la materia

cavalleresca medievale, che aveva avuto un’ampia diffusione popolare attraverso i cantari (narrazione in versi, talora con accompagnamento musicale, prodotta e diffusa per via orale da poeti popolari, i cosiddetti giullari o canterini, tramite recite nelle piazze o lungo le vie dei pellegrinaggi), si ripropose come oggetto di poesia d’arte, particolarmente nei circoli culturali presso la corte dei Medici a Firenze e presso la corte degli Estensi a Ferrara.

Da noi dunque questo genere trova la sua massima espressione non nel Medioevo ma durante il Rinascimento, in una forma meno religiosa e più laico-borghese. L’esempio più eloquente è quello della figura del paladino Orlando, che da casto e severo, come nei poemi medievali, diventa addirittura pazzo d’amore.

La strada fu aperta da Luigi Pulci, a Firenze, che compose Il Morgante (1461-1483), riprendendo la guerra tra Franchi e saraceni con toni spesso comici e satirici. Morgante è il nome dello scudiero di Orlando. I valori della cavalleria vengono sbeffeggiati e i protagonisti rappresentati come briganti di strada. Più accadono cose straordinarie (battesimi di migliaia di persone, stragi e morti assurde ecc.), meno il poeta le giustifica. La chiave ironica e parodica (caricaturale) del Morgante proiettava il mondo della cavalleria in un’atmosfera di evasione fiabesca che si adattava al gusto del popolo di strada, amante del divertimento e del gergo triviale.

Dopo di lui Matteo Maria Boiardo, a Ferrara, con l’Orlando Innamorato (1476-1491), che amplia il tema amoroso, fissa il tipo del poema cavalleresco e costituisce il modello dell’Orlando Furioso dell’Ariosto. Qui il paladino Orlando è innamorato di Angelica, figlia del Re del Katai (Cina), ma l’antica materia epico-religiosa risulta profondamente rielaborata (specie per l’inserimento di elementi magici, fantastici e dove l’elemento amoroso risulta assolutamente centrale).

L’Orlando innamorato celebra un mondo feudale cavalleresco che non esiste più (la società mercantile e i suoi valori si sono ormai imposti, le guerre non si combattono più con la spada ma con l’artiglieria, e gli stati italiani stanno per perdere la loro autonomia), ma i cui valori sono sentiti ancora vivi nella società cortese, e in particolare a Ferrara. I signori d’Este infatti amano circondarsi di cose belle, organizzare tornei, dar vita a una corte dove le arti siano protette e, ovviamente, celebrino la grandezza di chi governa.

Dunque col Boiardo l’elemento eroico del ciclo carolingio era stato contaminato da quello magico-avventuroso e amoroso del ciclo bretone. Si celebrano i signori rinascimentali e comincia, sul piano letterario, quel processo moderno di umanizzazione dei protagonisti del ciclo. Infatti fino a quel momento la figura di Orlando era priva di difetti e debolezze umane, ora invece il paladino s’innamora di una principessa, Angelica, diventa folle, compie cose assurde, rinsavisce ecc.

Moderna è anche la forma narrativa, dove gli episodi vengono interrotti e ripresi con una tecnica di suspense e i personaggi cominciano a essere approfonditi in chiave psicologica.

La forma metrica adottata era l’ottava (otto versi endecasillabi: i primi sei a rima alterna e gli ultimi due a rima baciata), che era stata usata per la prima volta da Boccaccio nel Teseida.

Il genere epico raggiunse esiti di grandissimo valore poetico con Orlando furioso, uno dei capolavori della letteratura italiana, composto a Ferrara tra il 1503 e il 1532 da Ludovico Ariosto. Qui il mondo dei paladini è sentito come superato nei suoi valori, ma è rivissuto con intelligente distacco e nostalgia. Si presenta come un sogno lontano, come un insieme di storie che è bello riproporre con la fantasia. Le storie dei paladini sono pretesto per ironizzare sulle debolezze, sulle illusioni e sulle utopie umane. Si opera la definitiva fusione dei seguenti temi: guerra, amore, avventura, elemento fantastico, religione, encomio (per la Casa degli Estensi).

In particolare, mentre con Boiardo e il Pulci era preponderante lo schema delle avventure fini a se stesse, del tutto gratuite e casuali, senza una meta precisa da parte dei cavalieri, con l’Ariosto predomina l’inchiesta, cioè la ricerca di qualcuno o di qualcosa di specifico, in un tessuto narrativo dove le vicende trovano una giustificazione logica e razionale, anche se ciò non vuol dire che sia facile trovare un ordine, in quanto le vicende sono davvero tante. I principali filoni narrativi sono tre: l’amore folle di Orlando per Angelica, la guerra tra cristiani e saraceni, il matrimonio di Ruggero e Bradamante, che porta alla nascita degli Estensi.

La tecnica compositiva è quella della suspense e della ripresa, che permette di padroneggiare storie e personaggi, con uno sguardo panoramico spesso scherzoso e leggero.

Nel secondo Cinquecento la tradizione estense del poema cavalleresco ebbe un altro geniale interprete in Torquato Tasso, l’autore della Gerusalemme liberata, il poema che narra la conquista del Santo Sepolcro alla fine della prima Crociata (1096-1099). Dietro lo scontro tra cavalieri cristiani e saraceni, che vede anche l’intervento di forze soprannaturali, si celano i conflitti interni di una personalità complessa e inquieta quale quella di Tasso, su cui influì il pesante clima della Controriforma cattolica. La stessa corte estense è soggetta al controllo culturale della corte romana.

Infatti il poeta si pone come fine non tanto quello di creare un testo di intrattenimento in cui il pubblico di corte possa veder rispecchiati i propri ideali borghesi, quanto quello di esaltare gli austeri ideali religiosi della Controriforma cattolica, concretizzandoli nel tema della crociata per liberare il Santo Sepolcro.

Si celebra la vittoria di Lepanto contro i Turchi (1571). L’ispirazione è storico-religiosa e si rifà ai modelli classici, che esaltavano un unico eroe: in questo caso Goffredo di Buglione, capo cristiano nella prima crociata (1096). Viene dunque richiamato un fatto storico, riattualizzato dalla recente lotta contro i Turchi, che minacciano l’Europa essendo giunti sino a Vienna. Tasso deve dimostrare l’autorità della storia e la verità della religione cattolico-romana (i saraceni vengono definiti non solo “pagani” ma addirittura “seguaci di Satana”).

L’elemento amoroso e lirico (con la descrizione di sentimenti e psicologie) è molto importante. Le storie d’amore infelici e i teneri personaggi femminili (Sofronia, Erminia) rendono la narrazione talvolta sentimentale e patetica. Altri personaggi femminili (Clorinda e Armida) incarnano la seduzione colpevole per il cavaliere cristiano. L’elemento fantastico si trasforma in elemento miracoloso, mosso da diavoli e angeli (forze soprannaturali). Le forti venature mistiche contrastano con le passioni terrene, che pur non mancano, anche se finiscono tragicamente, in quanto l’amore viene sentito come colpa.

La Gerusalemme liberata, conclusa nel 1575, fu riscritta e pubblicata come Conquistata nel 1593, dopo l’internamento in manicomio del poeta e il suo ripensamento sulla possibile empietà dei suoi versi.

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