IL PENSIERO DI UGO FOSCOLO

IL PENSIERO DI UGO FOSCOLO

Il Foscolo è il primo poeta a mostrare il carattere romantico nella storia della letteratura italiana, appassionato, impetuoso, ricco di vizi e di virtù, come egli stesso si definisce nel sonetto-autoritratto.

Due sono gli elementi che spiccano nella sua personalità, il primo è un immediato abbandono agli impulsi del sentimento e delle passioni che agitarono ininterrottamente la sua vita, il secondo, in contrasto con il primo, è l’esigenza di un ordine, di una disciplina, di un’armonia interiore.
Il Foscolo si divertiva a trovare l’etimologia del suo cognome e lo divideva in due parti, cioè in jvs [fòs], che in greco vuol dire “luce”, e in colh’ [cholè], che vuol dire “bile, collera, sdegno” (quasi ad indicare la vittoria della luce sulle tenebre dello sdegno e delle passioni).
Interpretando così il suo cognome, egli non faceva che esprimere l’esigenza di disciplinare le passioni, di vincere, insomma, la disperazione di Jacopo Ortis con il sereno distacco di Didimo Chierico. Tuttavia soltanto nella poesia egli riuscì a rappresentare l’armonia interiore alla quale aspirava, nella vita pratica, infatti, da autentico romantico, si lasciò trasportare dalle passioni.

Le dottrine materialistiche del ‘700

Il Foscolo, nella sua concezione del mondo e della vita, segue le dottrine materialistiche e meccanicistiche dell’Illuminismo, secondo le quali il mondo è fatto di materia sottoposta ad un processo incessante di trasformazioni secondo leggi meccaniche, senza un fine ideale. Anche l’uomo è soggetto alla stessa legge di dissolvimento della materia, perché anch’egli è solo e tutto materia, perciò compiuto il suo ciclo biologico, la materia di cui è fatto si disgrega ed egli si annulla completamente come individuo.
Per i filosofi del ‘700 una tale concezione materialistica della realtà e dell’uomo era un motivo di serenità perché liberava l’animo dalle superstizioni, dalla paura della morte e dalle credenze paurose dell’aldilà e lo induceva a vivere più serenamente secondo natura e ragione.

Il pessimismo 

Ma il Foscolo, pur riconoscendo la validità razionale di tale dottrina, invece di trovarvi un motivo di serenità e di ottimismo, vi scopre un motivo di forte pessimismo e di disperazione. La visione materialistica della realtà lo porta a considerare l’uomo come prigioniero della materia, il quale, compiuto il suo ciclo vitale, piomba con la morte nel nulla eterno, come un qualsiasi animale o una qualsiasi pianta, dopo una lunga catena di sofferenze senza senso.
La ragione, quindi, esaltata dagli illuministi come fugatrice di tenebre ed indagatrice di verità, per il Foscolo non è affatto uno strumento di liberazione e di felicità, ma un dono malefico della natura, che da una parte ci ha dato l’istinto tenace della conservazione per farci ubbidire alle sue leggi, dall’altra ci ha fornito di ragione per farci conoscere tutte le nostre calamità, ignorando sempre il modo di ristorarle.
È meglio, dunque, non nascere, e, una volta nati, è meglio troncare la vita con il suicidio.
È questo il momento più acuto del pessimismo foscoliano, rappresentato idealmente dal suicidio di Jacopo Ortis, un suicidio che è insieme una liberazione e una protesta: una liberazione dal dolore e una protesta contro la natura che ha destinato l’uomo all’infelicità.

La “rivolta” delle illusioni 

Tuttavia, il Foscolo non soccombe al pessimismo e alla disperazione ma reagisce vigorosamente, creandosi una nuova fede in valori universali che danno un fine ed un significato alla vita dell’uomo. Questi valori universali sono la bellezza, l’amore, la libertà, la patria, la virtù, l’eroismo, l’arte, la poesia e la gloria, tutti i sentimenti che i filosofi materialisti e scettici chiamano “illusioni”, cioè idee vane, inconsistenti, ma che sono verità validissime per il poeta, che le considera necessarie per sé e per gli altri, perché hanno l’ufficio di legare l’uomo alla vita e di dare uno scopo all’esistenza, sono i miti, le idee di forza che promuovono il progresso, la civiltà dei popoli e dell’umanità.
Tra le illusioni, quella più grande è per il Foscolo la gloria, l’ansia tutta romantica di vincere l’oscurità e la morte e di lasciare il segno del nostro passaggio sulla Terra nell’eredità di affetti che lasciamo agli altri, nella fama delle azioni magnanime ed eroiche. Egli che ha perduto la fede cristiana nell’immortalità dell’anima, vede nell’illusione della gloria il mezzo di sopravvivenza ideale dopo la morte. Così all’immortalità trascendente della religione tradizionale, egli sostituisce l’immortalità immanente nelle azioni, degli uomini, nella storia che le raccoglie e le tramanda, nella poesia che le celebra e le addita come esempio e stimolo a compiere altre imprese magnanime ed eroiche. Non è immortale, secondo il Foscolo, l’anima dell’uomo, ma sono immortali le azioni che egli nobilmente e generosamente compie. Il ricordo di lui vive perenne nel cuore di parenti ed amici e, se ha onorato la patria, la scienza e l’arte, vive nel cuore della nazione e dell’umanità.
Tenendo presente la sua fede nelle illusioni, ci spieghiamo molte vicende biografiche del Foscolo, che riscattano le sue umane debolezze e miserie, innanzitutto ci spieghiamo i suoi innumerevoli amori, che erano altrettanti modi di vivere intensamente, di realizzarsi nella sua impetuosa individualità. Ci spieghiamo poi il suo attivismo politico, militare, giornalistico, la sua attività di insegnante a Pavia, l’impegno di poeta civile, la scelta coraggiosa dell’esilio, per fierezza e coerenza di carattere.

I limiti delle illusioni

La fede nelle illusioni, tuttavia, non valse a dare al Foscolo una serenità stabile, perché, non essendo essa ancorata ad una realtà metafisica, come la fede cristiana, ma a dei sentimenti del tutto umani e terreni, era soggetta agli entusiasmi e agli scoramenti del momento.
Le illusioni insomma non furono mai per Foscolo una realtà assoluta, ma spesso erano accompagnate, come la luce e l’ombra, dalla consapevolezza dei limiti della natura umana e dalla minaccia sempre incombente della morte e del nulla eterno.
Questo sentimento della vita con le sue armonie e bellezze congiunto con l’idea di dolore e della morte conferisce alla poesia foscoliana un tono di malinconia. Si tratta, però, di malinconia non querula, che porta all’apatia e all’ignavia, ma virile ed agonistica, una sorta di pessimismo della ragione e di ottimismo della volontà operosa e costruttiva.

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