IL PENSIERO DI GIACOMO LEOPARDI

IL PENSIERO DI GIACOMO LEOPARDI

IL PENSIERO DI GIACOMO LEOPARDI


Il pensiero del Leopardi, come per il Foscolo ,trae origine dalla concezione meccanicistica del mondo che egli aveva appreso dall’illuminismo. Per il Leopardi, infatti, il mondo è fatto di materia sottoposta a leggi meccaniche e anche l’uomo è sottoposto a queste leggi di trasformazione della materia. Egli non solo è una creatura debole e indifesa, che dopo una vita di sofferenze si annulla totalmente con la morte, ma è anche un essere insignificante nel contesto della vita universale, “una pagliuzza nel turbino del vento“.

Anche per il Leopardi questa nuova fede era motivo di tristezza e di pessimismo, perché egli avverte dolorosamente i limiti della natura umana tutta chiusa nella prigione della materia in contrasto con l’innata aspirazione dell’uomo all’assoluto e all’infinito. Un altro elemento che caratterizzò il pessimismo leopardiano fu la sua giovinezza, Leopardi infatti visse in modo permanente quello che è il dramma momentaneo di tutti gli adolescenti e i giovani; il Leopardi non riuscì mai a inserirsi nel suo tempo, un po’ a causa della rigidità e ottusità del contesto familiare che non gli consentiva ampia possibilità di scelta, un po’ per l’angustia dello stesso ambiente paesano, che lo condannò all’isolamento e lo privò di rapporti umani, di esperienze concrete, delle soddisfazioni che provengono all’uomo dal lavoro o da qualunque attività che lo impegni e lo faccia sentire utile a sé e agli altri, così egli si chiuse in sé stesso e di meditazione in meditazione pervenne ad una visione totalmente pessimistica della vita.

Gli studiosi hanno distinto tre aspetti del pessimismo leopardiano:

  1. Il pessimismo personale o soggettivo, è il primo aspetto del pessimismo leopardiano; esso sorge quando il poeta è ancora un adolescente, a determinare questo sentimento d’infelicità personale, prima fra tutte fu l’ambiente familiare e una delicatissima sensibilità d’animo, acuita dal deperimento organico e dall’aspetto fisico, a vent’anni il Leopardi si sente già vecchio, spiritualmente e fisicamente.
  2. Il pessimismo storico o progressivo vede gli uomini felici soltanto nell’età primitiva quando vivevano allo stato naturale, ma poi essi vollero uscire da questa beata ignoranza e innocenza istintiva e, servendosi della ragione, si misero alla ricerca del “vero”. Le scoperte della ragione furono catastrofiche, l’uomo scoprì le leggi meccaniche che regolano la vita dell’universo, scoprì il male, il dolore, l’infelicità, l’angustia esistenziale. La storia dell’uomo quindi- dice il Leopardi- non è progresso ma decadenza, da uno stato di inconscia felicità naturale a uno stato di consapevole dolore, messo in evidenza dalla ragione. Ciò è avvenuto nella storia dell’umanità che si ripete immancabilmente nella storia di ciascun individuo. il Leopardi in oltre, approfondisce la sua meditazione sul problema del dolore e conclude che la causa di esso è proprio la natura, in quanto ha creato l’uomo con un profondo desiderio di felicità, pur sapendo che egli non l’avrebbe mai raggiunta. Così di fronte la natura Leopardi assume un duplice atteggiamento, ne sente allo stesso tempo il fascino e la repulsione. L’ama per i suoi spettacoli di bellezza , di potenza e di armonia; la odia per il concetto filosofico che si forma di essa, fino a considerarla non più una “madre benigna e pia” ma “una matrigna” crudele ed indifferente ai dolori degli uomini.
  3. Il pessimismo cosmico o universale; esso è chiamato così perché investe tutte le creature e proprio in questo momento della sua meditazione il Leopardi rivaluta la ragione, prima considerata causa di infelicità; essa è si consapevole di aver distrutto le illusioni con la scoperta del vero, ma è anche l’unico bene rimasto agli uomini. L’effetto di tale pessimismo è la “noia” intesa come “stanchezza del vivere”.

La conclusione del pessimismo leopardiano dovrebbe essere analoga a quella di Jacopo Ortis, il suicidio considerato come unicomezzo di liberazione dall’angoscia esistenziale, ma il Leopardi condanna il suicidio, perché riconosce che siamo legati alla vita dall’istinto naturale di sopravvivenza e dal dovere di solidarietà e fratellanza con tutti gli uomini, che sono nostri compagni di sventura.

 

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