il passero solitario riassunto

il passero solitario riassunto


-Il passero vive solitario e pensoso contempla il volteggiare gioioso dei compagni nel libero cielo, canta in disparte sull’arte della torre, mentre tutto il paese è in festa esce solitario alla campagna con la primavera che brilla nell’aria, mentre ogni cosa sembra far festa rimandando ogni gioco ed ogni diletto. Il passero giunto alla fine della sua esistenza non proverà dolore per la sua vita trascorsa inutilmente e per quella sua solitudine perchè ogni gioia è donata dalla natura e non è una conquista dello spirito.


La prima idea del canto “Il Passero Solitario” risale al 1819 – 1820: si legge infatti l’appunto Passero solitario. Ma l’ideazione è del 1829 – 1830 e la stesura definitiva è tra il 1833 e il 1834. La poesia fu pubblicata per la prima volta nell’edizione napoletana dei Canti del 1835. Molti passi del canto richiamano direttamente sia “La quiete dopo la tempesta”, sia “Il Sabato del villaggio” che “Le Ricordanze”. Il Leopardi però inserì questo canto al numero XI dell’opera, prima dei “Piccoli Idilli”, forse per motivi di percorso culturale ed esistenziale. Lucio Felici su questo punto scrive: <<Quanto al quesito “perché il Leopardi s’indusse a collocare il Passero in testa ai primi idilli”, il Monteverdi risponde: <<Fu certo perché si ricordava d’averne avuto l’idea sin dai tempi (sin dal 1820, che è l’anno dell’appunto che noi conosciamo) o, meglio ancora, fu perché, ricordandosene, quando s’era messo a comporlo dieci anni più dopo (o poco meno, o poco più), egli si era ripensato d’altrettanti anni più giovane. Si era rivisto nella “primavera” del viver suo, noncurante delle gioie della “novella età”, pur se presago dei futuri pentimenti. S’era sentito, di nuovo, partecipe della giovinezza: di quella giovinezza che ne Le Ricordanze aveva lamentata ormai “spenta”>> (da Canti – Giacomo Leopardi – Newton & Compton Editori – a cura di Lucio Felici – Pag. 80). Secondo Ugo Dotti: <<Se si guarda al Canto più da vicino, ben s’avverte che esso fa (almeno idealmente) parte di questa particolare stagione recanatese, la stagione cioè della memoria che ricostruendo la vita interiore la interpreta e la drammatizza nello scontro con la verità…. Nella seconda parte la poesia si rivolge alla riflessione, fa emergere il negativo e propone la lezione dolente della verità. Tutto il dolore del reale è qui espresso con gli interrogativi di chiusa, ed è come se il poeta, con essi, abbia cercato di allontanare per qualche tempo la sventura imminente e fatale>>


Il tema di questo canto è la similitudine che il poeta stabilisce tra sé e il passero solitario. Secondo il poeta c’è molta affinità tra la vita che egli conduce e quella del passero. Il passero vive da solo, non cerca divertimenti e canta per sé stesso. Anche il poeta vive da solo, evita gli altri, non cerca i divertimenti e scrive per sé stesso. Il suono del verso del passero si espande per la valle, ma nessuno lo ascolta; anche il poeta compone, soprattutto per sé, come scrisse in un famoso pensiero nello Zibaldone: <<Uno dei maggiori frutti che io mi propongo e spero dai miei versi, è che essi riscaldino la mia vecchiaia con il calore della mia gioventù; è di assaporarli in quella età, e provare qualche reliquia dei miei sentimenti passati, messa quivi entro, per conservarla e darle durata, quasi in deposito; è di commuovere me stesso in rileggerli, come spesso mi accade, e meglio che in leggere poesie d’altrui; oltre la rimembranza, il riflettere  sopra quello che io fui, e paragonarmi meco medesimo; e infine il piacere che si prova in gustare e apprezzare i propri lavori, e contemplare da se compiacendosene, le bellezze e i pregi di un figlioletto proprio, non con un’altra soddisfazione, che di aver fatta una cosa bella al mondo; sia essa o non sia conosciuta per tale da altrui>> (pagina dello Zibaldone originario 4302 – Venerdì 15 febbraio 1828 – Citazione presa da Leopardi Zibaldone – I Mammut – Newton editore – Pagina 897). Ma il poeta sottolinea anche le differenze tra la sua vita  e quella del passero solitario. La vita del passero è dovuta alle eterne leggi della natura, mentre la sua vita è dovuta alla sua libera scelta; ed è proprio per questa differenza che il poeta è sicuro che nel caso diventi vecchio (cosa impossibile), rimpiangerà la sua scelta di vivere da solo senza i divertimenti, la gioia e la spensieratezza che accompagnano la giovinezza.
Il poeta dunque rimpiange le gioie della sua perduta giovinezza e i divertimenti con i suoi coetanei. Ma Leopardi sa che la sua scelta di vita solitaria era obbligata sia per il suo carattere schivo e riservato, sia  per la sua costituzione fisica, sia per la sua educazione nobiliare rigida, sia per la sua inclinazione alla poesia. Per tutti questi motivi Leopardi poteva aspirare a provare, al massimo, il piacere dei sentimenti che  riceveva dai suoi più intimi amici, dai suoi sostenitori e dai suoi familiari. Ma il Leopardi non era un giovane “normale”,  era un genio poetico, un creativo e non poteva sprecare il suo tempo; doveva dedicarsi agli studi e alla poesia se voleva raggiungere i sublimi risultati estetici che ha poi raggiunto. Dunque credo che il Leopardi non avrebbe mai rimpianto una giovinezza vuota e sprecato la vita dietro i divertimenti; fu un uomo infelice, ma non ebbe mai paura della morte, a differenza della pavida gente, e anzi la invocò tante volte, come poetò nel bellissimo canto “Amore e morte”.