Il nazismo come rivoluzione antiebraica
da G. L. Mosse, Le origini culturali del Terzo Reich, trad. di F. Saba-Sardi, Il Saggiatore, Milano, 196
Con Hitler, la «rivoluzione germanica», la ricerca cioè di una «terza via» alternativa al capitalismo e al comunismo, assunse un aspetto concreto e divenne rivoluzione antiebraica. Gli entusiasmi nazio-nalpatriottici delle masse furono distolti dai problemi sociali e indirizzati verso l’antisemitismo. Il nemico nazionale non fu più, come i socialisti predicavano, il capitalista, ma l’ebreo. Fu allora che la borghesia potè considerarsi salva dalla rivoluzione sociale; e di fatto si senti attivamente cointeressata alla trasformazione della nazione. «CosiHitler», scrive G. L. Mosse, «ebbe la sua rivoluzione tedesca». Una rivoluzione non politica né economica, ma «di atteggiamenti e di sentimenti», nella quale la lotta contro l’ebreo che minacciava l’esistenza della nazione germanica si ricollegava alla teoria del Volk; quest’ultimo, dall’iniziale significato di popolo, passava ad indicare non la nazione della tradizione rousseauiano-de-mocratica, ossia quella che si esprimeva come sovranità popolare, ma la nazione intesa come legame stretto fra etnia e terra, e quindi come esaltazione della razza (voi. II, cap. VITI, par. 5; cap. XVI, lett. 11): una concezione che si caricava di tutta l’enfasi e il dinamismo del nazionalpatriottismo dell’Ottocento.
Se i rivoluzionari tedeschi dovettero cedere il campo a Hitler, ciò accadde non soltanto a causa di una loro deficienza, ma anche perché Hitler non aveva più bisogno, per realizzare l’alternativa della «terza via», di fondarsi su una base ristretta: alla fine degli anni Venti, poteva ormai contare sull’appoggio non solo delle masse, ma anche dell’alta finanza e della grossa borghesia. E tuttavia, anche Hitler abbracciò l’ideale della rivoluzione tedesca, anch’egli persegui una «terza via»; ma ciò che era stato finora implicito in tutti i programmi dei «socialisti tedeschi», divenne esplicito, e con Hitler ognuno ebbe il suo contentino: la rivoluzione che tanti tedeschi desideravano, tale però da non turbare i rapporti sociali ed economici. Una rivoluzione spirituale: e tutte le classi, senza angosce e tremori, potevano appoggiarla. In effetti, in quanto accentuava le istanze spirituali a scapito delle realtà economiche e sociali, era questa la rivoluzione ideale per coloro che avrebbero avuto tutto da perdere con un movimento rivoluzionario di tipo tradizionale.
Hitler seppe cogliere l’occasione – tutta la storia del movimento nazionalpatriottico non aveva forse mirato a questo? – e sfruttarla a fondo; seppe trarne tutte le logiche conseguenze, in quanto le impartì un indirizzo concreto. […] La rivoluzione germanica divenne la rivoluzione antiebraica; l’entusiasmo delle masse, infiammato da più di mezzo secolo di agitazione nazionalpatriottica e che, se non sfogato, avrebbe potuto diventare esplosivo e pericoloso per i suoi stessi promotori, fu distolto dalla concreta problematica sociale ed economica e indirizzato verso l’antisemitismo. Si fece in modo che fosse l’ebreo a sopportarne il peso, e Hitler rese cosi effettivo quello che pure era stato uno dei principi del movimento nazionalpatriot-tico.
E questa la ragione del successo di Hitler: la sua capacità di trasformare le aspirazioni rivoluzionarie e le lagnanze di un vasto settore della popolazione in rivoluzione antiebraica. Ad assurgere a incarnazione del nemico, non fu il grosso capitalista, non fu l’operatore economico, bensì il giudeo. Con la sua abile, ingegnosa distinzione tra capitalismo ebraico e capitalismo tedesco, Hitler salvò la struttura capitalistica della Germania da sicura rovina, anzi la rafforzò. In pari tempo, gli Ebrei furono liquidati come forza economica, lasciando ad altri i loro capitali, gli inventari, le ricchezze. Cosi, gli Ebrei fecero distogliere l’attenzione dai veri motivi della crisi tedesca: il cattivo funzionamento della struttura capitalistica germanica, la guerra perduta, le frustrazioni del XIX secolo. Ciò non equivale affatto a dire che l’antisemitismo di Hitler fosse semplicemente un espediente opportunistico per la conquista e il mantenimento del potere; al contrario, fu proprio perché si trattava di una fede sinceramente nutrita, il cui dinamismo era sufficiente a trascinare la nazione, che Hitler potè guidare il proprio partito alla vittoria.
La rivoluzione tedesca era quell’«ideali-smo delle azioni» che i teorici del Volk sempre avevano propugnato. Innegabilmente, anche in altre nazioni si agitavano idee affini. […] Ma soltanto in Germania l’ideologia nazionalpatriottica era riuscita a fornire uno specifico contenuto al misticismo in questione, mettendo cosi Hitler in grado di dare evidenza drammatica e un’impronta personale alla propria rivoluzione. Lo slogan «gli Ebrei sono la nostra disgrazia» riassumeva l’intera iacologia di cui ci siamo occupati, e l’importanza cruciale che in essa aveva l’ebreo preparò la strada all’avvento di Hitler. […]
La rivoluzione di Hitler non si proponeva affatto la distruzione dei legami tradizionali, esattamente come non contemplava il rovesciamento della struttura economica capitalistica.
Nel 1934, i nazisti avevano ormai eliminato gli elementi estremisti in seno al movimento nazionalpatriottico e nelle loro proprie file. Tutto ciò che suonava come offesa all’etica borghese, era stato spazzato dall’ambito del partito: si era soffocata la licenziosità sessuale di certi raggruppamenti nazionalpa-triottici e dei primi nazionalsocialisti; il nudismo introdotto dal Movimento giovanile, che aveva raggiunto una certa popolarità quale riaffermazione di naturalità e genuinità, offendeva la sensibilità borghese, e Gó-ring1, poco dopo la conquista nazista del potere, in Prussia, lo fece bandire. Allo stesso modo, i Bùndr, contro i cui principi dell’Eros e dell’attrazione maschile Hitler si era scagliato già all’inizio della sua carriera nelle file del Partito nazionalsocialista, furono sciolti, e si può ben dire che, sia dal punto di vista del nazionalpatriottismo, sia da quello di un nazionalsocialismo radicale, il partito di Hitler avesse adeguato l’ideologia neogermanica ai metri di misura borghesi.
A partire dal momento in cui l’ebreo venne designato quale nemico del partito e del Volk, la borghesia potè dirsi salva da una rivoluzione sociale ed economica, e di fatto anzi fu attivamente cointeressata alla trasformazione della nazione. Il borghese poteva sentirsi orgoglioso di far sue le parole di Hitler che, nel 1933, aveva esaltato la «massima rivoluzione razziale germanica nella storia del mondo». Era infatti la borghesia che Hitler esortava a dar prova di maggior coraggio, a trascendere le proprie limitazioni, a partecipare alla lotta contro la plutocrazia giudaica e il comunismo ebraico. La rivoluzione era antiborghese, in quanto diretta contro l’ebreo; ed era anticomunista, in quanto aveva come mete del suo attacco sia gli Ebrei sia i marxisti tedeschi, da essa gettati nello stesso calderone della cospirazione giudaico-marxista. Nella sua lotta contro il comunismo, essa aveva il sostegno della classe media con i suoi odi e le sue paure; in pari tempo, il suo «antiborghesismo» era tale da introdurre un doppio metro di misura, da operare cioè una distinzione tra borghesia indigena e borghesia ebraica.
A illustrare tale duplicità, grazie alla quale la classe media divenne la realizzatrice della rivoluzione, basterà un unico esempio: Rudolf Hòss3, comandante del campo di concentramento di Auschwitz, fu indubbiamente il maggiore assassino di massa che la storia conosca; eppure dalla sua autobiografia si ricava l’immagine di un’esistenza borghese perfettamente normale, anzi «terra terra». Nelle stesse pagine in cui riconosce di essere un carnefice professionista, Hòss fornisce la descrizione di una vita familiare come tante altre, parla del suo amore per i bambini e gli animali. In un passo di questo suo testo, i detenuti ebrei vanno alla morte in una bella giornata di primavera, tra i meli in fiore; ed ecco Hòss abbandonarsi alle emozioni, non di pietà per i condannati, ma per la sorte della propria famiglia. Ed era questo appunto il nocciolo: la rivoluzione era stata «deviata» contro gli Ebrei, e quindi poteva servire a proteggere e potenziare i valori borghesi. Lo stesso duplice metro di misura che agiva in Hòss era anche operante, sia pure in maniera assai meno evidente, nella borghesia in generale, la quale, fedele al principio dell’inviolabilità della proprietà privata quando attentare a questa sarebbe andato a scapito dei suoi stessi interessi, con altrettanto rigore ignorava tale norma allorché si trattava degli Ebrei. Gli incendi dolosi erano puniti dalla legge, ma se a essere data alle fiamme era una sinagoga, nessuno perseguitava i colpevoli, quando questi non venivano addirittura encomiati. Cosi i nazionalsocialisti attuarono la loro promessa di por fine al dominio della borghesia: solo però per quanto attiene agli Ebrei!
Alla fine, Hitler ebbe la sua rivoluzione tedesca. Già molto tempo prima, nel 1920, egli aveva specificato che specie di rivoluzione questa doveva essere: non politica (il 1918 aveva comprovato che cosa ciò poteva significare per la Germania), non economica (Hitler aveva sott’occhio il terribile esempio della Russia), bensì una «rivoluzione di atteggiamenti e sentimenti» (Revolution der Gesinnung). In tal modo l’ebreo assurse a perno dell’ideologia, esattamente cortie lo era stato per la maggioranza dei precedenti ideologi del Volk; e benché certi obiettivi nazisti possano essere stati inconciliabili con quelli propugnati da individui e gruppi in seno al movimento na-zionalpatriottico, le componenti dell’antisemitismo di marca vólkisch4 erano in grandissima parte una componente fondamentale del programma nazionalsocialista. In effetti, molti di coloro i quali avevano aspirato a mete di pura impronta nazionalpatriottica, videro nel nazionalsocialismo lo strumento più adatto per il loro raggiungimento, e accadde cosi che molti membri del Movimento giovanile dei Bùnde abbandonassero il precedente atteggiamento di opposizione e ostilità, per marciare fianco a fianco con le camicie brune seguaci di Hitler, il quale, agli occhi di costoro, alla stregua dei loro metri di misura na-zionalpatriottici, non era uno straniero né un innovatore, bensì un adeguatore, un plasmatore, uno che conferiva alle correnti dottrine vólkisch nuova forza, nuova enfasi e nuovo dinamismo, sufficienti però a trascinare l’intero movimento nazionalpatriottico nella scia del Partito nazista. La rivoluzione di Hitler dunque Uovo larghi settori della popolazione tedesca pronti ad accoglierne il messaggio; e, per quanto tale messaggio possa sembrarci bizzarro, più che altro degno di studio da parte di psicologi, non era questa l’idea che le folle adoranti si facevano del loro Fùhrer, né è in questa luce che oggi gli storici devono indagare sul nazionalsocialismo.
- Per H. Gòring vedi la lettura 22, nota 7.
- Il termine Bund (plurale Bùnde) significa «associazione», «lega».
- Rudolf Hòss, ufficiale delle SS, fu a capo, per circa due anni, del campo di sterminio di Auschwitz. Arrestato, processato e condannato a morte, scrisse in carcere, nel 1947, un’agghiacciante autobiografia.
- vólkisch: «popolare» («nazional-patriotti-co»), dal tedesco Volk, «popolo»; per l’accezione mitico-etnica dell’aggettivo, vedi il volume II, capitolo Vili, paragrafo 5.