IL LAMENTO DI MELIBEO BUCOLICA 1 vv 46-83

IL LAMENTO DI MELIBEO BUCOLICA 1 vv 46-83

Meliboeus

Fortunate senex, ergo tua rura manebunt
et tibi magna satis, quamvis lapis omnia nudus
limosoque palus obducat pascua iunco.
non insueta gravis temptabunt pabula fetas
nec mala vicini pecoris contagia laedent.
fortunate senex, hic inter flumina nota
et fontis sacros frigus captabis opacum;
hinc tibi, quae semper, vicino ab limite saepes
Hyblaeis apibus florem depasta salicti
saepe levi somnum suadebit inire susurro;
hinc alta sub rupe canet frondator ad auras,
nec tamen interea raucae, tua cura, palumbes
nec gemere aeria cessabit turtur ab ulmo.

Tityrus
Ante leves ergo pascentur in aethere cervi
et freta destituent nudos in litore pisces,
ante pererratis amborum finibus exsul
aut Ararim Parthus bibet aut Germania Tigrim,
quam nostro illius labatur pectore vultus.

Meliboeus
At nos hinc alii sitientis ibimus Afros,
pars Scythiam et rapidum cretae veniemus Oaxen
et penitus toto divisos orbe Britannos.
en umquam patrios longo post tempore finis
pauperis et tuguri congestum caespite culmen,
post aliquot, mea regna, videns mirabor aristas?
impius haec tam culta novalia miles habebit,
barbarus has segetes. en quo discordia civis
produxit miseros; his nos consevimus agros!
insere nunc, Meliboee, piros, pone ordine vites.
ite meae, felix quondam pecus, ite capellae.
non ego vos posthac viridi proiectus in antro
dumosa pendere procul de rupe videbo;
carmina nulla canam; non me pascente, capellae,
florentem cytisum et salices carpetis amaras.

Tityrus
Hic tamen hanc mecum poteras requiescere noctem
fronde super viridi. sunt nobis mitia poma,
castaneae molles et pressi copia lactis,
et iam summa procul villarum culmina fumant
maioresque cadunt altis de montibus umbrae.

MEL.: o vecchio fortunato, dunque i campi rimarranno tuoi e abbastanza grandi per te, benché la pietra nuda e la plaude ricopra di giunchi fangosi tutti i pascoli. Pascoli non consueti non attaccheranno le femmine gravide né le danneggeranno le malattie contagiose del gregge vicino. O vecchio fortunato, qui fra questi fiumi noti e queste sacre fonti prenderai il fresco all’ombra.
Di qui, dal vicino confine, la siepe, che (è) sempre succhiata nel fiore di salice dalle api iblee, ti inviterà spesso a cominciare il sonno con un lieve sussurro; di là il potatore canterà al vento sotto l’alta rupe, né tuttavia frattanto le roche colombe, la tua passione, né la tortora cesseranno di tubare dall’alto olmo.
TIT.: Dunque i cervi leggeri pascoleranno nel cielo e i flutti depositeranno sulla spiaggia i pesci nudi e dopo aver vagato entrambi esuli fuori dalle loro città, il Parto berrà l’acqua dell’Arar e il Germano quella del Tigri, prima che il volto di Augusto sia cancellato dal mio cuore.
MEL.: Ma tra noi alcuni andremo da qui presso gli africani assetati, altri in Scizia e perverremo all’Oasse fangoso e ai Britanni del tutto separati dal resto del mondo. Ah, dopo lungo tempo riammirerò, vedendo il suolo della patria e il tetto coperto di zolle erbose della mia povera casupola, già mio regno, delle spighe? Un empio soldato avrà questi maggesi tanto coltivati, un barbaro queste messi: ecco dove ha condotto la guerra civile i miseri cittadini: per costoro abbiamo seminato i campi! Innesta ora i peri, Melibeo; disponi in filari le viti. Andate, o mie caprette, gregge un tempo felice, andate, non io, d’ora in poi, sdraiato in una grotta verdeggiante, vi vedrò sospese lontano a una rupe coperta di rovi; non canterò alcun carme, non brucherete, o caprette, il citiso in fiore e i salici amari mentre vi conduco al pascolo.
TIT.: Tuttavia avresti potuto riposare qui con me questa notte su un verde giaciglio: abbiamo frutta matura, morbide castagne, e abbondanza di formaggio e già i comignoli delle case fumano di lontano, e più grandi scendono le ombre dagli alti monti.

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