IL GIARDINO DEI FINZI CONTINI TRAMA

IL GIARDINO DEI FINZI CONTINI TRAMA

Giorgio Bassani


Il Giardino dei Finzi-Contini, scritto da Giorgio Bassani e pubblicato nel 1962, racconta le vicende di un gruppo di giovani universitari ebrei ferraresi tra il 1938 e il 1941.

Dopo la caduta del fascismo e la fine della II Guerra Mondiale, l’Italia era devastata dalle ferite lasciate dalla guerra e dai bombardamenti sulla città, dall’anarchia che spesso spingeva le persone a vendicarsi da soli contro le ultime macchie lasciate dalla dittatura e dalla povertà che sei anni di guerra avevano generato. Ovunque le difficoltà nell’approvvigionamento favorivano il mercato nero e al Sud cresceva l’influenza delle mafia. La situazione di miseria, le difficoltà della povera gente e il desiderio di rinnovamento sociale e politico dell’Italia vengono narrate con toni puramente oggettivi dal neorealismo, un movimento letterario, pittorico, architettonico ma soprattutto cinematografico che esortava gli artisti a lavorare per una nuova cultura, non più consolatoria come lo era stata quella del Decadentismo, ma operativa e incidente sulla società. Ma già nella seconda metà degli anni Cinquanta il neorealismo è in fase perché si sviluppa un nuovo rapporto nei confronti della realtà: più problematico, fatto di dolore, di delusione, di violenza più che di fiducia nell’impegno di lotta e nella rappresentazione realistica. La ricostruzione viene avviata soprattutto grazie all’opera del liberale Luigi Einaudi e agli aiuti americani del piano Marshall, ma piuttosto che ad un rinnovamento era stata avviata, ad opera della Democrazia Cristiana di De Gasperi, una restaurazione. E’ questo sconforto per il mancato realizzamento degli scopi iniziali che il neorealismo entra in crisi e nel campo letterario tornano in auge i sentimenti: la fine dell’impegno coincide con il ritorno dell’elegia. Alcuni romanzi e autori segnano il punto di svolta di questo fenomeno: tra questi Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi e Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani. In questi romanzi l’arte non è impegnata, ma si assiste ad una rappresentazione dell’esistenza umana, presentando dolore e solitudine come modi d’essere perenni dell’uomo. E’ presente un lamento per la condizione umana non legato alla storia e che si manifesta nelle vicende umane come inutilità, sfaldamento e morte. Il successo di questi romanzi, affermatisi nella nuova e nascente letteratura di massa degli anni Sessanta come best-seller segna il ritorno ad una narrativa che si rifugia nei conflitti interiori e nella malinconia delle anime belle, in sostanza la sconfitta delle tesi neorealiste di Vittorini e l’abbandono all’elegia, seppure con qualche reminiscenza realistica.

Scritto in prima persona, Il giardino dei Finzi-Contini è tra le opere più riuscite di Bassani, scrittore, poeta e critico letterario nato a Bologna ma cresciuto a Ferrara. Il romanzo si può ritenere di formazione, in quanto c’è la trasformazione del giovane che da ragazzo un po’ cresciuto diventa adulto, ma anche di denuncia, perché l’orrore delle leggi razziali, che si mostra esplicitamente nelle pagine di epilogo, è in realtà celato in tutto il libro.

Nel romanzo ci sono un “compiaciuto abbandono all’elegia, il lamento sulla condizione umana e sul paradiso perduto dell’innocente puerizia o della fiduciosa giovinezza, l’ostinato, torturante e pur gradito scavo nel passato”(2). E’ proprio in questo tono elegiaco che pervade il romanzo che sta la forza e la bellezza de Il giardino dei Finzi-Contini sostiene il critico Michele Rago(4,i).

Il romanzo si apre, nel prologo, con la visita da parte dello scrittore al cimitero etrusco di Cerveteri che, per analogia, scatena nella sua mente una serie di ricordi adolescenziali: gli torna in mente il cimitero ebraico a Ferrara e la tomba monumentale della famiglia Finzi-Contini, la sua giovinezza a Ferrara e comincia a raccontare.

I Finzi-Contini sono una famigli israelita molto ricca e che all’epoca possedeva un vasto giardino nel quale avevano eretto la loro villa. Aristocratico è il loro stile di vita, che li porta ad appartarsi dai loro correligionari, i quali al contrario vivono in perenne contatto e a volte conflitto con la realtà, con i goìm, i cattolici, prossimi ad infliggere la peggiore persecuzione della storia al popolo ebreo. Frequenti sono i termini ebrei o finzi-continici nel libro che si mostrano come segni realistici, come sostiene Ignazio Baldelli: “una minuziosa resa della realtà si realizza, oltre che attraverso una fitta rete di riferimenti topografici, di descrizioni di interni ed esterni, anche con mezzi linguistici quali parole o battute in ebraico o finzi-continico”(4,iii).

Il protagonista da quindicenne, disperato per un brutto voto agli esami di licenza ginnasiale, viene consolato dalla coetanea Micol, della ricca famiglia ebrea dei Finzi-Contini. Subito sboccia nel ragazzo l’amore adolescenziale che affievolisce perché, quando la famiglia Finzi-Contini cambia sinagoga, i due non si vendono più. Passano gli anni e sono gli anni del regime fascista che culmina con la promulgazione delle leggi razziali, che costringono il protagonista ad abbandonare le attività che svolgeva a Ferrara, come ad esempio quella del circolo di tennis. A questo proposito il critico Paolo Milano ravvisa ne Il giardino dei Finzi-Contini, il libro di Ferrara, una città ritratta attraverso il filtro di una triplice nostalgia “perché colui che narra ha lasciato da tempo la città, perché ne filtra l’immagine nella memoria, e perché, nella sua qualità di ebreo, al tempo delle persecuzioni razziali egli si è visto negato il diritto di sentirla propria”(4,ii).

In questo contesto la famiglia Finzi-Contini scioglie il suo riserbo e, per espressa richiesta dei figli Micol e Alberto, decide di mettere il loro leggendario giardino a disposizione dei giovani, ebrei e non, coetanei dei figli. Il giardino diventa così un luogo sospeso, a-storico, dove lo spensierato snobismo dei suoi nobili abitanti sembra voler cancellare con la noncuranza e il disinteresse quanto sta avvenendo oltre le mura secolari che ne delimitano i confini. Il fascino misterioso e antico di questo microcosmo, apparentemente inattaccabile, del tutto bastante a se stesso, attrae irresistibilmente il protagonista, che si innamora di Micol, parte di quel mondo.

Micol è la creatura centrale del romanzo: vivace, intelligente, sensibile, di bell’aspetto con capelli biondi, occhi chiari e corpo slanciato. Nella sua personalità c’è un misto di concreto e sognante che la rende particolare e alimenta nel giovane protagonista delle speranze amorose. Ma siccome, come essa stessa dice, con sentimenti quasi virili, che “quando una cosa è vecchia è giusto che debba morire” così deve morire l’amore ormai da troppo tempo portato dal ragazzo. Così si arriva al punto di svolta della storia e al superamento da parte del protagonista della fanciullezza per giungere all’età adulta, con l’aiuto del padre: la morte delle illusioni.

Il senso di morte permea in realtà tutto il romanzo: dal prologo nelle domande della piccola Giannina, ai pensieri di Micol, alla morte spirituale del giovane protagonista, alla morte di Alberto e poi il tragico epilogo con lo sterminio dell’intera famiglia.

Micol è lontana per mesi a Venezia ed al suo ritorno, aspettato ma anche non previsto, egli la bacia istintivamente, illudendosi in un futuro con la ragazza che presto verrà sconfessato. Infatti l’amore non è corrisposto e non verrà mai vissuto: ella lo allontana, conscia del fatto che le persone troppo simili non possono amarsi davvero, perché “l’amore (così almeno se lo figurava lei) era roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda, uno sport crudele, feroce (…) da praticarsi senza esclusione di colpi e senza mai scomodare, per mitigarlo, bontà d’animo e onestà do propositi” (1); e forse, ma è un dubbio, solo un dubbio che l’autore non vuole sciogliere, né per se stesso né per i lettori, Micol un amore di questo tipo lo ha trovato, in Malnate, giovane frequentatore del giardino, milanese, comunista militante, che guarda alla vita e alla storia con ben altra energia e concretezza che i Finzi-Contini. Riguardo a questa concezione Manacorda scrive che la conoscenza della storia può solo aggiungere una ulteriore dose di pena, ma non consente di deviare il corso degli avvenimenti verso termini più giusti e più aperti. La storia per Bassani è come “un misterioso recinto che l’uomo può rifiutare di ritenere accettabile, ma da cui non può uscire”(4,vi).

Il protagonista, dopo una chiacchierata liberatoria con il padre, che gli dice che “nella vita, se uno vuol capire, capire sul serio come stanno le cose di questo mondo, deve morire almeno una volta. E allora, dato che la legge è questa, meglio morire da giovani, quando uno ha ancora tanto tempo davanti a sé per tirarsi su e risuscitare… Capire da vecchi è brutto, molto più brutto.”(1) conviene al rinuncio a Micol e alla spensierata vita del giardino, e, grazie a questa maturazione a diventare adulto.

Tutto è mediato dal ricordo dell’autore che dilata i periodi per lui più significativi relegando in poche righe ciò che non è funzionale al ricordo.

Oltre al tema della morte c’è quello dell’amore: l’amore adolescenziale del protagonista, cresciuto all’ombra di un muro, l’amore dei genitori per i figli, del Prof. Ermanno e della signora Olga per Micol e Alberto, fatti crescere in una sorta di limbo che non li proteggerà né dal cancro, che ucciderà Alberto in pochi mesi, né dalle persecuzioni naziste. E l’amore fra padre e figlio quando il giovane innamorato, alle soglie di un’intuizione terribile, quella del tradimento di Micol, confida al padre il suo tormento ed egli lo guida alla ricerca della verità

Forti sono i significati allegorici del libro: uno è rappresentato dal Muro, non un muro qualunque, ma il muro di cinta della villa Finzi-Contini, quello che l’adolescente, bocciato in matematica, è troppo impaurito per superare e quello che lo stesso giovane protagonista scavalca una notte in cui la verità gli va finalmente incontro come un cane fedele, il vecchio Jor che lo porta fino alla Hütte, la casupola del giardino, luogo forse di incontri segreti. E’ il muro che rappresenta l’ostacolo difficile da superare per l’adolescente ma che poi, raggiunta la maturità, potrà essere superato. Un altro è il tennis: l’alternarsi di momenti felici e di momenti cupi nell’esperienza del protagonista dove entrambi servono a farlo maturare, sempre nell’ottica della formazione e che poi lui abbandona finalmente, per diventare adulto. Altro paragone importante è quello fra la famiglia Finzi-Contini e gli etruschi: entrambi vissero appartati fra i contemporanei ed entrambi dediti al culto degli antenati, della gens.

Il libro si conclude con una riflessione sulle parole di Micol sul passato “il caro, il dolce, il pio passato” (1), solamente parole “che soltanto un vero bacio avrebbe potuto impedirle di proferire” (1), quindi “sia suggellato qui quel poco che il cuore ha saputo ricordare” (1).

Un dibattito si è aperto sulla concezione della storia nel romanzo, perché, secondo alcuni, l’autore “non ci fa sentire il peso della guerra ma le semplici avventure di adolescenti spensierati ma con l’incombente peso della guerra addosso, loro vivono sapendo di morire”(5). Il critico Squarotti salva la storia de Il giardino dei Finzi-Contini: utilizza un linguaggio analitico che consiste nella “salvezza dei fatti della storia nella loro autonomia”, che si impongono per una loro durata assoluta, “espressa in un linguaggio storico che li fa trascendere il carattere privato della memoria”(4,iv). Secondo Cusatelli Bassani ci fa conoscere quello che può essere definito col nome di “condizione ebraica”, e di quel fenomeno che a essa purtroppo si annette: l’antisemitismo(4,v).

Bibliografia:

  1. Giorgio Bassani, Il Giardino dei Finzi-Contini ed. Mondadori
  2. Salvatore Guglielmino, Guida al novecento ed. Principato
  3. Giuseppe Petronio, L’attività letteraria in Italia ed. Palumbo
  4. Massimo Grillandi, Invito alla lettura di Bassani ed. Mursia
    1. Michele Rago, “L’Unità”, 14 marzo 1962
    2. Paolo Milano, “L’Espresso”, 11 marzo 1962
    3. Ignazio Beldelli, “Letteratura” n° 58, 1962
    4. Giorgio Bàrberi Squarotti, Poesia e narrativa del secondo Novecento (1961) ed. Mursia,
    5. Giorgio Cusatelli, “Palatina” ottobre-dicembre 1961
    6. Giuliano Manacorda, Storia della letteratura italiana contemporanea (1967) editori Riuniti
  5. Magenga, 27/02/2001 http://www.italialibri.net/opere/giardinodeifinzicontini.html