Il Gelsomino Notturno analisi del testo

Il Gelsomino Notturno analisi del testo

Il Gelsomino Notturno analisi del testo


giovanni pascoli


Ogni tanto, aggiornando varie cose, do un’occhiata a chi ha visitato il mio blog. Spesso mi capita di trovare liceali alla ricerca di analisi del testo, tratti in inganno dal titolo. Poichè nel complesso sono forse i miei più affezionati visitatori, ho deciso di non deludere più le loro aspettative e di scrivere di mio pugno una analisi del testo. I miei studi pascoliani risalgono in verità a tempi non proprio recentissimi, ma spero di riuscire a combinare comunque qualcosa di apprezzabile.

Iniziamo dal testo:
E s’aprono i fiori notturni,              /            1
nell’ora che penso a’ miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni   /
le farfalle crepuscolari. 
Da un pezzo si tacquero i gridi:                  5
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l’ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.
Dai calici aperti si esala                  /           9
l’odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l’erba sopra le fosse.
Un’ape tardiva sussurra                     /         13
trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l’aia azzurra           /
va col suo pigolio di stelle.
Per tutta la notte s’esala                   /          17
l’odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s’è spento . . .
È l’alba: si chiudono i petali               /          21
un poco gualciti; si cova,                   /
dentro l’urna molle e segreta,
non so che felicità nuova.


Metrica:

 la poesia di divide in quartine, i versi sono tutti novenari, la rima è alternata (abab -> scritto minuscolo, la maiuscola indica l’endecasillabo). Qualche figura retorica: numerosi anjambement(ve li ho indicati con la sbarra); una sineddoche (seguita da una similitudine) al v. 7 (dove per nidi s’intendono in realtà gli uccellini), una metonimia (o sineddoche, è un po’ una questione di interpretazione ma è quasi uguale) al v. 12 (dove le fosse sottintendono le tombe), una metafora che vi spiego dopo ai vv. 15-16, una enallage al v. 6 (non sono le case a bisbigliare, ovviamente, ma le persone che vi abitano) ed una specie di sinestesia al v. 10, poi spiego.


La poesia:
Premessa: Venne scritta il 21 luglio 1901, ma l’ideazione è degli anni 1897-98. Inserita nella prima edizione dei Canti di Castelvecchio (1903). E’ rivolta all’amico Gabriele Briganti, poeta bibliotecario lucchese, in occasione della nascita del figlio, ma è come se il poeta, che nel 1901 aveva 46 anni, la scrivesse a se stesso, perchè immagina di essere uno sposo senza esserlo. Cinque anni prima della stesura della poesia era naufragato il suo progetto di matrimonio con la facoltosa cugina riminese Imelde, ormai trentenne, figlia di Alessandro Morri. In questa decisione influì pesantemente la sorella di Pascoli, Maria, che viveva con lui. E’ difficile trovare un vero e proprio filo conduttore attraverso il quale ricostruire una “trama”: si procede per immagini giustapposte, è come se ogni quartina fosse un quadro a sè stante ma, nel complesso del componimento, collegato agli altri.
Il senso letterale (vi faccio la parafrasi): Nell’ora in cui penso ai miei cari (= la sera) si aprono i fiori notturni (= i gelsomini). Tra i viburni (altri fiori) sono apparse le falene. Da tempo tutto tace, soltanto in una casa si odono ancora bisbigli. I pulcini dormono sotto le ali della madre, come gli occhi sotto le ciglia. Dai calici aperti dei fiori sale un odore di fragole rosse. Nella sala splende ancora una luce, e nel frattempo l’erba cresce sulle tombe. Un’ape giunta in ritardo sussurra, perchè ha trovato tutte le cellette già occupate. Lungo l’aia dei cieli procede una chiocchia, seguita dalle sue stelline. L’odore dei fiori si esala per tutta la notte, portato dal vento. Una luce si vede salire per la scala, giunge al primo piano, poi si spegne. All’alba i petali si chiudono, lievemente gualciti. Dentro un’urna umida e segreta sta nascendo una nuova felicità. 

Come si evince dalla parafrasi,  è piuttosto difficile ricostruire una vera e propria “trama”. Si procede più che altro per immagini giustapposte, per quadri a sè stanti. Non assistiamo allo svolgersi si un’azione ma al susseguirsi di impressioni apparentemente disordinate e casuali, unite tra loro da un filo sottile proprio più del sentimento che della logica.


ANALISI

La lirica si apre con un’immagine serale: mentre si schiudono i gelsomini notturni il poeta rivolge il pensiero ai propri cari ed alcune falene compaiono tra i viburni. Il silenzio regna sulla scena. Solo in una casa, ancora, si odono bisbigli. I bambini dormono sotto la vigile protezione della madre. Un termine chiave appena accennato rimanda ad un tema caro al poeta, ricorrente nelle sue opere: il nido. 

Mentre la notte ed il silenzio avvolgono la scena, suggerendo l’idea di qualcosa che sta avendo termine, altre forme di vita si risvegliano. I gelsomini notturni si aprono la sera per richiudersi, poi, all’alba del giorno seguente. Dietro la corolla del fiore si cela una metafora della sensualità femminile, introdotta così fin dal primo verso. Ma il poeta rimane distaccato, quasi distante. Si sofferma quindi sui piccoli particolari, come le farfalle notturne che, noncuranti del mondo circostante, volano sui viburni. 

Il profumo dei fiori sale dai calici aperti, ed è un profumo di “fragole rosse”. Sembra quasi che il poeta non voglia sottolineare che l’odore è di fragola, ma piuttosto che si esala in virtù del fatto che le fragole sono di colore rosso (per questo è una “quasi” sinestesia), il colore dell’amore e della passione. Poco distante, proprio nel luogo in cui riposano i defunti, nasce una nuova, fragile vita: alcuni fili d’erba. Accanto alla prima immagine, pervasa di sensualità e seduzione (il doppio senso è palese) emerge il dramma interiore del poeta: l’associazione di amore e morte è stata interpretata dai critici come una dimostrazione del senso di inferiorità, in quanto uomo, che sembra provare Pascoli nei confronti dell’esperienza amorosa, poiché proprio la morte del padre l’avrebbe impedito nel realizzare la propria esigenza d’amore.

Un’ape che si è attardata al volo giunge troppo tardi alle cellette dell’alveare e le trova già tutte occupate. Esattamente allo stesso modo il poeta, di cui l’ape è chiara metafora, rimane escluso dal mondo dell’amore. Il senso d’esclusione, tuttavia, viene subito allontanato grazie all’immagine successiva: la costellazione delle Pleiadi risplende nel cielo (l’aia azzurra), simile ad una piccola chioccia seguita dai suoi pulcini, che procedono disordinati, simile al tremolio della luce stellare.

Per tutta la notte il vento porta con sé il profumo che si solleva dai gelsomini notturni. Una luce, nella casa, sale al primo piano, poi si spegne. In quella luce che non c’è più intuiamo l’intimità dell’atto d’amore tra i due sposi. Al sopraggiungere dell’alba i petali si richiudono “un poco gualciti” e in quell’urna “molle e segreta” che è il grembo materno è germogliata una nuova vita.

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