Il ciclo bretone e il tema della ricerca del Graal

Il ciclo bretone e il tema della ricerca del Graal

A partire dalla seconda metà del secolo XII in Francia, sempre in lingua d’oil, ma ampiamente influenzate dai temi amorosi tipici della lirica provenzale, si diffondono opere cavalleresche che si collocano a metà strada fra il genere epico e quello amoroso, le quali pongono sempre al centro la figura del cavaliere cristiano, ma sono caratterizzate dalla marcata presenza di elementi magici e fantastici.

Tali opere, di carattere narrativo, sono scritte inizialmente in versi e più tardi, nel sec. XIII, anche in prosa e vengono considerate da alcuni studiosi i più antichi antenati del romanzo moderno. Inizialmente, però, il termine romanzo sta ad indicare esclusivamente il linguaggio usato, derivato dal latino, in riferimento a quelle che noi chiamiamo lingue romanze.

Le trame delle opere del ciclo bretone si differenziano da quelle delle chansons de geste perché il cavaliere protagonista nella narrazione si batte più per elevarsi spiritualmente che per combattere nemici, in uno sfondo privo di determinazioni storiche e concrete, anzi spesso in scenari fiabeschi che si ricollegano a elementi leggendari delle tradizioni celtiche, da cui in parte deriva la materia dei poemi. 

Queste opere sono dette anche cortesi – cavalleresche per sottolineare il fatto che l’ambiente in cui hanno origine è quello delle più raffinate corti feudali, al cui interno il ruolo della donna, come ispiratrice e lettrice di poesia, si va accrescendo, mentre la cavalleria affina i propri codici, manifestando il valore del guerriero in forme nuove: i tornei, le avventure ricercate per mettere alla prova il proprio coraggio, la protezione dei deboli e, dunque, delle donne stesse.

Un primo ciclo di opere cortesi-cavalleresche è detto classico perché si ispira a personaggi ed avvenimenti storici o leggendari del mondo greco e romano, dalla guerra di Troia alle imprese di Alessandro o di Cesare: le fonti a cui attinge sono compilazioni greco-bizantine. Il secondo e ben più importante ciclo è detto bretone: esso ha per protagonisti re Artù, Lancillotto, i Cavalieri della Tavola Rotonda e il tema della ricerca del Graal, la coppa nella quale, secondo una leggenda, Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue del Cristo.

Alle origini dei poemi e dei romanzi che narrano le imprese di re Artù e dei suoi cavalieri sta l’Historia regum Britanniae (Storia dei re della Bretagna) scritta, fra il 1135 e il 1137, da un chierico inglese, Goffredo di Monmouth. Il testo, originariamente steso in latino e successivamente tradotto in francese, contiene una storia favolosa dei re dell’antica Britannia, abitata, prima dell’invasione degli Angli e dei Sassoni, dai Britanni, popolazione di stirpe celtica romanizzata. Il ciclo di avventure che prende avvio da questo intreccio tra spunti storici e leggende celtiche, ambientato nelle due Bretagne – l’isola e la penisola – viene perciò denominato bretone (il termine è utilizzato per la prima volta dal poeta francese Jean Bodel nel XIII secolo). Un’opera di Goffredo di Monmouth, successivamente ripresa da un altro scrittore inglese, Guglielmo di Malmesbury, riscuote grande successo anche in Francia, dove vengono scritte almeno quattro traduzioni o compendi nel solo secolo XII. Nei testi di Goffredo appare per la prima volta la leggendaria figura di re Artù, marito della bella e infedele Ginevra, grande guerriero che estende le sue conquiste dal Baltico a Roma, aiutato dagli incantesimi del mago Merlino e dai valorosi cavalieri che usano riunirsi attorno alla Tavola Rotonda collocata nella reggia del sovrano. 

L’importanza e la diffusione in Europa del ciclo sono vastissime. Narrata nei poemi di Chrétien de Troyes e dei suoi continuatori e imitatori, la vicenda dei cavalieri della Tavola Rotonda domina per secoli l’immaginario dell’Occidente, tanto che ne troviamo traccia in Ariosto e in Tasso, in Shakespeare e in Cervantes e, in un certo senso, anche in opere a noi contemporanee come Il cavaliere inesistente di Italo Calvino (1923-85). 

Il principale autore dei poemi dei ciclo bretone è indubbiamente Chrétien deTroyes, attivo fra il 1160 e il 1190 alla corte di Champagne e legato, negli ultimi anni, a Filippo d’Alsazia, conte di Fiandra, al quale dedica il Perceval.

Pochissimo si conosce, per il resto, della sua vita. Fra le sue opere sono da ricordare: Erec ed Eníde, storia del conflitto in un giovane fra i doveri di cavaliere, che lo obbligano andare in cerca di avventure, e l’amore, che lo vorrebbe trattenere accanto alla giovane sposa; Lancillotto o il cavaliere della carretta, in prosa, interrotto e completato Goffredo di Lagny, che sviluppa il tema dell’amore adultero di Lancillotto per la bellissima regina Ginevra, moglie di re Artù, e delle prove che l’eroe deve superare per conquistarla; Perceval o il racconto del Graal (rimasto incompiuto), in cui si narra la scopo della vocazione cavalleresca da parte del giovane Perceval e la sua ricerca, attraverso mille difficoltà, della sacra coppa del Graal, che egli è destinato a conquistare perché, a differenza di Lancillotto, ha saputo resistere alle tentazioni e mantenere la Purezza. 

La materia del ciclo bretone

Gli autori che, oltre a Chrétien de Troyes, sviluppano la materia del ciclo bretone sono molti, e le versioni delle intricate trame da essi presentate sono spesso contrastanti.

La ricerca del Graal, la più nobile e affascinante delle avventure, è dunque la spina dorsale e il tema dominante di molte opere che compongono il ciclo. Lancillotto si macchia di una grave colpa, commettendo adulterio con Ginevra, moglie di re Artù: non toccherà perciò a lui il ritrovamento della sacra coppa. Nel ciclo compaiono due versioni della conclusione della ricerca: la prima, che risale Chrétien de Troyès, narra come l’impresa venga portata a termine da Perceval; la seconda, di autore incerto, assegna il Graal a Galahad, figlio di Lancillotto. In ogni caso, sia Perceval che Galahad sono simboli della purezza spirituale e la vicenda della ricerca del Graal è da intendersi come allegoria della ricerca di Dio, portata avanti attraverso la lotta contro il male presente nell’essere umano. La colpa di Lancillotto e Ginevra, infatti, viene presentata come causa della rottura dell’alleanza fra i cavalieri della Tavola Rotonda, in seguito alla quale sopravvengono intrighi malefici che portano alla morte di Artù. Lancillotto lo vendicherà, avendolo sempre amato nonostante il tradimento, e poi morirà. Con la storia s’intreccia l’affascinante e complessa vicenda del mago Merlino, che funge da consigliere di re Artù. 

Le opere di Chrétien de Troyes (ritenuto il maggiore scrittore europeo prima di Dante) e, in generale, i poemi e i romanzi del ciclo bretone sono intrisi di significati simbolici e allegorici, intorno ai quali hanno a lungo disputato, con posizioni anche significativamente discordanti, i critici letterari. Ciò vale in particolare per il Perceval, la cui novità,  che ne spiega la fortuna letteraria, consiste nell’attribuzione di un carattere quasi sacro alla figura del cavaliere, coincidente, nel personaggio del protagonista, con quella di un giovane ingenuo e incolto, allevato lontano dal mondo e per il quale la vita si configura come un cammino di iniziazione e crescita spirituale, in cui l’eroe viene a coincidere con il puro e il semplice di cuore. 

Altri due filoni insiti nelle opere si riferiscono all’elemento magico (incantesimi, malefici, eventi misteriosi e soprannaturali) e al tema amoroso. Quest’ultimo, che si incarna modo esemplare nella vicenda di Lancillotto e Ginevra, è sviluppato in modo che ricorda molto da vicino la letteratura trobadorica provenzale, con una fine tale da richiamare comunque il clima raffinato delle corti.

Amore e avventura si intrecciano e rappresentano i due campi di prova che nobilitano il cavaliere. Al centro della missione dell’eroe sta ancora l’ideale religioso, rappresentato dall’affascinante mito della ricerca del Graal, ma il ciclo bretone ci conduce molto lontano dall’impresa collettiva delle guerre religiose che sta alla base dei poemi del ciclo carolingio. Il cavaliere cristiano è ora un cavaliere errante che, anche quando è spinto ad agire dalla fede, si muove per ragioni individuali, lotta con le proprie passioni e tentazioni, ha coraggio ed ha paura: quel coraggio e quella paura che si incarnano simbolicamente nel mondo fantastico di creature malefiche e benefiche che circondano l’eroe (mostri e draghi, maghi ed elfi … ) 

Tristano e Isotta

I poemi dei ciclo bretone fioriscono soprattutto presso la corte di Alienor (Eleonora) d’Aquitania, nipote di Guglielmo IX, il primo trovatore (poeta lirico in lingua d`oc) : ella diviene sposa, nel 1137, di Luigi VII re di Francia; poi, annullato il primo matrimonio, sposa Enrico conte d’Angiò, che nel 1154 diviene re d’Inghilterra. In entrambe le corti, sotto la protezione della colta e intelligente Eleonora, fioriscono la poesia e la narrativa, orientate sempre più verso temi amorosi.

La leggenda amorosa della narrativa cortese dalla quale nascono le opere più importanti è quella di Tristano, la cui stesura avviene nel XII secolo, ad opera del poeta Thomas, proprio nella corte di Eleonora. Nel poema Tristano e Isotta, riproposto successivamente da Béroul (di entrambi i testi ci sono giunti ampi frammenti narrativi in versi), viene rappresentata la storia di una passione irresistibile, che sconvolge la vita dei protagonisti fino a condurli alla morte.

In sintesi, la vicenda narra dell’eroe Tristano, nipote di re Marco di Cornovaglia: il giovane, ferito in modo incurabile dal mostruoso Moroldo d’Irlanda, viene risanato dalla bionda Isotta, sorella di Moroldo, esperta in arti magiche. Isotta è destinata in sposa a re Marco: durante la navigazione però, senza saperlo, Tristano e Isotta bevono un filtro amoroso, e i loro cuori si legano in una passione irresistibile. Re Marco scaccia dal regno il nipote, il quale sposa, senza amarla, Isotta dalle bianche mani, che gli ricorda, almeno nel nome, la donna amata. Durante un combattimento, Tristano viene ferito mortalmente, e chiede ad Isotta la bionda di raggiungerlo per curarlo: quando la nave giungerà, se a bordo recherà Isotta, avrà vele bianche; altrimenti, nere. Allorché Isotta sta per giungere, la moglie di Tristano, rosa dalla gelosia, inganna il marito sul colore delle vele, e l’eroe, disperato, esala l’ultimo respiro. Isotta, giunta alla reggia, si lascia morire accanto all’amato. 

La storia è rimasta indimenticabile nella letteratura europea, ed ha conosciuto innumerevoli rifacimenti. Il tema amoroso è trattato nell’opera in un modo così profondamente innovativo, pur richiamandosi a vari spunti e miti classici, che si può dire che, senza di essa, forse non avremmo conosciuto, secoli dopo, testi come la novella boccaccesca di Lisabetta da Messina o la stessa storia di Giulietta e Romeo: il tema dominante è, infatti, quello di una passione d’amore contrastata dal destino, di fronte al cui tragico esito viene meno il desiderio di vivere.